Corte di Cassazione Penale sez. VI 4/2/2009 n. 4945; Pres. De Roberto G.

Redazione 04/02/09
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IN FATTO E DIRITTO

Con ordinanza del 26 febbraio 2008 il Tribunale del riesame di Venezia confermava l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Verona 4 febbraio 2008, che aveva applicato a M.M., indagato per detenzione per fini di spaccio di sostanza stupefacente (hashish), la misura cautelare della custodia in carcere.

Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e)) perchè la posizione dell’odierno ricorrente, diametralmente diversa da quelle degli altri indagati proprio in virtù dei differenti esiti delle perquisizioni e dei sequestri, per l’indagato sempre negativi, viene irragionevolmente ad essere equiparata, nel contesto di un quadro indiziario non omogeneo, nel quale le conversazioni intercettate restano ai margini della valutazione;

2. manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e)) perchè il pericolo di recidivazione nel reato, desunto da una pretesa condotta di spaccio continuata nel tempo, si riferisce in realtà a poche telefonate risalenti al (omissis), separate da un arco temporale di oltre due mesi;

3. manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e)) perchè il Tribunale deduce la pericolosità sociale anche dalla pendenza di altro procedimento, nell’ambito del quale, tuttavia, non sono mai state emesse misure cautelari, in quanto non si sono rinvenuti sufficienti indizi o esigenze cautelari, sapendosi soltanto che si tratta di fatti risalenti al 2005 o a periodo anteriore.

L’impugnazione è inammissibile.

Nell’ordinanza impugnata sono stati indicati gli indizi e le fonti di prova dai quali sono stati desunti e, quindi, sia i sequestri, sia le intercettazioni, i cui risultati si integrano, dandosi reciprocamente riscontro.

Nella ricostruzione, così integrata, della vicenda la posizione del singolo indagato risulta dal complesso degli indizi raccolti e dal ruolo da lui svolto nel quadro generale delle condotte poste in essere, per cui la deduzione di una presunta diversità di trattamento rispetto di altri indagati, a carico dei quali risultino, in ipotesi, maggiori indizi, appare assolutamente incongrua e il vizio di illogicità della motivazione risulta, per conseguenza, manifestamente insussistente.

Il motivo stesso, peraltro, imperniato com’è sul confronto fra gli indizi esistenti a carico dei coindagati, non prende direttamente in considerazione gli elementi a carico del M. e risulta perciò anche generico per difetto di svolgimento di specifiche censure rispetto agli elementi addotti a suo carico, in contrasto con la regola, stabilita a pena d’inammissibilità dall’art. 581 c.p.p., lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), per cui nei motivi d’impugnazione devono essere indicate specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Ugualmente inammissibile è il secondo motivo, col quale il ricorrente muove in realtà censure in fatto, che implicano una ricostruzione della vicenda diversa da quella eseguita con la sentenza impugnata, prospettando una revisione del giudizio di merito incompatibile con il controllo di legittimità il quale ha fisiologicamente per oggetto la verifica della struttura logica della sentenza e non può, quindi, estendersi all’esame e alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti alla causa, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto al quale la Corte di Cassazione non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa (Cass. Sez. U. 2 luglio 1997 n. 6402 ric. *********; sez. 3^ 12 febbraio 1999 n. 3539, ric. Suini; Sez. 3^ 14 luglio 1999 n. 2609/99 ric. *****; Id., 12 novembre 1999 n. 3560 ric. *****; Sez. 7 9 luglio 2002 n. 35758 ric. ********).

Quanto al terzo motivo si osserva che nel procedimento cautelare il richiamo ad altro procedimento pendente, soprattutto se avente ad oggetto fatti analoghi come conferma del pericolo di recidiva, deve ritenersi legittimo perchè l’inchiesta richiamata costituisce una sorta di carico pendente, vale a dire una pendenza giudiziaria che, seppure non vi sia stata applicazione di provvedimenti di cautela, non può ritenersi indifferente per la sua stessa sussistenza nella valutazione del pericolo di commissione di reati della stessa specie di quello per cui si procede.

Nel caso in esame il pericolo di recidiva è desunto essenzialmente dalle conversazioni telefoniche intercettate nel presente procedimento, dalle quali secondo l’analisi dei Giudici del merito emerge che il M. ha ceduto a un cittadino nordafricano un chilogrammo di hashish e che si approvvigionava da un coindagato, si deduce la conferma del ruolo apicale svolto dallo stesso nell’ambito del mercato della droga. E solo incidentalmente si è fatto riferimento ad altra indagine a carico del M. per traffico di chilogrammi di droga.

Anche l’illogicità della motivazione eccepita al riguardo deve ritenersi palesemente insussistente.

Pertanto il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Redazione