Corte di Cassazione Penale sez. IV 8/10/2010 n. 36201

Redazione 08/10/10
Scarica PDF Stampa
Considerato in fatto e ritenuto in diritto
L’avvocato (omissis) ricorre, a mezzo del suo difensore, contro l’ordinanza 22 marzo 2010 del Tribunale del riesame di Cosenza, che, in parziale accoglimento dell’appello, proposto dal P.M. contro l’ordinanza del G.I.P. di Cosenza, il quale aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo dello studio legale del (omissis), ha invece disposto il sequestro preventivo del detto studio, in relazione agli artt 324, 321 e 322 bis cod. proc. pen.

Con un primo motivo di impugnazione si deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo del ritenuto nesso di pertinenzialità tra il bene in sequestro ed i reati contestati indicati nelle violazioni degli artt. 372 e 642 cod. pen.

In particolare si nega che lo studio professionale in questione costituisca cosa pertinente al reato, potendo al massimo rappresentare il “locus commissi delicti”, considerato: a) che tra il bene sottoposto a vincolo reale e l’attività illecita contestata non sussiste una relazione di pertinenza strumentale, dotata dei caratteri della specificità, stabilità ed indissolubilità strumentale; b) che, in ogni caso, il rapporto di strumentalità tra il bene in sequestro ed il suo possibile utilizzo criminoso impone che il sequestro preventivo abbia ad oggetto “cose” oggettivamente e specificamente predisposte per la realizzazione di attività criminose e che per ciò stesso costituiscano mezzo indispensabile, stabile e specifico per l’attuazione o la prosecuzione della attività illecita.

In proposito si cita una decisione di questa sezione (8 giugno 1998 n.2098) che, in tema di esercizio abusivo della professione, ha negato la presenza di un nesso strumentale immediato e diretto tra la detta imputazione e l’immobile adibito a studio legale, per difetto appunto del requisito della pertinenzialità, essendo invece in proposito determinante e risolutivo il “rapporto fiduciario tra professionista e cliente”, rapporto che può svolgersi in luoghi diversi e non quindi necessariamente all’interno di quel preciso ed individuato studio.

Con un secondo, motivo, si lamenta, nella specie, violazione di legge per il difetto degli elementi indicativi del periculum in mora per il quale mancherebbe in ogni caso una adeguata motivazione in termini di concreta, imminente ed elevata possibilità di aggravamento e protrazione delle conseguenze del reato o dell’agevolazione della commissione di altri illeciti.

Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo dell’apparenza delle giustificazioni, che sono state offerte a fondamento dell’affermazione che lo studio legale fosse la sede naturale, base logistica ed operativa del sodalizio criminoso, posto in essere dagli associati per realizzare, truffe alle, compagnie di assicurazione, tenuto conto che al (omissis) non è contestato il delitto ex art. 416 cod. pen.

Il primo ed il terzo motivo sono fondati ed il loro accoglimento rende superfluo l’esame della seconda doglianza.

Va preliminarmente osservato che il ricorso alle norme generali in tema di sequestro preventivo, nei casi in cui quest’ultimo sia finalizzato ad impedire la protrazione dell’attività illecita, è necessaria, la presenza di una correlazione indefettibile tra l’immobile e la commissione del reato, la quale sussiste quando l’immobile non è soltanto il luogo dove si compie l’attività illecita (in astratto realizzabile anche, altrove), ma costituisce mezzo indispensabile per l’attuazione e la protrazione della condotta illecita (Cass. Pen. Sez. 4, 20204/2007 Rv. 236641 Massime precedenti Conformi: n. 4775 del 1996 Rv. 206401, M. 37993 del 2006 Rv. 235087).

Orbene -nella specie- tale non può considerarsi “ex se”, la sede dello studio legale, in assenza di altri elementi idonei ad avvalorare l’unicità e la indispensabilità di detto studio -in termini di indissolubile esclusiva e necessaria funzionalità per l’utile conseguimento degli obiettivi illeciti- inteso come luogo non aliunde vicariarie, al fine di realizzare e proseguire le condotte illecite costituite dai delitti di falsa testimonianza e dalle condotte fraudolente previste dall’art. 642 cod. pen..

E’ noto che il vigente codice di rito non ha riprodotto per le misure cautelari reali le condizioni sancite dagli artt. 273 e 274 cod. proc. pen., in considerazione della natura e della funzione delle predette misure e del relativo oggetto. Sicché tali misure prescindono totalmente da qualsiasi profilo di “colpevolezza”, proprio perché la funzione preventiva non attiene all’autore del fatto criminoso, ma concerne solo il tasso di “pericolosità” di alcune cose in quanto si pongono con un vincolo di pertinenzialità rispetto al reato.

Tale pertinenzialità postula che la libera disponibilità di tali cose possa costituire quella situazione di pericolo descritta dall’art. 321 comma primo cod. proc. pen.; tanto è vero che il sequestro preventivo, ancorché funzionale alla confisca, ben può prescindere da qualsiasi verifica in merito alla fondatezza dell’accusa (ex plurimis: Sez. 6, 932/1996, Rv. 204799, imputato *******, e SS.UU. Rv. 199174,199173, 200114).

Orbene in tale cornice, va ribadito che l’immobile adibito a studio legale per l’esercizio della professione di avvocato non può ritenersi collegato -in modo automatico- da un nesso strumentale diretto e immediato all’esercizio di tale attività, che è caratterizzata piuttosto dal rapporto fiduciario esistente tra il professionista ed il cliente e che può svolgersi in luoghi diversi.

Non è pertanto consentito sottoporre tale immobile a sequestro preventivo, non sussistendo il rapporto di pertinenzialità tra l’attività delittuosa in questione e lo studio in cui la medesima viene esercitata (Cass. Pen. Sez. 6, 2098/1998 Rv. 212118) e tenuto in particolare conto che nella fattispecie (in relazione agli atti disponibili in questa sede) al (omissis) non è contestato il reato di associazione per delinquere, al fine di realizzare truffe in danno di compagnie di assicurazione, e che costui ha dedotto, senza che sul punto vi sia stata risposta da parte del Tribunale del riesame, che la sua attività non era per nulla limitata a quel preciso contenzioso assicurativo, che fondava il provvedimento cautelare reale, ma si estendeva ad altri e molteplici settori in materia civilistica.

L’ordinanza va quindi annullata con rinvio ai Tribunale di Cosenza per nuovo esame perché il giudice, di rinvio, nei rispetto dei criteri dianzi indicati, proceda ad un nuovo esame che ponga rimedio al rilevato deficit argomentativo e dia diversa contezza dell’affermato rapporto di pertinenzialità tra attività illecita e bene oggetto del sequestro preventivo.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Cosenza per nuovo esame.

Redazione