Corte di Cassazione Penale sez. V 20/1/2009 n. 2063; Pres. Nardi D.

Redazione 20/01/09
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RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 12 aprile 2007 la Corte di appello di Milano confermava la dichiarazione di colpevolezza di C.A. in ordine al reato di cui all’art. 110 c.p., D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 181, come successivamente modificato, contestatogli per avere, quale responsabile della unità organizzativa del WED (Warrant & Equity Derivates) di UBM (Unicredit Banca Mobiliare spa), in concorso con C.G. e P.A.M. (giudicati separatamente), responsabili – rispettivamente – del trading e del settore Sviluppo Prodotto del detto WED, posto in essere artifici concretamente idonei a provocare, nella seduta del Mercato Telematico Azionario del 31 gennaio 2000, una sensibile alterazione, al ribasso, del prezzo ufficiale del titolo azionario Banca di Roma, il quale, dopo aver toccato il prezzo massimo della giornata ad Euro 1.147,00, scendeva repentinamente a quota 1.090,00, nella specie, immettendo, dalle 16,50 alle 16,58, in modo mirato e calibrato rispetto all’andamento del titolo, quattro proposte di negoziazione in vendita (PDNV), per un totale di 2.122.500 titoli (pari al 10 dell’intero volume di scambi del giorno) che inserite con prezzo limitato e a livelli decrescenti, determinavano il trend ribassista del titolo, con una variazione negativa pari all’1,8 in meno di otto minuti;

fatto commesso al fine di consentire, a vantaggio della UBM, la c.d.

"rottura" del "*****-in", relativo ad una opzione "put-barrier", detenuta in portafoglio da UBM, ed avente ad oggetto i titoli Banca di Roma, ed il cui prezzo, a quella data, era determinante per il regolamento di un prestito obbligazionario "reverse convertible" Mediobanca (con scadenza: 5.3.2001, "strike price" 1,3236 e "Knockin" a 1,0922 Euro), per il quale era stato stipulato un contestuale contratto di "swap", tra la stessa UBM e la banca emittente, in base al quale, in caso di rottura del "*****-in" (cioè di ribasso del titolo, sottostante alla obbligazione, al di sotto di tale valore), il rimborso agli obbligazionisti sarebbe avvenuto sotto la pari (vale a dire con consegna dei titoli ribassati Banca di Roma).

Il giudizio era stato attivato da una denuncia della Consob, inoltrata a seguito della acquisizione della registrazione di alcune telefonate intercorse il (omissis) tra il nominato C.G. ed altri soggetti, tra cui il C.A. e la P., ed anche A.G., responsabile dei controlli interni di UBM, nell’arco di tempo fra le ore 15,40 e le ore 16,45, immediatamente precedente l’effettuazione delle operazioni finanziarie sopra citate.

Ricorre – ora par cassazione l’imputato, a mezzo dei difensori, con due distinti motivi, preceduti da un’ampia premessa anticipatrice dei temi oggetto del sindacato di legittimità e riproduttiva del quadro di riferimento normativo e documentale (che assume travisato dai giudici di merito, pedissequamente appiattiti sul punto di vista della fraudolenza introdotto dall’ente denunciate) nonchè dei profili di doglianza espressi con l’appello, che dice talvolta richiamati dalla corte territoriale ma sempre elusi nei nodi di fondo.

Con il primo motivo denuncia violazione di legge e mancanza di motivazione ex art. 606 c.p.p., in relazione al D.Lgs. 20 febbraio 1998, n. 58, artt. 181 e 185 e art. 2637 c.c..

Sul riflesso che sia stata effettuata una ricostruzione assolutamente congetturale dell’operazione, espressione di una prospettiva di pregiudizio nei confronti di Unicredito, in succinto lamenta che i giudici di secondo grado abbiano ritenuto irrilevante, relegandola nell’ambito di una "mera disputa nominalistica", la questione sollevata in appello con la quale si era sostenuto che la formula "altri artifici" di cui all’art. 181 cit., deve essere collocata nell’elemento oggettivo del reato, e non in quello soggettivo come erroneamente ritenuto dal tribunale, e che, in questa distorta ottica, abbiano enunciato affermazioni inaccettabili: così quella che anche nell’aggiotaggio il mezzo di per sè non illecito diventa artificioso se usato per cagionare l’aumento o la diminuizione del prezzo in quanto la punizione di condotte esternatesi nell’uso di mezzi di per se stessi leciti non costituisce una specialità del reato "de quo"; come pure l’altra, secondo cui "per aversi la punizione a titolo di aggiotaggio o manipolazione delle quattro P.D.N.V. in questione è sufficiente che la vendita fosse contrasseguita, accanto a quello legittimo, dal fine vietato di voler condizionare il prezzo del mercato".

Aggiunge che la cennata questione, ingiustamente obliterata, era al contrario rilevantissima ai fini di valutare la propria posizione concorsuale, essendo stato egli pacificamente estraneo, addirittura sul piano della consapevolezza, oltre che della volontà, alle modalità con cui le vendite erano state eseguite dal C.G..

Espone poi, con riferimento al tema della "sensibile alterazione del prezzo" che all’errore in cui era caduto il tribunale, con la pressochè data per scontata idoneità del presunto artificio a provocare la sensibile alterazione del valore dello strumento finanziario, quale effetto del rimbalzo dei prezzi, si era obiettato che il fenomeno del rimbalzo dei prezzi dopo una sensibile caduta,denominato "over-reaction", è documentato nella letteratura internazionale e si era altresì censurata l’affermazione secondo cui il prezzo delle azioni Banca di Roma sarebbe rimasto su livelli più elevati, se non fossero intervenute le vendite di UBM, sulla semplice considerazione che il prezzo di fine giornata era rimbalzato verso l’alto. E lamenta che la corte abbia provato a superare queste doglianze affermando che, anche a prescindere dal rimbalzo dei prezzi, si era comunque superata la soglia dello 0,5%: motivazione carente, perchè la misura dell’alterazione e l’idoneità della condotta andavano autonomamente dimostrate ai fini della compiuta definizione degli aspetti causali.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia mancanza di motivazione in punto di concorso personale nel reato (rif. art. 606 c.p.p., in relazione art. 110 c.p.).

Ribadisce che le operazioni, asseritamente artificiose, di cui al capo di imputazione, furono realizzate autonoma mente dal C.G. nella sua assoluta inconsapevolezza, puntualizzando che dalle telefonate registrate dalla Consob (qui analiticamente riportate e commentate) emerge incontrovertibilmente la modica e frettolosa informativa fattagli dal C.G., cristallizzata sul problema dell’esigenza di coprire il rischio e giammai sull’intenzione di speculare, nonchè la chiara posizione di esso C.A. di rimettere il problema all’organo di controllo interno, l’A.). E su tali premesse lamenta che il contrario avviso espresso dalla Corte Territoriale poggi sulla confusa successione di mere congetture, di guisa che non è dato comprendere cosa gli si attribuisca (al di là degli interessi di carriera), in termini di partecipazione volitiva e di contributo causale, che sono passaggi indispensabili perchè possa parlarsi di applicazione dell’istituto previsto dall’art. 110 c.p., così prospettandosi, quale approdo di più ipotesi formulate con una motivazione sprovvista di qualsiasi riferimento probatorio, una responsabilità per la mancata pronuncia di un dissenso dovuto (quasi un’applicazione dell’art. 40 c.p., mai contestato in alcuna fase processuale), senza darsi minimamente contro della prova conclusiva che egli sapesse o comunque avesse compreso quanto presumibilmente "avesse in animo" il C.G., benchè non espresso.

Con atto depositato il 5 giugno 2008 il ricorrente espone quattro motivi nuovi, corredati di memoria tecnico-difensiva.

I primi due illustrato e sviluppano i concetti già espressi con il ricorso principale, auspicando l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per insussistenza del fatto o per non averlo commesso, pure per gli eventuali effetti dell’art. 129 c.p.p..

Il terzo motivo, sul ribadito assunto che il caso di specie riscontra una condotta priva di una oggettiva e concreta connotazione artificiosa e una indimostrata elevata modificazione dei prezzi, prospetta, quale ipotesi subordinatala configurabilità dell’illecito amministrativo D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 187 ter, come rimodellato dal la L. n. 62 del 2005, di recepimento della Direttiva 2003/6 CE sul "Market abuse".

Il quarto motivo solleva – per il caso dovesse ritenersi proponibile l’impostazione giuridica prospettata dalla Corte di merito – questione di l.c. del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 181, come rimodellato dall’art. 185 stesso ****, per contrasto con l’art. 125 Cost., comma 2 e art. 117 Cost., in vista della violazione del principio di legalità e di conseguente tassatività della sanzione penale, anche per i vincoli derivanti dagli obblighi di natura internazionale.

La Consob, costituita parte civile, è intervenuta con memoria difensiva del 20 giugno 2008, cui il ricorrente ha replicato con ulteriore scritto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Si imputa in primo luogo ai giudici di merito di avere confuso elemento oggettivo ed elemento soggettivo del reato contestato omettendo così di dimostrare l’artificiosità della condotta posta in essere da C.G. e C.A..

In realtà, l’artificiosità della condotta è un connotato "oggettivo" di essa, che deve prescindere, evidentemente, dall’intenzione del soggetto: il reato in esame è a dolo generico, mentre connotare l’artificio con i caratteri dell’intenzionalità dell’agente verrebbe impropriamente a valorizzare oltre misura le effettive finalità perseguite dal soggetto che compie l’azione.

All’elemento soggettivo può senz’altro attribuirsi il compito di illuminare il significato della condotta, ma altro è conferire esclusivo o primario rilievo all’intenzione dell’agente.

Del resto, come perspicuamente osservato in dottrina, la definizione in termini soggettivi degli "artifici" determinerebbe una chiara asimmetria tra le diverse modalità manipolative del mercato. I delitti di aggiotaggio su strumenti finanziari (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 181, vigente sino al 2002) e di manipolazione di mercato (art. 185 D.Lgs. cit., modificato dalla L. n. 62 del 2005) consistono nella divulgazione di notizie false e/o nell’effettuazione di operazioni simulate e/o, infine, nei c.d. "altri artifici", tutti contegni che siano concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari. Ora, l’aggiotaggio informativo rimane ancorato ad un elemento (divulgazione di notizie false) obiettivo e documentato; l’aggiotaggio simulativo pure si esprime in una condotta di per se definita in una rappresentazione difforme dalla realtà; mentre quello "altrimenti artificioso" presenterebbe una condotta obiettivamente inespressiva di significato, rimessa all’accertamento e alla valutazione dell’elemento soggettivo.

E’ vero che la dizione "altri artifici" perviene (ed è arrivata, ad oggi) dall’art. 501 c.p., sull’aggiotaggio comune, che l’introdusse in sostituzione della locuzione "mezzi fraudolenti", impiegata dal corrispondente art. 293 del codice 1889, al fine di "allargare" il campo dell’incriminazione, come si esprime la decisione impugnata.

Ma l’intento del legislatore non fu affatto quello, che i giudici del merito ritengono di poter ricavare dal testo della Relazione ministeriale, vale a dire di stabilire che nell’aggiotaggio anche "il mezzo di per sè non illecito diventa artificioso se usato per cagionare l’aumento o la diminuizione dei prezzi". Invero, non si credette in quella sede (come leggesi a pag. 285 della Rel.) di poter accogliere integralmente il suggerimento di stabilire che ogni attività, ancorchè conforme all’ordinamento giuridico, fosse da considerare fraudolenta se diretta al fine di alterare la normalità delle contrattazioni nei pubblici mercati, perchè ciò avrebbe condotto a stabilire una manifesta e ingiustificata contraddizione al principio fondamentale, per cui ogni esercizio di attività considerata legittima dall’ordinamento giuridico non costituisce reato, ancorchè possa cagionare danno ad altri; nondimento si reputò che troppo restrittiva fosse la formula "mezzi fraudolenti", che potrebbe essere riferita se non a mezzi obiettivamente e intrinsecamente illeciti, mentre l’espressione "artifici" sembra possa fa avere contenuto assai più ampio e riferirsi anche alle forme di attività lecita, "posta, nondimento, in essere artificiosamente, avuto riguardo alle modalità con cui è realizzata".

E’ oltremodo chiaro, quindi, nel concetto del legislatore, che per qualificare come artificioso un mezzo, in sè non illecito, non è sufficiente che esso sia diretto al fine di turbare il mercato, occorrendo che sia anche obiettiva mente artificioso, cioè posto in essere artificiosamente con modalità dell’azione tali, per ragioni di modo, tempo e luogo, da alterare il giuoco normale tra domanda e offerta.

E’ questa l’interpretazione che deve essere date: alla nozione "altri artifici" di cui si discute. E solo in senso apparentemente contrario è la decisione, fugacemente richiamata dalla sentenza impugnata (Cass. Sez. 5^, 25.02. *****), che, nel postulare che "la fattispecie di aggiotaggio individua come punibili anche comportamenti che, pur di per se leciti, risultano in concreto destinati a trarre in inganno gli operatori del mercato", è modulata con riferimento ad un caso nel quale la condotta di aggiotaggio era stata posta in essere "artificiosamente", avuto riguardo, per l’appunto, alle sue modalità di attuazione,e,dunque,in un senso non dissimile da quello appena innanzi delineato e accolto.

La decisione impugnata,,come omelia di prime cure,non sembra, dunque, aver distinto chiaramente i due piani, oggettivo e soggettivo, dianzi considerati. Ma è perchè – e ciò comporta, in definitiva, la reiezione del punto di doglianza in esame – la condotta descritta in imputazione e ritenuta, dai giudici del merito presenta evidenti elementi "oggettivi" di artificiosità: in particolare, l’immissione nel "book" di negoziazione di una quantità ingente di ordini di vendita sensibilmente inferiori al "floor" attualmente presente sul mercato, è di per sè contraria all’interesse di qualsiasi venditore, ed è nella fattispecie svuotata di ogni giustificazione economica diversa dalla vera e propria "conduzione" del prezzo di mercato setto il livello in quel momento segnato dall’incrocio di domanda ed offerta; e in ciò sta l’artificio. Sul punto, va ricordata che la condotta, compiuta rientra tra gli esempi di operazione manipolativa indicati da Consob nella comunic. 29.11.2005.

Vero e che l’individuazione dell’artificiosità di una condotta spetta al giudice, non essendo delegatile a nessun altro, ma è indubbio che tali esempi possano valere come ausili interpretativi e indici di manipolazione, perchè descrivono le principali prassi manipolative.

Sono in ogni caso da considerare anche i criteri più elastici stabiliti dall’art. 42 del Regolamento mercati di Consob (del 1998, nella parte ancora in vigore) introdotti per definire meglio la condotta di illecito amministrativo (cit. art. 87 ter t.u.f.), (tra gli indici rilevanti in questo caso, v’è la significatività dei volumi, delle variazioni al prezzo, dell’importanza della posizione di acquisto o vendita, la successiva inversione del trend del mercato, e soprattutto – in vario modo – il legame con il prezzo o la scadenza di strumenti derivati, quali erano le opzioni nel caso di specie).

Nel ricorso si invoca, in più parti la finalità di "copertura" (in realtà: ridimensionamento della copertura in conformità delle norme di gestione del rischio adottate dalla banca) perseguita con l’operazione: ciò non è in contrasto con l’artificio. In tutte le telefonate riportate nella sentenza si evince che la finalità di copertura è precisamente perseguita attraverso la conduzione artificiale dei corsi di borsa sotto il prezzo inferiore a quello di mercato in quel preciso momento: si intende, cioè, fare "scattare" il *****-in dell’opzione "nel preciso momento" in cui ci si libera delle azioni di copertura in sovrappiù, e quindi evitare che il *****-in scatti autonomamente per effetto di una discesa naturale del titolo, con l’affetto di "sorprendere" le banca in possesso di un numero di azioni eccessivo, di cui sarebbe problematico e dispendioso (perchè il valore è sceso) liberarsi in seguito. Artificio e copertura, insomma, vanno in questo caso di pari passo, l’uno non esclude l’altra.

1.2. La tesi per cui l’operazione commessa non avrebbe avuto impatto sull’andamento dei prezzi non ha pregio, poichè è lo stesso ricorrente a riconoscere che il recupero dei corsi dovuto al "rimbalzo" dipende proprio dall’abbassamento (artificiale) dei prezzi. Dire che il prezzo è rimbalzato è diverso dal dire che il prezzo è rimasto costante (come sarebbe stato se non ci fosse stata manipolazione): può essersi trasferita significativa ricchezza proprio nel corso del rimbalzo.

Quanto poi al fatto che la alterazione del prezzo sia stata "sensibile", la decisione impugnata ha evidenziato che il primo giudice, oltre che al rimbalzo verso l’alto del corso del titolo Banca di Roma tra una P.D.N.V. e l’altra, aveva fatto riferimento – nella premessa, non contestata nell’atto di gravame che sono "sensibili" le oscillazioni determinate da un unico ordine che eccedono, in percentuale positiva o negativa, lo 0,5% – alla circostanza che questa soglia era stata superata nella specie con riferimento sia alla condotta nel suo complesso, posto che la sommatoria delle variazioni indotte dalle quattro P.D.N.V. di quel pomeriggio aveva modificato la fissazione del prezzo ufficiale nella misura dell’1,8%, che a ciascuna di esse. Ed ha precisato la corte territoriale che nell’arco di tempo considerato, e cioè tra il novembre 1999 ed il marzo 2001, il corso del titolo era partito da Euro 1,25, aveva raggiunto il livello massimo di Euro 1,42 ed aveva, infine, toccato quello minimo di Euro 1,06, in tal modo pervenendo alla conclusione che, considerando una media di Euro 1,20, la depressione del prezzo cagionato dalle P.D.N.V. in questione il pomeriggio del 31 gennaio 2000 ad Euro 1,09 era addirittura superiore alla suddetta soglia dello 0,5%.

Ciò posto, deve rilevarsi che, effettivamente, il superamento della soglia dello 0,5% ritenuto dal primo giudice non era stato contestato con l’atto di appello (p. 17/18), limitato a richiamare il fenomeno denominato "over-reaction" documentato in letteratura e particolarmente significativo nel breve periodo, cioè nelle osservazioni giornaliere. E del tutto aspecifica è pure la doglianza formulata, in ordine a tale superamento, con il ricorso originario (pag. 17) siccome affidata, alla astratta censura di carenza di motivazione, sul generico rilievo che "la misura, dell’alterazione e l’idoneità della condotta andavano autonomamente dimostrate ai fini della compiuta definizione degli aspetti causali". Ciò che rende inevitabilmente non esaminabili da questa Corte le ulteriori deduzioni e precisazioni offerte nella memoria successiva e nell’allegato parere tecnico, intese a sostenere che la soglia dello 0,5% è stata individuata (dai giudici di merito) in modo arbitrario senza al cuna ragionevole motivazione nè sotto il profilo tecnico nè sotto il profilo logico.

1.3. Una volta dato conto della ricorrenza, nella fattispecie concreta, di una condotta "oggettivamente" artificiosa e idonea a determinare una elevata modificazione dei prezzi, sono destinate a cadere le ipotesi subordinate prospettate nell’atto depositato il 5 giugno 2008.

Invero vien meno la possibilità sia di ravvisare l’illecito amministrativo ex art. 187 ter cit., che, com’è noto, non è riferibile a condotte qualificabili "lato sensu" come "artificiose", in quanto realizza una tutela anticipata, attraverso la minaccia di sanzioni amministrative che colpiscono singole condotte astrattamente in grado di produrre un "disturbo" dei mercati finanziari (cfr. Cass. Sez. 6^, 16 marzo 2006, *******); sia di prospettare interpretazioni incostituzionali della normativa in questione, peraltro già ritenuta da questa Corte, sotto più ampio profilo, compatibile con il principio di legalità (v. Sez. 5^, 25 gennaio 2005, cit.).

1.4. Tutto quanto precede conduce a respingere, perchè infondato, il primo motivo di impugnazione.

2. Si palesa infondato anche il secondo motivo, a parte gli ulteriori profili di inammissibilità che lo contraddistinguono nella parte in cui, con riferimento al tenore delle conversazioni telefoniche registrate, indulge a valutazioni di merito non consentite in questa sede di legittimità.

I giudici milanesi hanno ritenuto sussistente la piena rappresentazione del fatto da parte del C.A., anche se l’operazione non è di sua iniziativa, ma del C.G.. Il dirigente, ampiamente coinvolto da quest’ultimo, avrebbe avuto piena contezza della manovra e dei suoi effetti (manipolativi) e avrebbe dato un sostanziale benestare.

La decisione e conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il con tributo concorsuale – assume rilevanza non solo quando abbia, efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, essendo sufficiente, a tal fine, che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perchè in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (cfr., da ultimo, Sez. 4^, 26 giugno 2007, n. 24895).

E ad essa detti giudici pervengono sulla scorta di una individuazione del ruolo svolto dall’imputato desunta dalle emergenze processuali in termini che non possono certamente tacciarsi di illogicità ed implausibilità.

Sono sufficienti le seguenti dirimenti considerazioni.

Nella comunicazione telefonica con il C.A. delle ore 15,50, C.G. esordisce con un esclusivo, immediato ed univoco riferimento al livello di *****-in, riservando l’accenno al tema dell’immunizzazione del rischio (il "delta fiat") solo al prosieguo:

e da ciò la corte plausibilmente desume che quel che interessava al C.G. non era tanto e solo attuare una corretta strategia di "delta hedging", quanto attivare la prima delle due condizioni cui era sottoposto il rimborso agli obbligazionisti sotto la pari, con un consequenziale vantaggio economico per UBM, ed inoltre che il referente necessario per procedere in questa direzione fosse proprio il C.A..

Non si tratta, come prospetta il ricorrente, di mere congetture soggettive; l’A., nella sua qualità di addetto al controllo interno, è informato – su esplicita richiesta del C.A. – dal C.G. sull’operazione da compiere, e formula una duplice obiezione; 1) la vendita, sul mercato telematico ha una finalità diversa dalla copertura, quella di far segnare un prezzo ("… io la chiamerei molto vicina alla manipolazione"); 2) l’obiettivo di copertura può essere comunque realizzato operando un OTC ("over the counter", fuori dal mercato telematico). E le obiezioni o, se si vuole, i dubbi esternati dall’ A. al C.G. vengono riferiti al C.A. nella successiva telefonata delle ore 16,45.

L’imputato non può pertanto fondatamente sostenere di non aver compreso quali fossero i reali intenti del C.G. e le relative modalità di attuazione, sicchè va decisamente smentita la tesi difensiva, qui riproposta, secondo cui l’informativa ricevuta dal "trader" di UBM, nel corso di monche e frettolose comunicazioni, sarebbe stata, cristallizzata unicamente sul problema di coprire il rischio e non sull’intenzione di speculare.

Va disatteso anche l’ulteriore asserto, per il quale la chiara posizione del C.A. sarebbe stata quella di rimettere il problema all’organo di controllo interno.

Anche su questo punto deve escludersi che l’interpretazione delle telefonate sia stata soltanto soggettiva e, comunque, del tutto travisante dell’effettività e del contenuto dei colloqui intervenuti tra gli interlocutori.

Invero, nella succitata telefonata delle ore 16,45 (che precede di 5 minuti l’immissione delle quattro P.D.N.V.), al C.G. (che, come detto, gli manifesta le obiezioni dell’ A.: "..Perchè secondo lui si può intravedere manipolazione") C.A. replica: "… puoi fargli presente che l’informazione sul nostro…è pubblica, il fatto che c’è il *****-in non è che lo sappiano solo noi, eh,….":

secondo la corte con tale frase il C.A. mostra di ritenere che siccome l’ambiente finanziario è a conoscenza delle modalità del prestito obbligazionario "reverse convertible", ed in particolare dell’esistenza di una clausola *****-in la cui attivazione avviene quando la Banca di Roma scende ad un certo livello, così come sarà a conoscenza del fatto che la discesa, di quel giorno era stata opera di UBM, che aveva venduto apertamente le azioni sul mercato, nessuno potrà dubitare della buona fede di UBM; e ne ricava, unitamente al contesto di una successiva fra se, con un apprezzamento non manifestamente illogico, nei termini rilevabili in sede di sindacato di legittimità, che più che di atteggiamento meramente passivo del C.A., deve parlarsi, quanto meno, di rafforzamento del proposito del C.G., non curante degli avvertimenti provenienti dall’ A..

Nel corso della stessa telefonata, a commento delle resistenze manifestate dall’ A., e più esattamente della qualificazione ("manipolazione") da questi attribuita alla strategia prospettagli dal C.G., il C.A. afferma: "manipolazione…questa e "trade baset": secondo la difesa, con tale frase il C.A. si sarebbe limitato a dissentire dalla valutazione del responsabile interno (negando che fosse manipolazione ed asserendo che era solo "trade *****" la parola manipolazione – si osserva – non è stata pronunciata dono la locuzione "trade baset", bensì prima e con una interruzione), ma la decisione impugnata evidenzia che la frase deve essere calata nel complesso di quanto pronunciato dall’imputato nelle due telefonate che lo vedono protagonista, sottolineando che la interpretandone patrocinata dalla difesa non porterebbe a risultati positivi,posto che il C.A. potrebbe essersi nell’occasione limitato ad esprimere una sorta di auspicio ovvero di prognosi,e cioè quale sarebbe stata la qualificandone (trade baset e non manipolazione) che gli organi di controllo avrebbero potuto dare all’operazione borsistica, tale quindi da non sconsigliare la vendita. E anche qui, al pari degli altri che precedono, si è in presenza di un giudizio interpretativo del fatto più che congrue e plausibile,come tale non sindacabile in questa sede.

3. La ritenuta infondatezza dei motivi di impugnazione consente di rilevare la prescrizione del reato, intervenuta il (omissis), risalendo il fatto al (omissis), ma comporta il rigetto del ricorso agli effetti civili.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio lei sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

Rigetta il ricorso agli effetti civili.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 4521,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

Redazione