Commento a caldo sulla sentenza delle SS.UU. n. 8825/2017

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Molto rilevanti sono gli effetti  di tale sentenza.

Essa impone una preliminare delibazione di ammissibilità dell’appello relativa alla specificità estrinseca dei motivi.

Procediamo con ordine.

 

La sentenza differenzia tra genericità intrinseca dei motivi di appello e genericità estrinseca degli stessi.

Il concetto di genericità è l’opposto di specificità.

I motivi di appello, per poter superare il preliminare vaglio di ammissibilità, devono essere caratterizzati e da specificità intrinseca e da specificità estrinseca.

 

Il motivo difetta di specificità intrinseca quando si basa su argomentazioni  generiche, astratte o non pertinenti. Si parla di genericità “intrinseca” perché il motivo, riguardato in sé stesso, è carente di specificità.

Su tale tipo di inammissibilità non è mai sorto contrasto giurisprudenziale e dunque la sentenza in commento non ha introdotto alcunché di nuovo sul punto.

Va comunque rilevato che, nella prassi, solo raramente il giudice di appello dichiara un motivo inammissibile per difetto di specificità intrinseca, o ciò che è lo stesso, per genericità intrinseca. Di fatto, il giudice di appello preferisce comunque entrare nel merito delle seppur generiche (o astratte, o non pertinenti) argomentazioni difensive, per rigettarle (o talvolta, paradossalmente, anche per accoglierle).

 

La sentenza delle SS.UU. si occupa del difetto di specificità estrinseca dei motivi di appello, introducendo novità molto rilevanti.

Cos’è la specificità estrinseca dei motivi di appello?

Volendo spiegare il concetto in parole semplici, il motivo è fornito del requisito della specificità estrinseca quando con esso l’avvocato contesta, censura, critica il ragionamento del giudice di primo grado. Cioè quando nell’appello il difensore non si limita ad introdurre un proprio ragionamento tendente all’assoluzione, ma prioritariamente censura le argomentazioni logico-giuridiche del primo giudice.

Il motivo d’appello, per essere fornito di specificità estrinseca, deve essere basato, da un punto di vista logico-giuridico, su di un prius – che è la censura del ragionamento del giudice a quo-, e su di un posterius -che è l’introduzione di argomentazioni tendenti all’assoluzione. Il difensore, se non vuole incorrere nella declaratoria di inammissibilità del motivo, deve aver cura di “attaccare” la sentenza di primo grado, demolendo il ragionamento del primo giudice, e solo successivamente, da un punto di vista logico-giuridico, può, anzi deve, introdurre proprie argomentazioni difensive.

 

 

 

Detto ciò a livello teorico, passiamo sul  piano pratico.

 

Un soggetto viene tenuto sotto osservazione dalla PG perché sospettato di voler rubare i bagagli dei viaggiatori presenti in una stazione. Il sospetto è fondato perché, mentre è in corso l’osservazione della PG, quest’uomo sfila una borsetta dal bagaglio di una viaggiatrice e la mette in tasca. Immediatamente la PG interviene e lo arresta.                                                                                    

Il primo giudice condanna l’imputato per furto consumato, nulla dicendo in merito all’ipotesi di configurabilità del tentativo.

Il difensore, nell’appello, nulla dice in merito alla sentenza di condanna per furto consumato, ma introduce direttamente il suo ragionamento difensivo, che si basa sulla sentenza delle sezioni unite (relativa al furto nei supermercati), che afferma che – quando l’azione criminosa si svolge sotto la diretta percezione della p.o., dei suoi dipendenti, o, ciò che rileva nel nostro caso, della PG – non si ha furto consumato ma solo tentato, perché l’agente non consegue la piena disponibilità della refurtiva.

Questo motivo, come evidente, è del tutto fondato. Però l’appellante non ha criticato la sentenza di primo grado ma ha direttamente introdotto le sue argomentazioni difensive. Si potrebbe pensare che il motivo sia privo di specificità estrinseca e quindi inammissibile. Ma non è così. Il motivo è pienamente ammissibile. Ciò perché, circa la configurazione del tentativo, il primo giudice nulla ha detto. Ergo, l’appellante non deve attaccare la sentenza di primo grado perché non vi sono argomentazioni del giudice da demolire. Vi è solo il silenzio sul punto da parte del primo giudicante. Laddove il giudice omette di argomentare, il difensore non ha nessuna critica (“specifica, mirata, necessariamente puntuale” come vuole la sentenza n. 8825 in commento) da poter fare. L’appellante è dunque libero di introdurre – direttamente –  la sua argomentazione difensiva.

 

Altro esempio.

Il giudice di primo grado non concede le circostanze attenuanti generiche, facendo un articolato ragionamento relativo alle modalità del fatto o alla capacità a delinquere dell’agente, sottolineando ad esempio l’intensità dell’elemento soggettivo, oppure l’oggetto dell’azione delittuosa, e così via.

Il difensore, nell’appello, nulla dice a confutazione dell’assunto del giudice di prime cure, ma si dilunga su proprie argomentazioni, fondate ad esempio sull’incensuratezza del soggetto, sulla giovane età, sulle condizioni personali (ad es. tossicodipendenza, famiglia disagiata), e così via.

Prima domanda: questo motivo, relativo alla richiesta delle circostanze attenuanti generiche, è fornito di specificità intrinseca? Risposta: certamente sì. Il motivo, in sé riguardato, è basato su ampie argomentazioni. Lo definirei non specifico, ma addirittura ultra-specifico. Però, solo dal punto di vista intrinseco.

Sotto il profilo estrinseco, cioè se analizziamo il motivo in relazione (estrinseca, appunto) con la sentenza impugnata, esso è del tutto avulso da questa decisione. In altre parole, il difensore, non ha preso di mira la sentenza impugnata, non l’ha fatta oggetto di critiche specifiche, mirate e puntuali, volte a demolire il ragionamento del giudice relativo al diniego delle attenuanti generiche. L’appellante ha direttamente introdotto le sue argomentazioni tendenti al riconoscimento di dette attenuanti, ma esse, per quanto approfondite in sé stesse, sono assolutamente prive di correlazione con la sentenza  appellata. Ergo, il motivo è da dichiararsi inammissibile (dal punto di vista estrinseco).

Questa è la novità, la grande novità, della sentenza in parola. E non è poco!

Infatti, un motivo come questo che stiamo analizzando -si ripete, basato anche su più pagine di argomentazioni- prima della decisione in commento superava tranquillamente il vaglio di ammissibilità; ora non più.

 

Terzo esempio.

Il difensore appellante, di fronte ad una sentenza in cui il giudice ha esplicitato le sue argomentazioni in punto di trattamento sanzionatorio,  chiede la riduzione della pena “affinché la stessa sia maggiormente aderente alle modalità concrete del fatto come accertate in primo grado” .

Questo motivo, attinente al trattamento sanzionatorio, è caratterizzato dai requisiti di specificità intrinseca e di specificità estrinseca?

Risposta: è sfornito di entrambi, cioè è inammissibile sia per genericità intrinseca sia per genericità

estrinseca.

Non vi è specificità estrinseca perché abbiamo supposto che il giudice di primo grado abbia speso delle parole per argomentare la sua decisione sul quantum della pena. Il difensore doveva “attaccare” il ragionamento del giudice e criticarlo. In questo caso non è stato fatto ciò.

 

Più sottile è la conclusione da farsi sul versante della specificità intrinseca, ma a ben vedere si può arrivare ad una conclusione scevra da dubbi.

Il motivo in questione potrebbe sembrare a prima vista intrinsecamente specifico, perché il difensore ha comunque fatto riferimento alle modalità concrete del fatto “come accertate in sentenza”, dunque per relationem ha operato un  rinvio all’accertamento giudiziale.

Il motivo in realtà è intrinsecamente generico.

Infatti, le modalità concrete di un fatto criminoso sono tante. Possono essere relative al tempo e al luogo della condotta, all’oggetto dell’azione criminosa, alla qualità della vittima, all’utilizzo di complici (anche minorenni), e via discorrendo. Con il riferirsi a -tutte- le modalità del fatto di cui in sentenza, in realtà il difensore si mantiene sul generico,  non specifica alcunché, cioè non evidenzia -in modo specifico- quale sia,  o quali siano, secondo lui, le puntuali modalità concrete del fatto che militano per una riduzione della pena. Ergo, il motivo è inammissibile (anche) per difetto di specificità intrinseca. 

 

Conclusioni finali.

Il terreno dell’inammissibilità dei motivi è molto scivoloso, perché tra le categorie della specificità/genericità il confine può essere indubbiamente labile.

Nonostante ciò la sentenza in commento, provenendo dalle SS.UU., non può non essere applicata dal giudice di merito.

Se sia sostanzialmente giusto applicare tale sentenza in modo retroattivo (come è doveroso), dichiarando così inammissibili (totalmente o parzialmente) appelli pregressi alla pronuncia medesima, è questione che esula dal presente breve commento che si sviluppa su di un piano squisitamente giuridico.

 

Sentenza collegata

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Giovanni Carbone

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