Danno patrimoniale da maltrattamenti in famiglia (Trib. Brindisi, 14/12/2011) (inviata da A. I. Natali)

Redazione 14/12/11
Scarica PDF Stampa

Danno patrimoniale da maltrattamenti in famiglia e che fa applicazione, in via alternativa, del c.d. principio dell’equità calibrata che presuppone, ai fini liquidatori, la comparazione di ipotesi di lesione di pregiudizi esistenziali di varia natura e intensità

FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione del 16/6/2010 notificato il 29 successivo ai sensi dell’art. 140 c.p.c., le sig.re P. M. C., M. A. e ***** esponevano: 1) con sentenza penale n. 201/06 del 6/10/2006 il Tribuna le di Brindisi -Sezione distaccata di Ostuni-, pronunciando nei confronti di M. A. F., imputato dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 572 e 582 c.p., dichiarava questi colpevole dei reati ascrittigli e, concesse le attenuanti generiche ed applicato l’art. 81 C.P., lo condannava alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali -pena sospesa-; lo condannava altresì al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili (cioè le attrici di questo procedimento), da liquidarsi in sede civile, nonché al pagamento delle spese dalle stesse sostenute in giudizio, che venivano liquidate in € 1.800,00= per diritti ed onorari, oltre IVA e CAP per rimborso forfetario come per legge: 2) avverso detta sentenza il M. proponeva appello alla Corte di Appello di Lecce -Sez. penale- che, con sentenza n. 112/08 del 24/01/2008 (R.G. n. 781/07), confermava integralmente la precedente indicata sentenza del Tribunale di Brindisi -Sez. distaccata di Ostuni- e lo condannava al pagamento anche delle spese del secondo grado verso lo Stato e verso le costituite parti civili, liquidandole in complessivi € 1.000,00 oltre accessori di legge. Detta sentenza è definitivamente passata in giudicato. Le attrici chiedono, pertanto, la liquidazione del danno non patrimoniale subito.

La domanda è fondata.
Invero, la sentenza della Corte di Appello di Lecce -Sez. Penale-, con ampia motivazione, confermando la pronuncia del giudice di prime cure, ha ribadito la responsabilità del convenuto in ordine ai reati contestatigli. Ciò, peraltro, a seguito della ricostruzione di una dinamica familiare di particolare gravità.
Sono, infatti, stati accertati episodi di sopraffazione e di maltrattamenti nei confronti della moglie e delle due figlie, gravi e ripetuti tanto da acquistare carattere sistematico; nonché la gelosia ossessiva del convenuto stesso, che impediva l’accesso in casa di qualsiasi uomo, anche se parente.
Risultano, altresì, provate le vessazioni continue nei confronti della moglie e delle figlie, fonte di costante disagio per le stesse, nonché, in genere, il suo comportamento violento.
D’altronde, risulta che la figlia E. ha beneficiato, in costanza della permanenza presso la residenza familiare, dell’assistenza psicologica del consultorio familiare di Ostuni.
Per quanto concerne specificatamente la posizione della moglie, è stato accertato che sin dall’inizio della vita coniugale (nel 1975) il convenuto non le aveva consentito di uscire di casa, neppure per la spesa.
Risultano, altresì, provati l’uso abituale di epiteti poco edificanti (e, senza dubbio, inconciliabili con la natura stessa della relazione parentale) nei confronti della moglie e delle figlie; così come anche le minacce loro rivolte di provocarne la morte, aggravate dall’esibizione di un coltello, dal quale il convenuto non si separava mai, neppure di notte.
Ulteriore conferma di questo scenario di violenze e sopraffazioni, il giudice penale ha tratto dai diversi certificati medici del P.S. di Ostuni (lesioni personali subite dalla P. e dalle figlie), dalle dichiarazioni di S. A. e S. O. (entrambi in servizio presso il Commissariato di P.S. di Ostuni), dalle testimonianze dei vicini di casa (N. P., *****, M. V., OMISSIS), ecc..
Accertata, perciò, la colpevolezza del M. per i delitti continuati di maltrattamenti in famiglia e di lesioni volontarie, la sentenza del Tribunale di Brindisi -Sez. distaccata di Ostuni- del 24/1/2008 è divenuta definitiva, anche nella parte in cui condannava il convenuto al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, cioè in questa sede.

Sul danno biologico, quale mera voce descrittiva del danno non patrimoniale

E’ noto come le Sezioni Unite dell’11.11.2008 abbiano degradato il danno biologico a mera componente descrittiva della più ampia categoria del danno non patrimoniale.
Esso, va inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica in sè e per sè considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione.
Tale voce di danno, come precisato dalla Corte Costituzionale, n. 184/’86, non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza del danneggiato, con il conseguente paradosso, al contempo, dell’irrisarcibilità del danno biologico, subito da chi sia sprovvisto di un’attività lavorativa e della commisurazione del danno all’occupazione del soggetto o, persino – secondo un’inammissibile visione della società, rigidamente ripartita per classi – dei genitori.
Come espressamente affermato anche dall’art. 139 del Codice delle Assicurazioni, per danno biologico deve, invece intendersi “la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.
Ciò premesso, il danno biologico – consistente nella violazione dell’integrità psico-fisica della persona – va considerato ai fini della determinazione del risarcimento, sia nel suo aspetto statico (diminuzione del bene primario dell’integrità psico-fisica in sè e per sè considerata) sia nel suo aspetto dinamico (manifestazione o espressione quotidiana del bene salute e, a tal riguardo, è evidente la rilevanza del c.d. pregiudizio estetico).

Sulla componente descrittiva del danno morale

Le Sezioni Unite definiscono tale voce descrittiva del danno non patrimoniale quale sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata.
Inoltre, deve venire in rilievo la sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale.
Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza.
Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.
Dunque, determinerebbe, duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo.
Esclusa la praticabilità di tale operazione, l’interprete qualora si avvalga delle note tabelle, deve procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Deve precisarsi che il principio della non cumulabilità delle due voci di danno, enucleato dalle Sezioni Unite del 2008, non è assoluto, ma inerisce le ipotesi in cui la sofferenza psicologica degeneri in patologia medica.
Secondo la giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite (Cass., Sez. III, 5770/10 e 11701/09; Corte Appello Torino, sez. terza, 10.10.2009, est. ******; Tribunale Piacenza, 04.06.2009, est. Morlini) sarebbe, invece, sempre ammissibile la liquidazione della voce del danno morale, contestualmente alla voce del danno biologico. E ciò indipendentemente, dalle condizioni poste dalle Sezioni Unite che, in ogni caso, diversamente da come da altri opinato, non hanno inteso affatto negare la risarcibilità della voce- danno morale.
Invero, tal ultima è dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona, ovvero all’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana desumibile dall’art. 2 Cost., in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con L. 02.08.2008 n. 190.
Inoltre, secondo le Sezioni Unite, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d’animo transeunte, ed affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare (ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare) è risarcibile.
Ciò in virtù della scelta del legislatore di consacrare il risarcimento del danno morale derivante da reato, al di là di qualunque condizione ulteriore e diversa dall’accertamento, in concreto, del fatto di reato.
La tutela risarcitoria deve essere riconosciuta – precisano le Sezioni Unite – per il solo fatto che sia stato leso un interesse giuridicamente protetto, e meritevole di tutela, sulla base dell’ordinamento positivo, in base al modello dell’art. 2043 c.c.
Ciò, anche in assenza dell’accertamento dell’avvenuta lesione di un diritto costituzionalmente garantito, posto dalla stessa pronuncia delle Sezioni Unite, quale condizione imprescindibile per il risarcimento del danno non patrimoniale, seppur, in via alternativa, all’ipotesi dell’esistenza di un’espressa previsione legale di risarcibilità della suddetta tipologia di danno.
D’altronde, il danno morale da reato, trovando fondamento nel combinato disposto degli artt. 2059 cc e 185 c.p..costituisce proprio un’ipotesi di espressa risarcibilità del danno non patrimoniale.

Il caso di specie

Ciò premesso, e ricostruiti gli esatti confini del danno non patrimoniale, nel caso di specie, risultano accertate lesioni di carattere fisico, documentate, come risulta dalle sentenze penali, dai referti medici rilasciati dal pronto soccorso; così come sofferenze morali di peculiare gravità, tanto più se si consideri che esse si inseriscono in una relazione qualificata e di particolare intensità, qual è quella che dovrebbe legare, da una parte, padre e figlia, dall’altra, marito e moglie.
Si tratta di due profili relazionali che se sono fonte di crescita e benessere psichico, nel loro funzionamento fisiologico, possono divenire – quando, come nel caso di specie, subiscano un’alterazione patologica -, fonte di grave disagio morale.
Peraltro, in considerazione dell’atteggiamento segregante del convenuto, può dirsi accertata quell’ulteriore forma di estrinsecazione del danno non patrimoniale di tipo biologico che è il danno alla vita di relazione, quale capacità e possibilità di intrattenere le normali e abituali relazioni umane con il contesto sociale di appartenenza.
Orbene, alla luce della gravità e durata degli episodi di violenza fisica e morale, nonché del carattere sistematico del significativo condizionamento psichico cui il padre ha sottoposto figlie e madre, si ritiene di dover liquidare euro 28.000 per la figlia E., euro 20.000 per l’altra figlia, nonché euro 15,000 in favore della madre.
Ciò, differenziando, in primis, la posizione della coniuge rispetto a quelle delle figlie che, in quanto minori all’epoca dei fatti, deve ritenersi, sulla base di una regola di esperienza di difficile smentita, abbiano avvertito, in maniera più pregnante gli effetti di una condotta relazionale, quella del padre, il cui elemento qualificante è risultato essere la violenza, anche morale.
Si ritiene, altresì, equo differenziare, altresì, la posizione della figlia E. dall’altra, in conseguenza della sottoposizione della stessa al summenzionato percorso di sostegno psicologico, circostanza che denota una peculiare incisività degli effetti lesivi della condotta attrice.

L’equità calibrata

A tale esito liquidatorio si perviene anche facendo applicazione del criterio dell’equità calibrata in luogo del c.d. criterio equitativo “puro”, che rinviene la propria legittimazione nell’art. 1226 c.c.; norma applicabile anche in materia di illecito aquiliano per effetto dell’espresso richiamo operato al suddetto dall’art. 2056 c.c. al fine delinea lo statuto della responsabilità da illecito extracontrattuale.
Infatti, il criterio equitativo puro, in assenza di criteri uniformi che concorrano alla determinazione della base risarcitoria, si presta, tendenzialmente, a soluzioni risarcitorie che sono condizionate essenzialmente dalla sensibilità del Magistrato.
Da ciò, la necessità di indispensabili correttivi.
In particolare, una dottrina autorevole propone lo strumento dell’equità calibrata. Poiché il criterio equitativo si offre a soluzioni risarcitorie così disparate, il Giudice, a fronte della singola fattispecie concreta, deve avere contezza dei precedenti giurisprudenziali, riferiti alle singole patologie di danno non patrimoniale portate all’esame dei magistrati; e, sulla base di questi precedenti giurisprudenziali, secondo una sorta di ideale scala di valori, dovrebbe “procedere a una modulazione proporzionale, ma sempre in senso equitativo del danno”.
Per cui, se, a fronte della lesione del diritto a intrattenere relazioni sessuali, si risarciscono X mila euro, a fronte della lesione del diritto a intrattenere il rapporto parentale col congiunto defunto – quale ipotesi significativamente più grave di lesione di diritti della personalità – si dovrebbe liquidare un’entità economica apprezzabilmente superiore.
Quindi, l’interprete, in sostanza, secondo la tesi dell’equità calibrata, deve avere presenti quelli che sono i precedenti giurisprudenziali relative alla singole ipotesi di danno non patrimoniale risarcibile, e poi, in considerazione di questi precedenti, modulare concretamente il risarcimento in relazione alla fattispecie portata alla sua attenzione.
Orbene, proprio avuto riguardo alle misure risarcitorie riconosciute a fronte di pregiudizi non patrimoniali di rango inferiore (si pensi al danno morale derivante da lesioni di lieve entità o a quello riconducibile ad un’ipotesi di diffamazione, a mezzo stampa), nonché a fronte di eventi lesivi del tipo di quello dedotto in giudizio, si ritiene equa la riparazione economica accordata nel caso di specie.
Le spese – liquidate come da dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da P. M. C., M. A. e ***** nei confronti di M. A. F., disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:
1) condanna il convenuto al pagamento di euro 28.000, in favore di *****, di euro 20.000 in favore di M. A., nonché di euro 15.000 in favore della madre;
2) condanna il convenuto al pagamento, in favore delle attrici, delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 3900,00 di cui euro 510 per spese, euro 1390,00 per diritti ed € 2000,00 per onorario, oltre iva e cap ed esborsi forfettizzati come per legge.

IL GIUDICE
(*******************)

Redazione