Danno patrimoniale e non patrimoniale da interruzione del servizio di telefonia cellulare (Trib. Brinsi, 30/12/2011) (inviata da A. I. Natali)

Redazione 30/12/11
Scarica PDF Stampa

FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato, S. S. conveniva innanzi a questo Ufficio la compagnia telefonica S. s.p.a. per sentire accogliere le seguenti conclusioni:
1) preliminarmente ordinare ad S. S.p.A. l’immediata riattivazione delle linee telefoniche arbitrariamente interrotte e distinte con numeri 328/9434152, 3939220618, 393/9744328, 393/9754628, 393/9055670, 393/9852178;
2) nel merito, accertare e dichiarare l’illegittimità della interruzione del servizio praticata da S. S.p.a. e, conseguentemente, del prelievo della somma di € 3.585,05=, comminata a titolo di penale per l’asserito recesso anticipato, in quanto infondata in fatto e in diritto, e per l’effetto;
3) ordinare lo storno parziale dalla fattura n. 881720165 del 15/07/2008 e la restituzione della somma di € 3.585,05= maggiorata di interessi moratori e rivalutazione dal dì della domanda fino al soddisfo;
4) condannare S. S.p.A al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e patendi dal sig. S. S., quantificati in complessivi € 10.000,00= o nella diversa misura che questo giudice avrebbe ritenuto di giustizia anche all’esito della istruzione probatoria, ovvero – in subordine – in via equitativa;
5) condannare S. S.p.A al pagamento di spese e competenze del presente giudizio da distrarsi in favore del procuratore che si dichiarava antistatario.
Premetteva, a sostegno delle richieste anzidette, di operare nel campo della ristorazione, in qualità di gestore dei ristoranti Il pozzo dei desideri ed Il posto affianco e di aver stipulato con la convenuta Compagnia un contratto per la fornitura di servizi di telefonia mobile attraverso sette utenze, da pagarsi mediante disposizione bancaria mensile (R.I.D.).
Nel mese di aprile 2008, a causa di un incolpevole disguido, rimanevano insolute le mensilità di aprile, maggio e giugno e, pertanto, la Compagnia convenuta, senza dare alcun preavviso, interrompeva il flusso delle chiamate in entrata ed uscita per sei delle sette linee telefoniche.
Contattato il call center S. il 25 luglio 2008, apprendeva che l’interruzione del servizio era dipesa dal mancato pagamento di tre fatture e che solo dopo il pagamento avrebbe conseguito il ripristino del servizio. Talché disponeva il bonifico delle somme insolute il giorno stesso e ne dava immediata comunicazione al gestore a mezzo fax, sollecitando la riattivazione delle linee interrotte.
Per contro, S., non solo non riattivava il servizio ma, addirittura, addebitava all’utente l’importo di euro 4.430,38, parte del quale – 3.585,05 – relativo ad una penale per recesso anticipato.
Dall’interruzione delle utenze in uso al personale dipendente e, soprattutto, di quella in uso al S. (……..), divulgata ovunque come recapito per le prenotazioni, conseguiva – ovviamente – l’interruzione del flusso di chiamate da parte dei clienti e, quindi, il danno dovuto alla contrazione del lavoro ed il costo per la ristampa di tutte le pubblicazioni (carte da visita, manifesti pubblicitari etc.) su cui era indicato il recapito telefonico 328.94.34.152 disattivato dalla compagnia convenuta.
Prima di avviare qualsiasi iniziativa, S. tentava invano di farsi consegnare una copia del contratto di abbonamento a suo tempo sottoscritta, così come tentava la riattivazione delle linee telefoniche e, da ultimo, attivava il tentativo di conciliazione presso il Co.Re.Com. di Bari.
Nessuna delle iniziative stragiudiziali intraprese al fine di contenere il danno e conseguire il ristoro dell’indebito prelievo sortiva l’esito voluto.
Costituendosi in giudizio, S. s.p.a. articolava le proprie difese sollevando, preliminarmente una eccezione di incompetenza territoriale di questo giudice ed una eccezione di improcedibilità della domanda per mancato espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nel merito, argomentava in merito alla infondatezza della pretesa azionata dall’attore sul presupposto che la Compagnia telefonica aveva fatto corretta applicazione del contratto sottoscritto, operando la disattivazione delle utenze non senza avere preavvertito il cliente.
Dalla legittimità della condotta tenuta, faceva discendere l’infondatezza del richiesto risarcimento.
Concludeva, pertanto, chiedendo in rito ed in via preliminare la declaratoria di incompetenza del Tribunale adito in favore del Tribunale di Milano, in subordine la declaratoria di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di conciliazione, nel merito, il rigetto della domanda e la condanna alle spese di lite.

L’eccezione di incompetenza

E’ noto come, in tema di competenza territoriale, nelle cause relative a diritti di obbligazione, la disciplina di cui all’art. 38, primo comma, c.p.c., prescrive la necessaria formulazione dell’eccezione “a pena di decadenza” nella comparsa di risposta, così come la completezza dell’eccezione per cui il convenuto è tenuto ad eccepire l’incompetenza per territorio del Giudice adito con riferimento a tutti i concorrenti criteri previsti dagli artt. 18, 19 e 20 c.p.c., indicando specificamente in relazione ai criteri medesimi quale sia il giudice che ritiene competente, senza che, verificatasi la suddetta decadenza o risultata comunque inefficace l’eccezione, il giudice possa rilevare d’ufficio profili di incompetenza non proposti, restando la competenza del medesimo radicata in base al profilo non (o non efficacemente) contestato. L’attività di formulazione dell’eccezione sotto entrambi i profili, vertendosi in tema di eccezione di rito c.d. in senso stretta, richiede un’attività argomentativa esplicata (Cass. civ. Sez. III, 04/08/2011, n. 17020).
Tale condizione non risulta rispettata nel caso di specie. È mancata, inoltre, la prova scritta in ordine alla riferita pattuizione del foro convenzionale presso il Tribunale di Milano.
Ciò premesso, deve ritenersi che questo Giudice sia competente in applicazione del principio del forum contractus.

L’eccezione di improcedibilità

Parte convenuta ha rinunciato alla sollevata eccezione (cfr. verbale di udienza 26/3/2009), che, comunque, risulta infondata, come desumibile dal verbale di mancato accordo in atti.

Nel merito, l’attore ha denunciato la illegittima interruzione di sei delle sette linee telefoniche relative al rapporto negoziale intercorso con la compagnia telefonica S. s.p.a..
Consta ex actis che S. con nota racc. a/r datata 30/9/2008, anticipata via fax, formalizzava richiesta di una copia del contratto, anticipando – in difetto e comunque – l’avvio dell’azione giudiziaria.
La richiesta rimaneva priva di riscontro e l’attore introduceva la domanda giudiziale.
Successivamente (nelle more del giudizio), la compagnia telefonica recapitava a mezzo fax la copia illeggibile del formulario che sarebbe stato sottoscritto dall’attore all’inizio del rapporto con S..
Detto formulario reca una sottoscrizione che l’attore sostiene essere apocrifa, e che egli ha provveduto a disconoscere nei termini e nelle forme di rito così come il contenuto.
Ciò premesso, consta ictu oculi l’illeggibilità dello stesso, in virtù della grandezza inadeguata dei caratteri utilizzati, nella parte relativa al regolamento contrattuale e, pertanto, deve dichiararsi l’inidoneità dello stesso a fondare l’operatività del foro convenzionale di Milano, così come il diritto al prelievo dal c/c bancario dell’attore della “indennità di risoluzione anticipata” .
Peraltro, poiché parte convenuta non formulava richiesta di verificazione, il contratto, in atti, deve ritenersi privo di qualunque efficacia probatoria. .

L’illegittimità dell’interruzione del servizio

Invero, l’S. SPA eccepisce di aver fatto corretta applicazione del contratto sottoscritto.
Nondimeno, i due contratti, tempestivamente disconosciuti dall’attore, non sono assolutamente leggibili nella parte dedicata al regolamento del rapporto negoziale.
Pertanto, in assenza di una prova idonea a stabilire le regole che sovrintendevano al rapporto tra le parti, risulta applicabile la carta dei servizi S. pubblicata dal gestore che regola i rapporti di 3 con i propri Clienti, disciplinando gli obblighi della società, quelli dei Fornitori dei servizi che vi abbiano aderito e quelli dei fruitori degli stessi (art.3).
In base a tale codice di condotta, la 3 nel caso di interruzione del servizio si impegna a ridurre al minimo la durata di tali disfunzioni in modo da arrecare ai Clienti il minor disagio possibile (art.4).
Inoltre, l’art. 18 prevede che la Compagnia richieda il pagamento delle fatture entro la data di scadenza delle stesse e, in caso di mancata riscossione, sono previste procedure automatiche che dovrebbero informare il Cliente dell’avvenuto decorso dei termini e delle azioni che la Compagnia intende intraprendere per recuperare il credito.
La sospensione e la successiva disattivazione, stando a quanto si legge nella Carta dei servizi, dovrebbero essere sempre tempestivamente comunicate.
Nel caso de quo, non risulta provato che il S. sia venuto a conoscenza del suo stato di morosità, in un momento antecedente alla sospensione del servizio.
Dunque, non risultano rispettate le condizioni di liceità che la stessa convenuta ha previsto ai fini della regolamentazione dei propri rapporti con gli utenti telefonici.
Ma l’illegittimità della condotta della S. emerge anche dalla mancata osservanza della disciplina codicistica.
Infatti, sotto il profilo dell’inquadramento concettuale, il rapporto intercorso tra le parti deve essere ricondotto allo schema contrattuale del contratto di somministrazione che, in ordine alla sospensione della prestazione, prevede – analogamente alla disciplina di fonte convenzionale – che, il somministrante non possa sospendere l’esecuzione senza dare un congruo preavviso (art. 1565 c.c.).
Nel caso di specie, non consta che sia stata rispettata la suddetta condizione.
Ne deriva, pertanto, che tanto la sospensione del servizio (in assenza di congruo preavviso), quanto la conseguente illegittima risoluzione del contratto e l’applicazione della penale, sono affetti da illiceità, anche in applicazione del principio di buona fede oggettiva, ex art. 1375 c.c., che ha, come noto, radicamento nell’impianto costituzionale e rispetto al quale l’obbligo di congruo preavviso della sospensione del servizio costituisce specifica ipotesi applicativa, codificata normativamente.
Per quanto concerne le domande proposte dall’attore, questi, manente iudicio, ha dichiarato di non aver più interesse, a distanza di tre anni e mezzo dalla interruzione, a conseguire la riattivazione delle linee illegittimamente interrotte.
Per contro, deve essere dichiarata la illegittimità della condotta tenuta da S. nei confronti dell’attore (con riferimento alla sospensione del servizio, alla sua interruzione ed all’indebito prelievo di somme) e, conseguentemente, va accolta la richiesta di storno (mediante emissione della relativa nota credito) della fattura n. 881720165 del 15/7/2008, così come la domanda risarcitoria.

 

l danni risarcibili
La produzione documentale versata in atti dimostra che l’attore si avvaleva dei servizi telefonici erogati dalla società convenuta per motivi di lavoro.
L’indicazione del n. 328/9434152 che, in particolare, è riportato su tutte le pubblicazioni in cui compare l’attività di ristorazione gestita da S., così come l’importo dei consumi indicato nella fattura allegata all’atto di citazione proprio per il numero anzidetto, sono idonei a comprovare un uso professionale e sistematico della linea sia per le chiamate in entrata (clienti, principalmente per le prenotazioni, ma anche dei fornitori) che in uscita.
Orbene, deve ritenersi, in applicazione di una regola di esperienza di difficile smentita, che l’interruzione improvvisa della linea telefonica, avvenuta il 25 luglio, nel pieno dell’estate, periodo di maggiore affluenza di turisti nella città di Ostuni, sia stata idonea ad arrecare disagi e danni all’attore.
Si pensi, a titolo esemplificativo, alla necessità di procedere alla ristampa del materiale pubblicitario e divulgativo (biglietti da visita, brochure illustrative, sit web, cartellonistica stradale, insegne) ai fini dell’indicazione del nuovo recapito telefonico.
Inoltre, i testi escussi hanno confermato la circostanza della riduzione delle prenotazioni successivamente alla interruzione del servizio telefonico sulla linea 328/9434152, così come gli sforzi profusi dal S. per conseguire la riattivazione della linea.

La determinazione del danno

Nel caso di specie, risulta estremamente difficile, se non addirittura impossibile,la quantificazione del danno risarcibile, specie, sotto il profilo del lucro cessante. Infatti, nonostante le dichiarazioni dei testi (una cameriera di sala ed il pizzaiolo) che hanno confermato la contrazione delle prenotazioni, non è oggettivamente possibile stabilire quanti potenziali clienti l’attività gestita dell’attore abbia perso per l’impossibilità di ricevere le prenotazione mediante l’uso del mezzo telefonico.
Da ciò discende la necessità di fare ricorso al disposto di cui all’art. 1226 c.c. che, a tal fine, prevede che la liquidazione sia rimessa al Giudicante con valutazione equitativa.
Orbene, tenuto conto – nel caso di specie – della dislocazione dell’impresa dell’attore (nel centro storico di Ostuni), del periodo estivo notoriamente più redditizio per l’afflusso di turisti (Ostuni nel periodo estivo, agosto in particolare, raggiunge mediamente più di centomila presenze), della notorietà dell’attività (cfr. pubblicazioni allegate, il ************* in particolare), si ritiene equo liquidare euro 3000,00 oltre interessi di legge e rivalutazione dal giorno del fatto lesivo.
Quanto al profilo del danno non patrimoniale, non è stato provato alcun pregiudizio esistenziale, idoneo a superare quella soglia di sufficiente gravità e compromissione del o dei diritti lesi, individuata, in sede interpretativa, dalle Sezioni Unite del 2008, quale limite imprescindibile al risarcimento del danno non patrimoniale.
Soglia che nasce dall’esigenza di contemperare le esigenze risarcitorie con il dovere di tolleranza cui è tenuto ciascun individuo nei riguardi degli altri consociati e che rinviene un ancoramento costituzionale nell’art. 2 Cost… 
Le spese – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da S. S., nei confronti di S. S.P.A., in persona del l.r.p.t., disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:
1) accerta e dichiara l’illegittimità della interruzione del servizio praticata da S. S.p.a. e, conseguentemente, del prelievo della somma di € 3.585,05, comminata a titolo di penale per l’asserito recesso anticipato;
2) ordina lo storno parziale dalla fattura n. 881720165 del 15/07/2008 e la restituzione della somma di € 3.585,05, oltre di interessi di legge e rivalutazione dal dì della domanda fino al soddisfo;
3) condanna S. S.p.A al risarcimento dei danni patiti dal sig. S. S., che si liquidano in complessivi € 3000,00, oltre interessi di legge e rivalutazione;
4) condanna S. S.p.A al pagamento in favore dell’attore di spese e competenze del presente giudizio che liquida in complessivi € 2500,00 di cui euro 180,00, euro 1000,00 per diritti ed € 1320,00 per onorario, oltre iva e cap ed esborsi forfettizzati come per legge, da distrarsi in favore del procuratore che si dichiara antistatario.

IL GIUDICE
(*******************)

Redazione