Corte di Cassazione Penale sez. VI 19/3/2008 n. 27049; Pres. Ambrosini G.

Redazione 19/03/08
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FATTO

1) Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza in data 16-4-2004, con la quale il Giudice Monocratico di Napoli, all’esito di giudizio abbreviato, ha dichiarato N.A. colpevole, tra l’altro, del reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter (capo C della rubrica), per aver detenuto per la vendita 91 CD e 29 DVD illecitamente riprodotti e sprovvisti del marchio SIAI, e del reato di cui D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, come modificato dalla L. n. 189 del 2002, art. 13 (capo D), perchè, quale destinatario del provvedimento del Questore di Lecce del 20-2-2003 di espulsione con intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, si tratteneva senza giustificato motivo del territorio; in (omissis).

2) Ricorre il N., a mezzo del suo difensore, denunciando col primo motivo la violazione dell’art. 54 c.p., art. 192 c.p.p. e la mancanza di motivazione, in relazione alla parte della sentenza di appello concernente il capo C) della rubrica. Lamenta che la Corte distrettuale ha del tutto ignorato gli assunti difensivi, limitandosi ad affermare che erroneamente la difesa aveva fatto riferimento all’art. 648 c.p., non contestato. Fa presente che con l’atto di appello era stata altresì contestata la responsabilità per il reato effettivamente ascritto al capo C), sul rilievo che non può considerarsi punibile la condotta di chi vende per strada CD a prezzi ridotti al fine di procurarsi da mangiare, con azione accettata e condivisa dalla maggioranza del consesso sociale. Tali argomentazioni sono state ignorate o fraintese dalla Corte di Appello, che ha fatto riferimento alla possibilità di svolgere attività lecita, senza considerare che è fatto notorio che i venditori di CD per strada sono soggetti privi di lavoro, che agiscono spinti dal bisogno di alimentarsi. La condotta in questione, formalmente contro legem, è pertanto scriminata da uno stato di necessità ex art. 54 c.p., connesso alla sopravvivenza degli extracomunitari entrati nel nostro paese senza alcuna regolamentazione lavorativa, la cui attività si rende assolutamente necessaria per sopravvivere ed è proporzionata al pericolo di danno arrecato ai produttori.

Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 248 del 2000, art. 14, comma 1, novellante la L. n. 633 del 1941, art. 163 ter, e l’illogicità della motivazione, in relazione all’imputazione sub D). Il ricorrente sottolinea, in particolare, che a seguito delle profonde modifiche normative determinatesi in seno alla cd. legge *****-**** per effetto delle pronunce della Corte Costituzionale n. 5 e 132 del 2004, culminate con l’emanazione del D.L. n. 241 del 2004, convertito nella L. n. 271 del 2004, i precedenti decreti di espulsione emessi attraverso procedura dichiarata incostituzionale dalla Consulta, devono essere considerati inefficaci. L’inefficacia ed illegittimità del decreto di espulsione emesso a carico del N., pertanto, determinano l’inesistenza del reato per cui si procede, mancando l’antecedente giuridico che imponeva l’obbligo di allontanamento dal territorio nazionale. La Corte di Appello, inoltre, nell’affermare che lo stato di necessità prospettato dalla difesa risulta una mera asserzione, non tiene conto dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale alla formula "senza giustificato motivo", prevista dalla norma in oggetto come causa di non punibilità. La sentenza n. 5/04 della Consulta, infatti, ha chiarito che tale formula non implica un’inversione dell’onere della prova in danno dell’imputato, avendo lo straniero un semplice onere di allegazione dei motivi non conosciuti nè conoscibili dal giudice. Nella specie, pertanto, l’affermazione dell’imputato di non avere soldi sufficienti per rimpatriare, rispetta pienamente l’onere di allegazione di una situazione integrativa di un "giustificato motivo"; sicchè il giudice di merito avrebbe dovuto esercitare i poteri integrativi di ufficio conferitigli in materia, verificando la sussistenza del motivo dedotto.

DIRITTO

1) Le doglianze mosse dalla difesa col primo motivo di ricorso sono destituite di fondamento, sia perchè si basano sulla mera affermazione di principio, priva di qualsiasi riferimento a circostanze attinenti alla concreta situazione del prevenuto, secondo cui la qualità di extracomunitario comporterebbe di per sè uno stato di bisogno economico, sia perchè, in ogni caso, secondo un principio affermato da questa Corte, in relazione al reato di detenzione e vendita di prodotti audiovisivi privi del contrassegno della SIAE, lo stato di bisogno economico non è idoneo ad integrare la scriminante dello stato di necessità, per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze degli indigenti e dei bisognosi si può provvedere con la moderna organizzazione sociale per mezzo degli istituti di assistenza, senza che sia assolutamente necessario porre in essere condotte antigiuridiche (Cass. Sez. 3, 26-4-2006 n. 16056).

2) Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Con riferimento al primo ordine di censure mosse dal ricorrente, si rileva che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter, come modificato dalla L. n. 189 del 2002, art. 13, che prevedeva l’arresto da sei mesi a un anno per lo straniero che si tratteneva senza giustificato motivo nel territorio nazionale in violazione dell’ordine di allontanamento, è stato modificato dal D.L. 14 settembre 2004, n. 241, conv. in L. 12 novembre 2004, n. 271, che ha sostituito all’arresto la pena della reclusione da uno a quattro anni, attribuendo quindi al reato natura di delitto, punibile solo a titolo di dolo, e ha reintrodotto l’arresto obbligatorio, in precedenza dichiarato incostituzionale dal giudice delle leggi con sentenza n. 223 del 2004.

Ciò posto, si osserva che non può essere condivisa la tesi adombrata dal ricorrente, secondo cui, per effetto della nuova normativa, l’ordine di espulsione precedentemente adottato dal Questore sarebbe diventato illegittimo. Non appare seriamente ipotizzatole, infatti, che il legislatore, nel momento in cui ha aggravato la sanzione, abbia voluto operare una "abolitio criminis" con riguardo alle condotte contravvenzionali precedenti, essendosi al contrario verificata una successione di norme penali che si pongono in rapporto di continuità (Cass. Sez. 1 n. 3999/2006).

In conformità del prevalente indirizzo della giurisprudenza, al contrario, deve ritenersi che, vertendosi in tema di reato permanente, dal momento della entrata in vigore della novella legislativa viene a mancare il presupposto di legittimità dell’ordine precedentemente impartito dal Questore, in quanto tale provvedimento non contiene la indicazione delle nuove e più severe conseguenze penali della trasgressione (reclusione), come espressamente previsto dalla L. 6 marzo 1998, n. 40, art. 14, comma 5 bis, inserito dalla L. n. 189 del 2002. Per il periodo precedente, invece, il provvedimento del Questore, col quale l’interessato veniva informato che la conseguenza penale della violazione sarebbe stata l’arresto, era stato legittimamente emesso ed era perfetto dal punto di vista amministrativo, per cui la sua violazione continua ad integrare la contravvenzione punibile con l’arresto (v. Cass. Sez. 1, 23-3-2007 n. 16809; Cass. Sez. 1, 7-7-2006 n. 28656; Cass. Sez. 1, 7- 4-2006 n. 18012).

Con riferimento al secondo ordine di doglianze mosse dal ricorrente, si osserva che, come hanno spiegato i giudici delle leggi (Corte Cost. 13-1-2004, n. 5), il requisito negativo espresso dalla formula "senza giustificato motivo", presente nella descrizione del fatto incriminato dall’art. 14, citato comma 5-ter, è diretto ad escludere la configurabilità del reato in presenza di situazioni ostative di particolare pregnanza, le quali – anche senza integrare delle cause di giustificazione in senso tecnico – incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; mentre non si attribuisce rilievo ad esigenze che riflettano la condizione tipica del "migrante economico", sebbene espressive di istanze in sè e per sè pienamente legittime, sempre che non ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall’ordinamento. In particolare, quanto alle condizioni economiche, la giurisprudenza costituzionale citata ha chiarito che le stesse possono rilevare, quale "giustificato motivo", quando l’inosservanza dell’ingiunzione a lasciare il territorio dello Stato dipenda da una condizione di assoluta impossidenza dello straniero (ad impossibilia nemo tenetur), che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera e di acquistare il biglietto di viaggio. Quanto al regime probatorio, la Consulta ha precisato che, come in tutti gli altri casi in cui compare la formula "senza giustificato motivo", fermo restando il potere-dovere del giudice di rilevare direttamente, quando possibile, l’esistenza di ragioni legittimanti l’inosservanza del precetto penale, lo straniero avrà, dal canto suo, un semplice onere di allegazione dei motivi non conosciuti nè conoscibili dal giudicante.

Nell’uno e nell’altro caso – ossia tanto nel caso di rilievo ex officio che in quello di allegazione da parte dell’imputato – le situazioni integrative del "giustificato motivo" si tradurranno, quindi, in altrettanti temi di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice.

Sulla scia di tale autorevole insegnamento, la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che, in tema di immigrazione, ai fini della sussistenza del giustificato motivo, idoneo ad escludere la configurabilità del reato di inosservanza all’ordine del Questore di lasciare il territorio dello Stato, non è sufficiente la considerazione del mero disagio economico, di regola sottostante al fenomeno migratorio, ma occorre la condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi entro il termine assegnato alla frontiera e di acquistare il biglietto per il viaggio (Cass. Sez. 1, 6-12-2006 n. 42384). E’ evidente, tuttavia, che le condizioni ostative all’esigibilità della condotta richiesta devono essere oggetto di puntuale e specifico accertamento nel caso concreto e non possono essere oggetto nè di congetture nè di presunzioni fondate sull’id quod plerumque accidit (Cass. Sez. 1, 7-7- 2006 n. 30779).

Nel caso di specie, dalla lettura dei motivi di appello proposti nell’interesse dell’imputato si evince che la difesa si è limitata ad invocare l’assoluzione del prevenuto dal reato ascrittogli al capo D) perchè il fatto non costituisce reato, sul mero rilievo che "lo stato di indigenza, l’impossibilità di reperire i mezzi necessari per poter far fronte alle spese per l’acquisto del biglietto aereo per dare esecuzione al decreto di espulsione, sono causa esimente per il riconoscimento del giustificato motivo di permanenza sul territorio". Trattasi, all’evidenza, di una mera affermazione di principio, che sembra far ridiscendere automaticamente l’impossibilità di far fronte alle spese per l’acquisto del biglietto aereo dalla semplice qualità di extracomunitario, disancorata da ogni riferimento a specifiche circostanze di fatto attinenti alla posizione dell’imputato. Ma va da sè che, dovendosi escludere ogni sorta di automatica equiparazione tra qualità di extracomunitario e condizione di assoluta indigenza (il che finirebbe per rendere inoperante, nella normalità dei casi, il precetto normativo), la mancata indicazione di elementi concreti ed obiettivi da cui desumere l’assoluta impossibilità di sostenere le spese di viaggio si traduce nell’omesso rispetto dell’onere di allegazione cui fa riferimento la Corte Costituzionale nelle menzionate pronunce.

Legittimamente, di conseguenza, il giudice di appello ha disatteso la tesi difensiva.

3) Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione