Corte di Cassazione Penale Sezioni unite 3/12/2010 n. 43055

Redazione 03/12/10
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Svolgimento del processo
1. Il Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Bari, con sentenza del 27 aprile 2009 depositata in pari data, dava atto che il p.m. aveva in precedenza sollecitato l’emissione di decreto penale di condanna; peraltro, ritenendo la ricorrenza dei presupposti, dichiarava non doversi procedere, ai sensi dell’art. 459 c.p.p., comma 3, nei confronti di D.S.F. e D.S. M. in ordine al reato di cui all’art. 113 c.p., art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, in relazione all’art. 583 c.p., comma 1, n. 2, per intervenuta prescrizione.

In particolare, era addebitato agli imputati di avere cagionato "fino al 31 dicembre 2003" lesioni personali gravi (indebolimento permanente dell’udito) ad un lavoratore dipendente della ditta da loro amministrata, per colpa consistita in imperizia, negligenza ed inosservanza delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Il Giudice osservava che il reato contestato doveva ritenersi prescritto alla data del 31 dicembre 2008, non essendo intervenuti atti interruttivi, per cui, "mancando le condizioni per la più favorevole pronuncia di assoluzione nel merito", doveva pronunciarsi sentenza dichiarativa della causa estintiva ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 1.

L’avviso di deposito della sentenza veniva notificato in data 20 giugno 2009 a D.S.M. ed il 1 luglio 2009 a D. S.F..

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli Imputati, chiedendo l’annullamento della sentenza in base al seguenti motivi.

2.1 Illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell’art. 459 cod. proc. pen. nella parte In cui dispone che "il giudice, quando non accoglie la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129, restituisce gli atti al pubblico ministero".

Al riguardo, gli istanti facevano leva sull’assenza di una udienza nel rito prima dell’emissione della sentenza di proscioglimento nell’ipotesi di cui all’art. 459 c.p.p., comma 3. Infatti, nei caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione, la procedura de plano prevista dal codice verrebbe a privare gli imputati del diritto di difesa e quindi del diritto al contraddittorio, consentendo al giudice di pronunciarsi senza che gli imputati abbiano avuto in precedenza alcuna conoscenza del procedimento e senza avere posto le parti in condizioni di intervenire sull’oggetto del procedimento.

Inoltre, sussisterebbe disparità di trattamento rispetto agli imputati di reati per i quali è stabilita la fissazione di un’udienza preliminare e che hanno la possibilità di rinunciare all’applicazione della prescrizione, chiedendo l’assoluzione nel merito.

2.2 Mancanza totale di motivazione, avendo il giudice omesso qualsivoglia argomentazione in ordine all’impossibilità, nella fattispecie, di pronunciare assoluzione nel merito e avendo omesso di considerare atti presenti nel fascicolo del procedimento, idonei a confermare la carenza di responsabilità a carico degli imputati.

3. Il ricorso veniva assegnato alla Quarta Sezione penale e trattato all’udienza del 25 febbraio 2010. 4. La Quarta Sezione riteneva preliminare, rispetto alle questioni sollevate dai ricorrenti, affrontare quella della individuazione del corretto mezzo di impugnazione della sentenza di proscioglimento pronunciata ex art. 459 cod. proc. pen., evidenziando in tema la ricorrenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

L’orientamento consolidato e maggioritario, manifestatosi con riferimento esclusivo ad impugnazioni del p.m., era nel senso che il rimedio esperibile fosse il ricorso per cassazione (così, innanzitutto, la sentenza delle Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, dep. 23/06/1993, P.M. In proc. *****, Rv. 193744). La Corte fondava la decisione su vari argomenti: In primo luogo, il dato letterale (l’art. 594 cod. proc. pen. all’epoca vigente limitava l’appello del p.m. al casi consentiti, tra i quali non poteva ricomprendersi l’ipotesi ex art. 459, comma 3); nonchè, l’impossibilità sul piano sistematico di delineare un giudizio di appello, limitato – in caso di fondatezza del gravame – al solo annullamento della decisione del Giudice per le indagini preliminari, al di fuori dei tassativi casi di declaratoria di nullità di cui all’art. 604 cod. proc. pen..

Invero, se appellante era il p.m. non poteva ammettersi una pronuncia di condanna del giudice di appello a fronte dell’Incompetenza funzionale del giudice di primo grado investito della richiesta di decreto penale a emettere una sentenza di condanna.

Un diverso orientamento veniva, molti anni dopo, consapevolmente espresso dalla sentenza della Sezione 3, n. 46646 del 17/10/2007, dep. 14/12/2007, P.G. in proc. Di Donna, Rv. 238443, secondo cui "l’unico mezzo di Impugnazione esperibile contro la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari a seguito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, è l’appello e non il ricorso per cassazione". Nella motivazione, la Corte, nell’enunciare il predetto principio, precisava che tale soluzione conseguiva, da un verso, dall’abrogazione dell’art. 594 cod. proc. pen. che aveva fatto venir meno il dato letterale che giustificava l’esclusione dell’appellabilità della sentenza di proscioglimento emessa a norma dell’art. 459; e, dall’altro, dalle modifiche subite dall’art. 593 cod. proc. pen., prima con la L. 20 febbraio 2006, n. 46 e poi per effetto dell’intervento demolitolo della Corte Costituzionale (sent. n. 26 del 2007), le quali avevano fatto venire meno qualsiasi ostacolo all’appellabilità da parte del p.m. del provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari.

In prosieguo, la Sezione 6, con sentenza n. 31815 del 06/06/2008, dep. 29/07/2008, P.G. in proc. *******, Rv. 240926 (seguita da altre decisioni conformi), è tornata a ribadire la tesi della sola impugnabilità con ricorso per cassazione. La Corte, sul punto, non condividendo il principio di diritto formulato dalla sentenza Di Donna, ha osservato che, al di là del mutato quadro giuridico circa il regime dell’appello, restava valida una delle principali ragioni che aveva indotto le Sezioni Unite Amato ad affermare che l’impugnazione proponibile fosse solo il ricorso per cassazione, e cioè la definizione della competenza funzionale del giudice di appello, che in principio può pronunciare unicamente sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata (art. 605 cod. proc. pen.).

5. In considerazione del contrasto giurisprudenziale delineato, la Sezione Quarta rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..

Motivi della decisione
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: "se la sentenza di proscioglimento, emessa dal giudice per le indagini preliminari a seguito di una richiesta di decreto penale di condanna, sia appellabile o ricorri bile per cassazione". 2. Come indicato in precedenza, la questione è stata già risolta in passato, in riferimento ad impugnazione del p.m., dalle Sezioni Unite con la sentenza del 1993, P.M. in proc. *****, nel senso che il rimedio esperibile avverso la decisione con la quale il Giudice per le indagini preliminari, richiesto dell’emissione di decreto penale di condanna, abbia prosciolto l’imputato è il ricorso per cassazione. L’orientamento è stato seguito Implicitamente da una successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 13 del 9/6/1995, dep. 25/10/1995, P.G. in proc. *******, Rv. 202374, con la quale è stata ribadita l’impugnabilità con ricorso per cassazione della sentenza di proscioglimento nel merito, ex art. 129, comma 2, pronunciata dal Giudice per le Indagini preliminari ai sensi dell’art. 459 c.p.p., comma 3. In modo conforme per diversi anni sono seguite numerose pronunce: v. tra le altre, Sez. 3, n. 1318, 24/03/2000, dep. 25/05/2000, P.G. in proc. *********, Rv. 217526; Sez. 5, n. 3874, 25/09/2001, dep. 30/10/2001, P.G. In proc. Adulai, Rv 220051; Sez. 3, n. 14487, 30/01/2003, dep. 31/03/2003, P.M. in proc. *******, Rv. 224455; Sez. 6, n. 47313, 19/12/2005, dep. 29/12/2005, PG. in proc. *******.

Dopo il mutamento di orientamento dovuto a Sezione Terza con decisione del 2007, P.G. in proc. Di Donna, nel senso dell’appellabilità della sentenza ex art. 459, comma 3, le Sezioni semplici della Corte di Cassazione hanno ripreso consapevolmente l’indirizzo inteso ad affermare la sola ricorribilltà per cassazione della sentenza di proscioglimento. In tal senso, si è pronunciata, innanzitutto, la sentenza della Sezione Sesta del 2008, P.G. in proc. *******, e successivamente Sez. 6, n. 45679, 12/11/2008, dep. 10/12/2008, P.G. In proc. Politane Rv. 241662; Sez. 5, n. 4387, 09/12/2008, dep. 02/02/2009, P.G. in proc. Anello, Rv. 242608; Sez. 5, n. 4341, 09/12/2008, dep. 30/01/2009, P.G. in proc. ********; Sez. 5, n. 14178, 26/11/2009, dep. 13/4/2010, *******, Rv. 246880. 3. Ritiene questa Corte che la tesi esposta dall’orientamento maggioritario, consolidatosi con il tempo, sia condivisibile e debba essere confermata.

Invero, non è compatibile con il sistema delle impugnazioni, che è ispirato al criterio di tassatività dei mezzi relativi (art. 568 c.p.p., comma 1), l’impugnabilità della sentenza di proscioglimento, ex art. 459, comma 3, con il mezzo dell’appello. Infatti, l’appello, salvo le ipotesi stabilite dall’art. 604 cod. proc. pen. in cui il giudice di secondo grado può dichiarare la nullità della sentenza o del provvedimento del giudice di primo grado, non ha effetti rescindenti della decisione Impugnata con la conseguente prosecuzione del giudizio in sede rescissoria; in principio, il giudice di appello può concludere il giudizio di Impugnazione unicamente con pronuncia di conferma o riforma della sentenza di primo grado (art. 605 cod. proc. pen.).

La non esperibilità dell’appello, nella ipotesi in esame, si palesa appunto giustificata in relazione all’incompetenza funzionale del giudice di appello ad emettere decisione di annullamento della sentenza del Giudice per le indagini preliminari e contemporaneamente all’incompetenza ad emettere, nel caso di impugnazione del p.m., sentenza di condanna dell’imputato. Infatti, il giudice di appello non può incidere sulla regiudicanda con poteri di cognizione più ampi rispetto a quelli di cui è titolare il giudice di primo grado, il quale, ai sensi dell’art. 459 cod. proc. pen., ricevuta la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, può non accogliere la richiesta e restituire gli atti al p.m. ovvero pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129.

Ne consegue che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve fare riferimento necessariamente all’art. 568 c.p.p., comma 2, il quale dispone che sono sempre soggette a ricorso per cassazione te sentenze, salvo quelle sulla competenza che possono dare luogo a conflitto di giurisdizione o competenza a norma dell’art. 28 c.p.p..

Per contro, deve osservarsi, in riferimento al diverso avviso manifestato dalla sentenza della Sezione Terza Di Donna, che, comunque, il tenore dell’attuale art. 593 c.p.p., comma 2, appare fare implicito richiamo alle sentenze di proscioglimento rese all’esito del dibattimento, tra le quali non è annoverabile quella pronunciata ex art. 459, comma 3. Pertanto, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: "La sentenza di proscioglimento, emessa dal giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di decreto penale di condanna, può essere Impugnata solo con ricorso per cassazione". 4. Nell’ambito dell’esame dell’altra questione pregiudiziale processuale evidenziatile, va detto che il ricorso proposto appare tempestivo.

Invero, la decisione impugnata è stata resa in camera di consiglio, per cui il termine di Impugnazione è di quindici giorni ai sensi dell’art. 585, comma 1, lett. a), decorrente dalla notificazione dell’avviso di deposito del provvedimento, incombente questo che va eseguito, ex art. 128 cod. proc. pen., in relazione a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione. Nella fattispecie, l’avviso di deposito avrebbe dovuto, quindi, essere notificato all’imputato (v. art. 571 c.p.p., comma 1 e art. 613 c.p.p., comma 1) ed anche al difensore (v. art. 571 c.p.p., comma 3 e art. 613 cod. proc. pen.) di fiducia o d’ufficio dell’Imputato necessariamente nominato, ai sensi degli artt. 96 e 97 c.p.p., art. 460 c.p.p., comma 3. Risulta dagli atti che l’avviso di deposito della sentenza venne notificato a D.S.M. ed a D. S.F., e non al difensore d’ufficio, in mancanza di quello di fiducia; ne discende che la decorrenza del termine definitivo per l’impugnazione (art. 585, comma 3) non ebbe mai inizio, dovendosi prendere in considerazione la data di notificazione al difensore, in effetti mai avvenuta.

5. Va preso atto dell’avvenuto decorso del termine prescrizionale concernente il reato di lesioni personali colpose contestato (fatto del 31 dicembre 2003, prescritto al dicembre 2008 in mancanza di atti interruttivi), così come correttamente evidenziato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari.

Come è noto, è principio ripetutamente affermato dalla Corte di cassazione quello secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato, l’ambito di controllo di legittimità sulla giustificazione della decisione è circoscritto all’evidenza delle condizioni di cui all’art. 129 c.p.p., comma 2, (proscioglimento nel merito) sulla base di un criterio che attiene alla constatazione piuttosto che all’apprezzamento, giacchè l’annullamento con rinvio è incompatibile con la declaratoria di estinzione del reato stabilita dall’art. 129 c.p.p., comma 1 e art. 620 c.p.p., comma 1, lett. a). Connesso a questo principio, è l’altro secondo cui, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità anche di ordine generale non è rilevabile nel giudizio di legittimità, con la sola eccezione che l’operatività della causa di estinzione non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito ovvero che la nullità afferisca direttamente alle modalità di rilevazione della causa estintiva: tanto, in forza della regola di immediata declaratoria delle cause di non punibilità (v. Sez. U, n. 1021, 28/11/2001, dep. 11/01/2002, *********, Rv. 220511; Sez. 6, n. 21459, 26/03/2008, dep. 28/05/2008, ******** ni, Rv. 240066; Sez. 5, n. 39217, 11/07/2008, dep. 20/10/2008, ******, Rv. 242326; Sez. 1, n. 39224, 24/09/2008, dep. 21/10/2008, P.G. in proc. *********, Rv. 241133; Sez. 5, n. 4233, 11/11/2008, dep. 29/01/2009, *********, Rv. 242959; Sez. U, n. 35490, 28/05/2009, dep. 15/09/2009, **********, Rv. 244274.

Nel caso in esame, la doglianza prospettata dai ricorrenti, circa la mancanza di contraddittorio in ordine all’emanazione della sentenza di proscioglimento per la ricorrenza di una causa di non punibilità, non appare idonea ad impedire gli effetti prevalenti della riscontrata causa di estinzione del reato. Difatti, gli imputati, tramite la proposizione del ricorso per cassazione, hanno avuto la possibilità di ottenere altra disamina e statuizione sul tema (v. così, la già citata sentenza Sez. U del 1995, *******) e, se ritenuto opportuno, di rinunciare espressamente alla prescrizione (facoltà esercitarle In ogni stato e grado del giudizio dall’interessato, ex art. 157 c.p., comma 7) al fine di consentire la celebrazione del giudizio di merito. Peraltro, gli imputati non hanno formulato alcun intendimento in ordine a quest’ultimo punto, ed all’esercizio di detto diritto personalissimo.

In tema, va affermato che la rinuncia alla prescrizione, secondo il testuale dettato dell’art. 157 c.p.p., comma 7, così come novellato dall’art. 6 legge 5 dicembre 2005 n. 251, richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti (v. Sez. 1, n. 18391, 13/03/2007, dep. 15/05/2007, ********, Rv. 236576; Sez. 5, n. 3548, 26/11/2009, dep. 27/01/2010, Coltura, Rv. 245841; Sez. 3, n. 14331, 04/03/2010, dep. 15/04/2010, *********, Rv. 246608). Per cui, essa non si può desumere implicitamente dalla mera proposizione del ricorso per cassazione.

6. La preventiva questione di costituzionalità sollevata non appare rilevante nel presente giudizio, atteso che la mancanza di contraddittorio nel procedimento monitorio (peraltro, più volte ritenuta non in contrasto con la Carta Fondamentale: Corte cost., ord. n. 8, 32 e 132 del 2003) non ha comportato alcun concreto pregiudizio agli istanti, i quali avrebbero potuto appunto rinunciare alla prescrizione successivamente nel corso del procedimento di impugnazione, rendendo fattibile lo svolgimento del giudizio di merito.

7. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile, essendo stata correttamente configurata la causa di non punibilità da parte del giudice di merito. I ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali. Non deve disporsi la condanna al pagamento di sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, secondo periodo, in considerazione della rilevanza della problematica comunque prospettata.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Redazione