Corte di Cassazione Penale Sezione Feriale 15/9/2008 n. 35301; Pres. Morgigni A.

Redazione 15/09/08
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FATTO E DIRITTO

1.- Al termine delle indagini preliminari i cinque imputati in epigrafe indicati erano tratti a giudizio per rispondere, tutti (con l’apporto di altri nove coimputati separatamente processati, di concorso nei reati di: A) rissa aggravata (art. 588 c.p., comma 2) per avere, quali tifosi della squadra di calcio del Torino, preso parte – in occasione della partita tra la Sampdoria e il Torino svoltasi a (omissis) – ad una rissa con i sostenitori della squadra locale, nel corso della quale "riportavano lesioni personali vari corrissanti nonchè agenti e ufficiali di pubblica sicurezza che si interponevano fra i gruppi contrapposti"; B) resistenza e lesioni a pubblico ufficiale plurime aggravate in continuazione (artt. 81, 110 e 337 c.p., art. 61 c.p., n. 2, artt. 582 e 585 c.p.) perchè, "al fine di sfondare il ed, cordone di contenimento formato da agenti di polizia e da carabinieri "allo scopo di separare i gruppi delle due opposte tifoserie, "colluttando con gli agenti, colpendoli con calci e pugni e con strumenti atti ad offendere (quali mazze, tubi in pvc e tubi in plastica) si opponevano agli stessi nel compimento di atti del loro ufficio e cagionavano a vari agenti lesioni personali lievi".

All’esito del giudizio di primo grado, svoltosi in contumacia dei cinque imputati, il Tribunale di Genova con sentenza emessa il 21.10.2005 li dichiarava tutti colpevoli dei tre reati loro ascritti, unificati sotto il vincolo della continuazione, e condannava:

C.D. e P.C. (entrambi, come da accusa contestata, recidivi reiterati) alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione ciascuno; A.G., ****** e D.R. – concesse attenuanti generiche prevalenti – alla pena condizionalmente sospesa di un anno di reclusione ciascuno.

Avverso tale sentenza interponevano appello i cinque imputati.

Con la suindicata sentenza in data 25.2.2008 la Corte di Appello di Genova manteneva fermo l’impianto ricostruttivo e valutativo della sentenza di primo grado, che integralmente confermava.

2.- Sul piano storico i fatti integranti la semplice vicenda per cui è processo sono facilmente ricomponibili, nei loro profili referenziali e diacronici, attraverso la congiunta lettura delle due decisioni dei giudici di merito. In proposito, al di là della puntuale motivazione della sentenza di appello, frutto di autonomo esame delle risultanze probatorie, non è inutile rammentare che questa Corte regolatrice ha chiarito come il giudice di legittimità, ai fini del vaglio di congruità e completezza della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento – ove si tratti di una sentenza pronunciata in grado di appello – sia alla sentenza di primo grado che alla sentenza di secondo grado, che si integrano vicendevolmente, dando origine ad enunciati ed esiti assertivi organici ed inseparabili. Tale dato, immanente nella dinamica del processo decisionale del giudice di merito, è vieppiù significativo allorchè, come nel presente caso, la sentenza di appello abbia confermato per intero (decisione c.d. doppia conforme) le statuizioni del giudice di primo grado (cfr., ex plurimis: Cass. Sez. 4, 24.10.2005 n. 1149, Mirabilia, rv. 233187).

Numerosi sostenitori della squadra del Torino giungono in treno a Genova per assistere alla partita di calcio con la Sampdoria. Sceso dal treno alla stazione ferroviaria di (omissis), il folto gruppo di tifosi è inquadrato in Corteo e, scortato da funzionari di polizia della Digos di Torino e della Questura di Genova e da un contingente di carabinieri, è incanalato in direzione dello stadio di *******, al Corteo aggiungendosi durante il percorso numerosi gruppi di altri tifosi del Torino autonomamente giunti a Genova. Nel tragitto i funzionari di polizia, in numero non adeguato a contenere efficacemente l’accresciuta moltitudine di tifosi, percepiscono uno stato di agitazione e fermento, che si scatena alla vista di drappelli di tifosi della Sampdoria che si dirigono allo stadio, transitando sull’opposto argine del torrente (omissis) costeggiato nel percorso verso lo stadio. Sul ponte (omissis) i tifosi del Torino riescono ad infrangere il cordone di contenimento di poliziotti e carabinieri e raggiungono i gruppi di tifosi sampdoriani, con i quali instaurano violenti scontri fisici, che non senza difficoltà le forze dell’ordine – a loro volta rese oggetto dei contegni aggressivi dei tifosi – riescono a sedare, facendo riprendere la marcia in Corteo ai sostenitori del Torino. Ma giunti in prossimità dell’ingresso allo stadio, nel piazzale (omissis), i tifosi – favoriti dall’ampiezza degli spazi che ostacolano utili interventi contenitivi di poliziotti e carabinieri – scatenano altri violenti scontri tra le opposte rappresentanze, che hanno termine solo dopo l’intervento di forze di polizia in ausilio. Nel corso degli episodi di rissa i funzionari di p.g., operanti effettuano numerose riprese fotografiche dei tifosi in atteggiamento di aggressione (muniti di bastoni e altri corpi contundenti, spesso travisati nel volto con sciarpe e cappucci). Molti operanti e tifosi debbono essere sottoposti a cure mediche per le lesioni riportate durante gli scontri, lesioni documentate da certificati sanitari versati in atti.

Sulla base anche della personale conoscenza che ne possiedono i funzionari di polizia di Torino i cinque odierni imputati sono agevolmente identificati e riconosciuti come protagonisti dei fatti di rissa e delle violenze compiute nei confronti degli agenti, che sono in grado di specificarne con sufficiente precisione i ruoli rispettivamente svolti nel corso degli scontri.

3.- Avverso la decisione confermativa dei giudici di appello gli imputati hanno proposto, tutti personalmente, ricorso per Cassazione, prospettando i motivi di censura, che – a norma dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1 – si sintetizzano come di seguito.

C.D. deduce:

1) la contraddittorietà e manifesta illogicità della decisione in rapporto alla sua ritenuta partecipazione ai reati contestati: la Corte di Appello non ha fornito risposta ai quesiti formulati con i motivi di gravame in merito alle fonti di prova dimostrative delle responsabilità individuali di ciascun imputato, limitandosi – quanto al C. – a confermarne la colpevolezza soltanto in base ad alcune immagini fotografiche che lo ritraggono sul luogo degli scontri, senza documentarne gesti di violenza, ed in base al ruolo di capo dei tifosi ultras del Torino; nè, ancora, i giudici di appello si sono fatti carico di chiarire la confermata sussistenza del contestato reato di rissa aggravata, sebbene difetti l’ontologico substrato della fattispecie criminosa, integrato dalla reciprocità dell’aggressione fra due o più gruppi contrapposti, essendo stati i soli tifosi del Torino ad assalire gruppi di tifosi della Sampdoria;

2) violazione di legge in relazione ai principi regolanti il concorso criminoso (art. 110 c.p.) nei reati di rissa, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale oggetto della regiudicanda: l’impugnata sentenza ha dedotto la responsabilità del ricorrente in ragione della sua semplice presenza sui luoghi dei reati, pur non emergendo dati di prova certa di attive condotte di violenza poste in essere dall’imputato.

A.G. e D.R. denunciano, con ricorsi di identico contenuto:

1) mancanza ed illogicità della motivazione in riferimento alle prospettazioni articolate con i motivi di appello in ordine alla addotta inesistenza del reato di rissa aggravata in difetto del requisito della reciprocità dei fatti di aggressione nonchè in ordine alla concreta partecipazione ai contestati episodi di ciascuno dei due imputati, unicamente ripresi in alcuni fotogrammi che li vedono presenti tra i sostenitori del Torino;

2) erronea applicazione della legge penale in merito alla ritenuta partecipazione dei due ricorrenti ai reati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, potendosi ritenere dimostrata la sola e semplice presenza dei due prevenuti in prossimità della zona in cui è avvenuto lo sfondamento del cordone di sicurezza predisposto dalle forze di polizia durante l’incedere del Corteo dei tifosi torinisti verso lo stadio, ma rimanendo privo di dimostrazione il concorso criminoso (materiale o soltanto morale in termini di rafforzamento dell’altrui proposito antigiuridico) dei due imputati.

P.C. e Ca.Pa. con ricorsi di uguale contenuto adducono: 1) mancanza di motivazione e travisamento del fatto: la Corte di Appello non ha preso in esame i motivi di appello, omettendo di fornire una qualsivoglia risposta alle delineate censure, afferenti alla insussistenza del reato di rissa aggravata (non essendovi immagini che attestino "il contatto fisico tra i corrissanti") e al difetto di affidabili elementi probatori dimostrativi della reale partecipazione dei due prevenuti a gesti di aggressione e violenza nei confronti dei rappresentanti delle forze dell’ordine, la confermata responsabilità di entrambi essendo radicata su un fallace sillogismo impropriamente mutuato dalla sentenza di primo grado, secondo cui la prova della corresponsabilità di entrambi gli imputati sarebbe offerta dalle fotografie che lì riprendono nell’area divenuta teatro degli episodi oggetto di imputazione.

4.- Le impugnazioni di tutti e cinque i ricorrenti sono sorrette da motivi manifestamente infondati e vanno di conseguenza dichiarate inammissibili.

Le censure rappresentate nei tre suindicati atti d’impugnazione possono essere esaminate in forma unitaria, poichè le stesse si profilano in larga parte analoghe o sovrapponibili, incentrandosi – da un latosulla insufficienza probatoria delle dichiarazioni e dei riconoscimenti fotografici dei funzionari di polizia operanti (vuoi per supposta non significatività delle loro individuazioni fotografiche, vuoi per assenza di riscontri esterni, vuoi per difetto di dati oggettivi accreditanti la commissione dei reati da parte di ciascuno dei ricorrenti) nonchè – d’altro lato – su una complessiva carenza motivazionale della decisione della Corte di Appello ligure, appiattitasi sulle emergenze valorizzate dalla sentenza di primo grado, senza operarne una autonoma valutazione e soprattutto senza tener conto -quanto agli appelli proposti dagli imputati P., A., Ca. e D. – degli specifici motivi di gravame da essi prospettati.

A. Della piena legittimità della motivazione per relationem adottata dalla Corte territoriale criticata dai ricorrenti, perchè impedirebbe di ricostruire il pensiero decisorio dei giudici di appello, si è in definitiva già detto con il richiamare l’indispensabile unitarietà delle decisioni di merito dei due gradi di giudizio costituenti un unitario corpo motivazionale. Per altro le critiche dei ricorrenti sono in tutta evidenza smentite dall’analisi della sentenza di secondo grado, che opera un rinvio alle circostanze storico-temporali degli episodi criminosi oggetto di regiudicanda già ripercorse dalla sentenza di primo grado; rinvio giustificato dalla semplicità ricostruttiva della vicenda giudiziaria in rapporto al suo svolgimento e alla rapidità della sua dinamica evolutiva.

B. Per completezza di motivazione va preliminarmente sgombrato il campo dalla possibile configurazione di cause estintive dei reati per sopravvenuta prescrizione, secondo quanto ipotizzato dai difensori intervenuti nella odierna discussione. Sebbene la genetica inammissibilità dei cinque ricorsi, impedendo il formarsi di validi rapporti processuali di impugnazione, precluda la disamina del tema dell’eventuale prescrizione dei reati ascritti in concorso ai prevenuti, è in ogni caso agevole constatare che nella vicenda di specie l’evento estintivo prescrizionale non si è affatto prodotto alla stregua del combinato disposto degli artt. 157 e 160 c.p.p. nel testo anteriore alla novella introdotta dalla L. n. 251 del 2005.

Al C. ed al P. non sono state concesse circostanze attenuanti in relazione al ritenuto più grave reato di resistenza dei tre contestati ex art. 81 cpv. c.p., sicchè per entrambi il termine ordinario di prescrizione dei reati era – in virtù delle citate norme prenovellate – pari a dieci anni, con conseguente prolungamento massimo pari a quindici anni per effetto di eventi interruttivi. E’ appena il caso di osservare che l’invocato ius superveniens più favorevole in tema di prescrizione del reato non può comunque essere applicato all’attuale vicenda processuale per l’espresso disposto della norma transitoria di cui alla citata L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, come interpretata dalla sentenza di parziale incostituzionalità n. 393/2006 della Corte Costituzionale (inapplicabilità ai processi già definiti in primo grado alla data di entrata in vigore della novella normativa). Quanto agli imputati A., Ca. e D., che hanno beneficiato delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, il corrispondente termine massimo di prescrizione era (ed è rimasto tale anche dopo la L. n. 251 del 2005) corrispondente a sette anni e sei mesi. Termine non decorso alla data odierna per effetto della sospensione ex lege (art. 159 c.p., art. 304 c.p.p.) di nove giorni connessa ad un differimento del dibattimento di primo grado richiesto dai difensori per esigenze extraprocessuali (il termine prescrizionale è destinato a spirare per i tre imputati alla data del 4.9.2008).

C. Inconferenti vanno considerate le critiche esposte dai ricorrenti in ordine ai profili di addotta carenza motivazionale o di illogicità dell’impugnata sentenza.

Giova precisare in proposito che i ricorsi dei cinque imputati non soltanto enunciano argomenti critici che impingono il merito fattuale della regiudicanda, di cui propongono una rivisitazione alternativa non consentita in sede di legittimità, quando si abbia riguardo alla linearità descrittiva e alla coerenza logica della decisione della Corte territoriale e del giudice di primo grado, del tutto immune dalle discrasie o incongruenze lamentate dai ricorrenti. Ma essi ricorsi si sviluppano attraverso la mera riproposizione di argomenti di doglianza pedissequamente riproduttivi dei precedenti motivi di gravame già esaminati e disattesi dalla decisione di appello. Le doglianze formulate contro quest’ultima non contengono elementi diversi da quelli già considerati dal giudice di appello, che per altro non è tenuto a riesaminare in dettaglio questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con motivazioni, genericamente criticate dagli appellanti, ritenute corrette ed esenti da vizi logici in sede di appello (Cass. Sez. 5, 27.1.2005 n. 11933, *********, rv. 231708: "E’ inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla Corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso").

In proposito è indispensabile rilevare che le doglianze di omessa motivazione sui temi dedotti con gli atti di appello oggi formulate dai ricorrenti P., A., Ca. e D. sono manifestamente infondate o, più esattamente, indeducibili (ex art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte). I temi focalizzati da detti quattro imputati, in sostanza omologhi a quelli denunciati dall’appellante C. (insussistenza del reato di rissa aggravata; difetto di prova delle responsabilità individuali per i reati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale), sono stati dedotti dai quattro imputati con motivi nuovi di appello (in data 30.1.2008) in aperta violazione del disposto dell’art. 585 c.p.p., comma 4, perchè del tutto privi del requisito della pertinenzialità o implicanza funzionale rispetto ai motivi di appello principali (presentati il 30.11.2005). Laonde, pur non pronunciandosi al riguardo, la Corte di Appello legittimamente non ha preso in considerazione siffatti motivi "nuovi" affetti da patente inammissibilità (cfr.: Cass. Sez. 3, 14.11.1995 n. 12260, *********, rv. 203712: "I motivi nuovi che l’art. 585 c.p.p., comma 4 consente di depositare in cancelleria fino a quindici giorni prima dell’udienza non possono porre questioni non proposte con quelli principali e questo per tre ordini di motivi: a) il tenore testuale dell’art. 167 disp. att. precisa che nella presentazione dei motivi nuovi devono essere specificati i capi e i punti enunciati a norma dell’art. 581 c.p.p., comma 1 lett. a) ai quali i motivi si riferiscono; b) diversamente sarebbe vanificato il principio del tempestivo e completo contraddittorio; c) l’appello incidentale, impossibile contro i motivi nuovi, sarebbe completamente vanificato se fosse possibile prospettare nuovi profili di annullamento con i motivi nuovi"; Cass. Sez. 1, 20.3.1997 n. 2305, Gomizelj, rv. 207323;

Cass. Sez. 3, 22.1.2004 n. 14776, ******, rv. 228525: "I motivi nuovi di impugnazione, di cui è menzione negli artt. 585 c.p.p., comma 4 e art. 611 c.p.p., comma 1 debbono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata: deve cioè sussistere una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari").

Gli imputati P., A., Ca. e D. con i motivi principali di appello hanno unicamente dedotto l’eccessività della pena loro inflitta con la sentenza 21.10.2005 del Tribunale di Genova, limitandosi ad invocarne una congrua riduzione con la previa concessione anche al P. delle attenuanti generiche già concesse agli altri tre coimputati. E’ ben evidente, quindi, che i motivi "nuovi" prospettati tre anni dopo e concernenti profili che investono il merito fattuale della regiudicanda e i corrispondenti dati dimostrativi della responsabilità di ciascuno sono destituiti di ogni attinenza o collegamento funzionale (esplicativo o estensivo) con i motivi principali a suo tempo delineati (v. Cass. Sez. 3, 1.2.2002 n. 10156, *****, rv. 221114: "Nel giudizio di Cassazione non comporta automatica nullità della sentenza di appello l’omessa motivazione in ordine ai motivi nuovi ritualmente depositati dall’appellante, dovendo il giudice di legittimità valutare se non si tratti di motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque non concernenti un punto decisivo…").

D. Eliminati in tal modo dall’area del giudizio sul piano formale, in ossequio al generale principio devolutivo che governa l’istituto delle impugnazioni, i non ammissibili motivi di ricorso inerenti all’omesso esame dei motivi "nuovi" di appello dedotti dai ricorrenti P., A., Ca. e D., può passarsi all’esame delle censure delineate dal ricorrente C., benchè in pratica – come chiarito – si tratti di censure surrettiziamente replicate anche dai coimputati P., A., Ca. e D..

I motivi di ricorso in parola sono manifestamente infondati.

D/1. In punto di responsabilità individuali, infatti, le due decisioni di merito non prestano il fianco a critiche, la partecipazione di tutti e cinque i ricorrenti agli scontri (rissa continuata) con i tifosi sampdoriani ed ai contegni di resistenza e aggressività lesiva consumati in danno di più rappresentanti delle forze dell’ordine non sono frutto di congetture o semplici sospetti, ma il risultato di idonea analisi di convergenti fonti indiziarie, che trovano il proprio baricentro da un lato nelle riprese fotografiche, che ritraggono ognuno dei cinque imputati come presente agli scontri in atteggiamento combattivo (talora impugnando corpi contundenti, talora con il volto parzialmente travisato), e -da un altro latonella univoca e affidabile individuazione dei cinque ricorrenti da parte degli agenti operanti (prove testimoniali) in virtù della loro non occasionale anteriore conoscenza per motivi di servizio. Evenienze probatorie che hanno consentito al giudice di primo grado, ripreso sul punto dall’impugnata sentenza di appello, di specificare il ruolo e le azioni sviluppate da ciascuno dei cinque imputati nelle varie fasi degli episodi precedenti la partita Sampdoria-Torino (v. sentenza del Tribunale, richiamata dalla Corte di Appello, p. 6: "Le prove documentali e testimoniali dimostrano che C., P., A., Ca. e D. fecero parte del gruppo di tifosi del Torino che abbandonò il Corteo, forzando la protezione costituita da alcuni uomini della Polizia.

Taluni erano armati di bastoni e comunque l’azione nel complesso fu compiuta con violenza, alcuni poliziotti riportarono le lesioni documentate in atti. Lo sfondamento era finalizzato allo scontro con la tifoseria avversa, al quale gli imputati parteciparono, taluni sempre muniti di bastoni…Gli scontri prima con la Polizia poi con gli altri tifosi furono accesi e violenti").

A fronte della completezza motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado, deve constatarsi che le prospettazioni critiche avanzate dal ricorrente C. (e, ad ogni buon conto, anche dagli altri quattro ricorrenti) si risolvono nel prefigurare una rivisitazione o diversa lettura in punto di fatto delle emergenze probatorie, rivisitazione o riesame per certo non percorribili nell’odierno giudizio di legittimità in rapporto ad una analisi valutativa operata dalla Corte di Appello di Genova adeguata ed esente, sul piano logico-giuridico, da aporie o contraddizioni.

Merita aggiungere – per ultimare l’esame delle doglianze espresse sul tema della affermata responsabilità individuale del C. e degli altri quattro ricorrenti – che le dichiarazioni delle persone offese (ed ai funzionali di polizia esaminati nel dibattimento di primo grado compete tale qualità) non necessitano di riscontri esterni, sì che esse possono formare da sole fonte di prova quando siano ritenute, come nella specie, dal giudice di merito attendibili sul piano oggettivo e soggettivo. Ed in uguale misura ben possono divenire elemento di convincimento del giudice anche le connesse e complementari individuazioni fotografiche cui abbiano proceduto gli ufficiali di p.g. operanti, trattandosi di dati probatori (prova), la cui affidabilità non deriva dai riconoscimenti in sè, ma dalla credibilità delle deposizioni di quanti, avendo esaminato le numerose fotografie degli imputati scattate in concomitanza degli scontri, si dicano certi della loro identificazione (Cass. Sez. 2, 28.10.2003 n. 47871, *******, rv. 227079: "L’individuazione di un soggetto, sia personale sia fotografica, è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, perciò, una specie del più generale concetto di dichiarazione; di modo che la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale").

D/2. Quanto al dedotto tema o motivo di ricorso relativo alla asserita non configurabilità nei fatti del contestato reato di rissa aggravata dalle lesioni riportate dai soggetti intervenuti, è agevole osservare -in base al dato testuale (unico elemento valutabile da questa Corte) ancora una volta offerto dalle congiunte motivazioni delle due sentenze di meritoche non risponde al vero che taluni agenti di polizia abbiano escluso che i tifosi del Torino, di cui fanno parte gli odierni cinque imputati, siano venuti a reciproca colluttazione (più episodi di tal genere) con gli esponenti della opposta tifoseria sampdoriana, avendoli piuttosto unilateralmente assaliti forzando il blocco della polizia. Con la conseguenza che, in difetto del dato della reciprocità degli scontri, il reato di rissa non sussisterebbe. E’ piuttosto vero il contrario. E’ sufficiente al riguardo menzionare le deposizioni, riportate nella sentenza di primo grado, cui si richiama l’impugnata sentenza di appello, rese dagli ispettori D. ("Quelli del Toro volevano andare verso quelli della Sampdoria e ci furono alcune scaramucce dove qualcuno fu pure ferito…poi è successo di tutto…e se ne sono date di santa ragione"), F. e S. (che menzionano scontri tra gruppi contrapposti).

In tale prospettiva conviene rammentare che il reato di rissa si concretizza in forme di violenta contesa tra più persone o gruppi di persone, con reciproco intento offensivo e con modalità che pongano in pericolo l’incolumità dei contendenti, non realizzandosi la fattispecie di cui all’art. 588 c.p. nel solo caso in cui uno dei gruppi in conflitto si limiti a resistere all’aggressione o ad assumere una mera difesa di tipo passivo. Emergenza che nelle vicende per cui è processo di certo non si è verificata, poichè gli elementi probatori raccolti nell’istruttoria dibattimentali e ripercorsi nelle decisioni di merito consentono di escludere che i tifosi della Sampdoria si siano contenuti in una semplice difesa dagli attacchi dei tifosi della squadra avversaria senza a loro volta rispondere su un piano paritario alle patite aggressioni.

Alla dichiarazione di inammissibilità delle impugnazioni segue per legge la condanna solidale dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè la condanna di ciascuno di essi a versare una somma in favore della cassa delle ammende, la cui entità stimasi equo determinare in Euro 1.000,00 (mille) pro capite.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Redazione