Diniego riammissione in servizio (Cons. Stato n. 2701/2013)

Redazione 20/05/13
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FATTO e DIRITTO

1. L’appellato, già ricorrente in primo grado, nato nel 1965, ha prestato servizio nella Polizia di Stato con la qualifica di assistente. E’ poi cessato dal servizio, per dimissioni volontarie, a decorrere dal 1° gennaio 2008. Successivamente ha presentato più volte istanza per essere riammesso in servizio, avvalendosi della previsione dell’art. 60 del d.P.R. n. 335/1982, il quale richiama l’art. 132 del t.u. n. 3/1957.
Dette istanze sono state tutte respinte, a volte tacitamente, altre volte senza una specifica motivazione, in un caso e nell’altro senza che seguissero impugnazioni. Infine l’istanza presentata il 15 novembre 2011 è stata respinta con la motivazione che l’interessato risultava aver superato i 40 anni di età, e che tale dato di fatto precludeva la riammissione in base ad un criterio di massima appositamente adottato dall’amministrazione quale autolimitazione della discrezionalità.
2. L’interessato ha impugnato davanti al T.A.R. del Lazio il nuovo diniego, deducendo che quel criterio di massima appare iniquo, irragionevole e in ultima analisi non rispondente all’interesse della stessa amministrazione. Secondo il ricorrente, non vi sarebbe alcuna ragione per escludere a priori dalla riammissione un ex dipendente, solo perché questi abbia superato i 40 anni di età, ancorché risulti, in ipotesi, provvisto di un ottimo stato di servizio e non si ravvisino controindicazioni di alcun altro tipo.
Il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso con la sentenza 7276/2012.
La sentenza richiama diffusamente il principio (peraltro pacifico e ben noto) che la riammissione in servizio di cui all’art. 132 del t.u. n. 3/1957 non costituisce un diritto dell’ex impiegato, ma è espressione di un potere ampiamente discrezionale nel cui esercizio è preminente, se non esclusiva, la considerazione dell’interesse proprio dell’amministrazione datrice di lavoro.
Nondimeno, fatta questa premessa, il T.A.R. ha affermato che l’avversato criterio di massima, che attribuisce al superamento dell’età di 40 anni l’efficacia di causa preclusiva a priori, appare in effetti viziato da grave irragionevolezza.
3. Il Ministero dell’Interno ha proposto appello a questo Consiglio, contestando le conclusioni cui è giunto il Tribunale amministrativo, alla luce del carattere ampiamente discrezionale dell’atto di riammissione.
L’interessato si è costituito insistendo argomentatamente nelle tesi già accolte dal T.A.R..
4. Questo Collegio ritiene che la sentenza di primo grado debba essere confermata.
E’ vero, come ricordato anche dal T.A.R., che la riammissione in servizio di cui all’art. 132 t.u. è un istituto di carattere eccezionale (derogando alle regole generali in materia di costituzione del rapporto d’impiego); e che l’amministrazione ha la facoltà di avvalersene unicamente in quanto riconosca in concreto di aver interesse ad assicurarsi le prestazioni di un determinato soggetto.
In questa luce si potrebbe anche discutere se e quanto dettagliata debba essere la motivazione dell’eventuale diniego.
Ma, nel momento in cui al diniego viene data una motivazione specifica (come nella vicenda in esame), inevitabilmente si apre il varco al sindacato sull’eccesso di potere, se non altro in base al parametro della ragionevolezza.
E non sembra accettabile, sotto il profilo della ragionevolezza, un criterio di massima che esclude a priori la riammissione di un ex dipendente, per il solo ed unico motivo che costui abbia superato l’età di 40 anni, senza collocare questo elemento nell’ambito di una valutazione complessiva estesa ad altri fattori: ad esempio, la durata del pregresso rapporto di servizio e quella del periodo intercorso fra la cessazione dal servizio e la domanda di riammissione; oppure le ragioni che avevano indotto il dipendente a dimettersi dal servizio, il genere di attività lavorativa svolta nel frattempo, e via dicendo.
D’altra parte, non si può dire che corrisponda alle comuni esperienze, nel mondo attuale, che l’età di 40 anni sia troppo avanzata, non si dice per intraprendere un’attività lavorativa interamente nuova, ma per tornare a svolgere l’attività già esercitata fruttuosamente per un lungo periodo di tempo (venti anni, nel caso dell’attuale appellato) e abbandonata solo per un breve periodo.
Può dare una qualche riprova in questo senso il fatto, dedotto dall’appellato, che sia in itinere presso il Ministero dell’Interno una ipotesi di nuove disposizioni che consentirebbero l’accesso alla Polizia di Stato di dipendenti dell’amministrazione civile dell’Interno, di età non superiore a 40 anni al momento della domanda.
5. Conviene precisare che per effetto della presente decisione il riferimento all’età non s’intende espunto dai criteri di massima in senso assoluto, ma non può assumere la rilevanza di una causa ostativa a priori, dovendosi invece correlare, ad altri fattori, come sopra si è detto (salvo, forse, che si tratti di un limite di età ragionevolmente più elevato di quello ora in discussione).
6. In questa luce, l’appello deve essere respinto. Resta fermo, s’intende, che il nuovo provvedimento, che l’amministrazione dovrà prendere in sostituzione di quello annullato, sarà comunque caratterizzato dalla estesa discrezionalità di cui si è fatto cenno, limitandosi la presente decisione a dichiarare insufficiente ed invalido il criterio aprioristico che è stato applicato nella specie.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore dell’appellato, liquidandole in euro 2.000 oltre agli accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2013

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