Corte di Cassazione Penale sez. IV 20/9/2007 n. 35115; Pres. Battistini M.

Redazione 20/09/07
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza emessa il 7 giugno 2004 il Tribunale di Napoli assolveva con la formula "perchè il fatto non sussiste", ai sensi dell’art. 530 cpv. c.p.p., T.S., imputato del delitto di cui all’art. 589 c.p. per avere cagionato, il 10 dicembre 1999, la morte di D.G.R. per colpa – consistita nell’avere omesso, nella veste di sanitario in servizio al Posto di Pronto Soccorso dell’Ospedale (omissis), in presenza di una persistente toracicoalgia (esclusa la patologia infartuale) accusata dalla predetta D.G. – di disporre un esame ecocardiografico che avrebbe consentito una corretta e più tempestiva diagnosi della patologia aortica (dissecazione aortica del primo tipo) cui sarebbe conseguita "una concreta possibilità di sopravvivenza della paziente che invece, a causa dell’evolversi della sindrome, decedeva".

Proposto appello avverso la suddetta decisione dal Procuratore ******** presso la Corte d’appello di Napoli, i secondi giudici, con sentenza emessa il 6 dicembre 2005, dichiaravano, in riforma della sentenza impugnata, l’imputato responsabile del reato a lui ascritto e, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche, lo condannavano alla pena di mesi 6 di reclusione con i doppi benefici di legge, oltre al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Condannavano altresì l’imputato al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, a favore delle parti civili costituite, nonchè alle rifusione delle spese da queste sostenute nel giudizio di secondo grado.

Nell’incipit della sentenza la Corte territoriale riassumeva come segue la motivazione della decisione del primo giudice ed il contenuto dell’atto di appello.

Il Tribunale aveva ritenuto non essere ravvisabile con certezza un nesso di causalità tra la specifica omissione rimproverata e l’evento-morte, avendo il C.T.U. dott. P. chiarito, in dibattimento, che l’ecocardiogramma non poteva ritenersi dirimente in termini di certezza nella formulazione della diagnosi di dissecazione aortica, e non essendosi raggiunta la prova che l’imputato non avesse prospettato alla paziente la necessità di un ricovero (secondo profilo di condotta omissiva ritenuto, nell’ottica accusatoria, causa del decesso).

L’appellante Procuratore Generale aveva censurato la condotta del consulente del Pubblico Ministero per avere questi, nel corso del dibattimento, modificato quanto da lui sostenuto nella relazione scritta in ordine alla certezza che la tempestiva esecuzione di un ecocardiogramma avrebbe condotto ad una corretta diagnosi, ed aveva affermato che, a fronte di tale discrasia, il primo giudice avrebbe dovuto nominare un altro professionista quale perito, e non già adeguarsi acriticamente all’illogica modifica. L’appellante aveva inoltre rilevato che dalla istruttoria dibattimentale era emerso che l’imputato non aveva eseguito alcuni accertamenti praticabili in pronto soccorso e non aveva allertato la paziente sulla necessità di eseguire altri controlli, donde una condotta negligente del sanitario risoltasi nella intempestività di diagnosi della patologia e postasi in rapporto di concausalità con l’evento.

Tanto premesso, i secondi giudici – ritenuta la superfluità, alla luce degli elementi probatori emersi nel dibattimento, delle parziale rinnovazione della istruzione dibattimentale richiesta dall’appellante – ripercorrevano le tappe della vicenda come segue.

Verso le ore 19,00 del 9 dicembre 1999 D.G.R. si era portata al Posto di Pronto Soccorso dell’Ospedale (omissis) lamentando forti dolori al torace.

Il Dottor T. l’aveva visitata ed aveva prescritto un elettrocardiogramma ed un prelievo di sangue.

Tutto era risultato nella norma, ma la paziente aveva continuato ad accusare il dolore, non eliminato dalla somministrazione di un analgesico.

Dopo che era stata esclusa una crisi infartuale, la paziente aveva lasciato l’Ospedale previa apposizione della propria firma sul libro in dotazione al Posto di Pronto Soccorso in calce alla scritta "Rifiuta il ricovero".

Nella notte il dolore al torace aveva continuato ad affliggere la D.G., la quale era stata, pertanto, ricoverata all’Ospedale (omissis).

Ivi, eseguito un ecocardiogramma, era stata formulata la diagnosi di "dissecazione aortica" ed era stato deciso l’immediato trasferimento della paziente all’Ospedale (omissis) perchè fosse sottoposta ad intervento chirurgico, ma poco dopo le ore 7,00 del 10 dicembre la donna aveva subito un arresto cardiaco ed era deceduta.

Sulla base di tali pacifiche risultanze fattuali i secondi giudici ritenevano evidente la condotta colposa del Dottor T., avendo costui omesso di disporre il ricovero della paziente, pur essendo ciò assolutamente necessario (nonostante l’avvenuta esclusione di una crisi infartuale in atto) per monitorare la situazione in presenza del persistente dolore toracico e per eseguire tutti gli altri accertamenti del caso.

I secondi giudici fondavano il proprio convincimento sulle dichiarazioni rese in dibattimento dal dottor P., consulente tecnico del Pubblico Ministero, che erano state del seguente tenore:

"Nel momento in cui io ho eliminato quella diagnosi che è la più a rischio, l’infarto, la più frequente e la più a rischio, vale a dire la crisi infartuale, io ricovero il paziente in osservazione; il ricovero in osservazione può durare anche solo sei ore, anche cinque ore, sei ore, otto ore… per vedere l’evoluzione della malattia. Se la paziente non avesse rifiutato il ricovero, probabilmente, persistendo il dolore, avrebbero fatto un torace, avrebbero fatto un’ecografia, avrebbero potuto porre chiarimenti, si sarebbero potuti manifestare i sintomi più certi della malattia e si poteva giungere ad un’ipotesi diagnostica".

La Corte territoriale affermava poi che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, se la D.G. aveva firmato il rifiuto del ricovero, tuttavia era provato con assoluta certezza che costei era giunta alla firma senza che le fosse stata data una corretta informazione.

Invero tutti i testimoni, congiunti della paziente, avevano concordemente deposto, con estrema precisione, che il dottor T., dopo avere escluso l’ipotesi infartuale, li aveva rassicurati sulle condizioni di questa ed a nessuno, quindi nè a loro nè alla D.G.R., l’imputato aveva prospettato la necessità di un ricovero o la preoccupazione per la persistente sintomatologia dolorosa.

Orbene, se il primo giudice aveva contrapposto a tali risultanze probatorie altre di segno contrario, così avendo ritenuto incerta la prova sul punto (donde la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. c.p.p.), per i giudici dell’appello queste ultime non potevano essere valutate in senso favorevole alla tesi difensiva: infatti quella firma apposta in assenza di corretta informazione doveva essere considerata, sul piano probatorio, "tamquam non esset" e nessun valore potevasi, ovviamente, riconoscere alle interessate affermazioni dell’imputato; nè le dichiarazioni rese da un collega di quest’ultimo, il *********, deponevano per la tesi difensiva, posto che il suddetto teste, in risposta alla domanda del giudice sul se fosse a conoscenza del fatto che il ********* avesse detto alla paziente di ricoverarsi, aveva affermato di non essere in grado di rispondere, a nulla rilevando la dichiarazione dello stesso teste di avere parlato con l’imputato della opportunità o necessità del ricovero, se comunque di tale necessità alla D. G. nulla era stato detto e se il ricovero non era stato disposto.

Piuttosto, la deposizione del M. rilevava in senso favorevole alla tesi d’accusa laddove costui aveva parlato di una situazione di salute preoccupante per il persistere della sintomatologia dolorosa nonostante la somministrazione di antidolorifici. Una ulteriore conferma dell’affrettata ed incauta dimissione della paziente si ricavava dall’esame dello stesso registro dell’Ospedale, da cui risultava la mancata prescrizione di accertamenti o l’indicazione di un ricovero nell’ipotesi di persistenza del dolore, a dimostrazione del fatto che il ********* non si era affatto preoccupato delle condizioni di salute della D.G..

Del resto, la mancata doverosa informazione del fatto che il persistere del dolore era la spia di una patologia grave in atto era provata anche, sul piano logico, dal rilievo della incompatibilità di una tale informazione, ove viceversa data, con il rifiuto di ricoverarsi espresso da una donna in preda a dolori lancinanti, mentre tale atteggiamento di rifiuto era perfettamente compatibile con le rassicurazioni date alla paziente ed ai suoi congiunti, emerse dalle testimonianze di questi ultimi.

La condotta omissiva considerata si era posta – a giudizio dei secondi giudici – in stretto rapporto di causalità con l’eventomorte in quanto la permanenza in ambito ospedaliero avrebbe consentito un monitoraggio della situazione e la tempestiva esecuzione di una diagnosi e del necessario intervento chirurgico;

tale intervento, ove eseguito nelle prime ore, avrebbe assicurato altissime probabilità di sopravvivenza in quanto, come riportato dal citato consulente, per quel tipo di intervento nelle prime ore vi è una mortalità molto bassa, percentualmente collocatesi intorno al 10%.

A questo punto i secondi giudici – richiamate due massime di sentenze questa Corte in tema di "causalità omissiva", tra le quali quella della sentenza delle Sezioni Unite 10-7-2002, n. 30328, ******** – hanno chiuso il cerchio della motivazione affermando che era provata, sulla base di tutte le argomentazioni svolte, la responsabilità dell’imputato per il reato ascrittogli.

Avverso tale decisione ricorrono per cassazione i difensori dell’imputato, deducendo cinque distinti mezzi di annullamento, e precisamente:

1) violazione di legge in relazione agli artt. 597 e 581 c.p.p., nonchè manifesta illogicità della motivazione, perchè l’appellante ********************** aveva subordinato la propria richiesta di affermazione della responsabilità dell’imputato al previo espletamento, in sede di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in secondo grado, di una nuova indagine peritale dalla quale fosse emersa una omissione colposa addebitabile all’imputato, mentre i secondi giudici erano pervenuti alla pronuncia di condanna senza avere disposto la nuova perizia a norma dell’art. 603 c.p.p.;

2) violazione di legge e vizio di motivazione, essendo mancata la necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta omissiva rimproverata e l’evento morte, indagine la cui corretta esecuzione avrebbe dovuto comportare l’effettuazione (mancata nella specie) di un argomentato giudizio controfattuale, mentre i secondi giudici avevano erroneamente considerato, in luogo delle probabilità di scongiurare l’evento che l’intervento chirurgico avrebbe garantito, il dato probabilistico di sopravvivenza della paziente all’intervento ex se;

3) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto degli artt. 521 e 522 c.p.p., in quanto alla condotta omissiva colposa ascritta nel capo di imputazione (omesso esame ecocardiografico) era stato sostituito, nella motivazione della sentenza affermativa della responsabilità dell’imputato, un totalmente diverso, e mai contestato, profilo di colpa specifica in omittendo, colpa consistita nell’avere il dottor T. omesso di dare una corretta informazione in ordine alla necessità di un ricovero finalizzato all’effettuazione di accertamenti più approfonditi;

4) i vizi di legittimità di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 40 e 589 c.p., essendo la prova della ravvisata colpa per mancata informazione stata tratta da una lettura acritica delle dichiarazioni rese dai parenti della vittima ed avendo i secondi giudici operato confusione tra due tematiche totalmente diverse: quella della necessità del cd. "consenso informato" e quella relativa alla pretesa mancata prospettazione alla paziente della necessità di un suo ricovero immediato per accertamenti urgenti; omissione, questa, smentita per tabulas dall’avvenuta sottoscrizione, da parte di quest’ultima, dell’annotazione "rifiuta il ricovero" apposta sul registro del Posto di Pronto Soccorso;

5) i medesimi vizi di legittimità di cui sopra in relazione all’affermata esistenza del nesso eziologico tra la condotta omissiva ritenuta e la verificazione della morte della paziente, essendo stata meramente richiamata la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione 10-7-2002, n. 30328, ********, in tema di causalità nei reati omissivi impropri, senza che ne siano stati però rispettati i dieta, segnatamente in ordine alla necessità (ribadita da Cass. Sez. 4, 9-2-2006, n. 12894, ******) di individuare, nella ricostruzione del nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento lesivo, tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento, e di pervenire, all’esito di un giudizio controfattuale operato tenendo conto di tutta l’evidenza disponibile, all’affermazione di sussistenza nel caso concreto del nesso eziologico suddetto e, quindi, della responsabilità dell’imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio" (come d’altronde richiesto dal novellato art. 533 c.p.p., comma 1, per la pronuncia di sentenza di condanna).

Nella odierna udienza il Procuratore ******** ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ed i difensori dell’imputato hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va esaminato per primo, in ragione del suo carattere pregiudiziale in quanto il suo eventuale accoglimento comporterebbe la nullità della sentenza impugnata a norma dell’art. 522 c.p.p., comma 1, il terzo dei motivi che sono stati posti a base del ricorso, motivo concernente la dedotta mancanza di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (art. 521 c.p.p.).

A sostegno della relativa censura il ricorrente afferma che, una volta contestato all’imputato di avere omesso l’esame ecocardiografico sull’assunto che la sua esecuzione avrebbe consentito una corretta e più tempestiva diagnosi della patologia aortica e, quindi, una concreta possibilità di sopravvivenza della paziente, l’Accusa, per giungere, in riforma della sentenza assolutoria emessa in primo grado, ad un’affermazione di responsabilità, avrebbe dovuto dimostrare che l’omissione dell’esame suddetto era attribuibile ad una scelta dell’imputato e che l’evento mortale sarebbe stato evitabile con una corretta diagnosi; invece, la sentenza di condanna è stata motivata unicamente sulla base di un elemento diverso, del tutto nuovo e mai contestato al Dott. T., e cioè quello di avere costui omesso di dare una corretta informazione in ordine alla necessità di un ricovero finalizzato all’effettuazione di accertamenti più approfonditi.

Donde la mancanza di correlazione tra accusa e sentenza perchè, se è vero che in materia colposa il giudice può affermare la responsabilità dell’imputato anche per una violazione specifica diversa, a fronte della esistenza di una contestazione di colpa generica, è invece inammissibile, per violazione del diritto di difesa, l’attribuzione di una responsabilità per un profilo di colpa specifico diverso da quello che è stato contestato. Nella specie era stato contestato nel capo di imputazione un unico profilo di condotta colposa omissiva, e precisamente quello di non avere disposto un esame ecocardiografico nonostante persistesse la toracoalgia, e tale specifica contestazione aveva indotto l’imputato ad una determinata impostazione difensiva nelle diverse fasi processuali, anche (e non solo) in relazione alle fonti probatorie indicate ed alle modalità della stessa istruttoria dibattimentale.

Osserva questa Corte che il motivo in esame si riconduce alla consolidata giurisprudenza di legittimità la quale – muovendo dalla considerazione che il riferimento, nel capo di imputazione alla colpa generica come la contestazione riguardi la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicchè questi è posto in condizione di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione dell’evento di cui è chiamato a rispondere (vedansi Cass. Sez. 4, 17-11-2005, n. 2393, ***** ed altro; Sez. 4, 4-5-2005, n. 38818, *******; Sez. 4, 4- 3-2004, n. 27851, ********) – afferma che, nei procedimenti per reati colposi – mentre quando nel capo d’imputazione sono stati contestati elementi generici e specifici di colpa la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, a quello originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 c.p.p. e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 c.p.p., invece, quando, la causazione dell’evento viene contestata in riferimento ad una singola specifica ipotesi colposa e la responsabilità viene affermata in riferimento ad un’ipotesi differente, il principio di correlazione tra accusa e sentenza può dirsi violato (Cass. Sez. 4, 21-6-1997, n. 77044, P.M. in proc. ******* ed altri).

Orbene – premesso che nel caso in esame la contestazione mossa all’imputato nel capo di accusa attiene ad un addebito di colpa generica (per negligenza ed imperizia) consistita nella omessa disposizione di un esame ecocardiografico pur in presenza delle persistenti toracoalgie lamentate dalla paziente, e considerato che il ricorrente deduce l’avvenuta sostituzione, in sentenza, della condotta con altra (quella consistita nella mancata prospettazione alla paziente medesima della necessità di un suo ricovero per accertamenti) del pari omissiva e del pari connotata da colpa generica per negligenza ed imperizia e, se vuolsi, anche per imprudenza – va affermato che la dedotta violazione del combinato disposto degli artt. 521 e 522 c.p.p. non può dirsi sussistente.

Devesi infatti considerare che l’affermazione di responsabilità dell’imputato è stata fondata non tanto sul mancato ricovero della paziente ex se quanto su quella mancata esecuzione di accertamenti diagnostici (vedasi la dichiarazione del consulente tecnico del Pubblico Ministero dottor P. che è stata valorizzata dai secondi giudici e che è stata riportata nella parte narrativa della presente sentenza: "… se la paziente non avesse rifiutato il ricovero probabilmente persistendo il dolore avrebbero fatto un torace, avrebbero fatto un’ecografia…") nel novero dei quali rientra proprio quell’esame ecocardiografico la cui mancata esecuzione è stata rimproverata al sanitario nel capo di imputazione sotto il profilo di una condotta colposamente omissiva configurante il reato (omissivo improprio) ascritto; il mancato ricovero (conseguito al rifiuto opposto per iscritto dalla paziente) assume – rispetto all’addebito così come specificamente formulato, rimasto pertanto nella sostanza immutato ancorchè arricchito dalla indicazione di in ulteriore aspetto di colpa (generica) – valenza sotto il profilo della mancata attuazione di un mero antecedente di natura funzionale alla esecuzione dell’accertamento diagnostico omesso. Inoltre, quello della mancata prospettazione da parte dell’imputato a D.G.R. dell’opportunità o necessità di ricoverarsi per la esecuzione di accertamenti diagnostici costituisce un tema che è stato ampiamente dibattuto nel giudizio di primo grado, anche con riferimento alla valenza nel caso concreto del rifiuto opposto al ricovero dalla paziente, consigliato o meno dall’imputato, informata o meno la paziente stessa della gravità delle sue condizioni e, quindi, della necessità di un ricovero ospedaliero funzionale alla esecuzione degli esami diagnostici del caso.

Il tema dell’avere o meno l’imputato prospettato alla paziente almeno l’opportunità, se non la necessità, di un suo immediato ricovero in ospedale per la esecuzione di approfonditi accertamenti ha, in realtà, costituito un punto centrale dell’indagine istruttoria dibattimentale, sul quale il contraddittorio si è ampiamente articolato, come risulta dal testo di entrambe le sentenze dei giudici di merito, nelle quali si è fatto riferimento alle dichiarazioni rese su tale specifico punto dai testimoni parenti della vittima, dallo stesso imputato (il quale ha sostenuto, proprio per difendersi dal relativo addebito di colpa, di avere prospettato alla paziente l’opportunità di un suo ricovero per accertamenti) e dal medico dottor M., nonchè alle riportate dichiarazioni del consulente del Pubblico Ministero ("Nel momento in cui io ho eliminato quella diagnosi che è la più a rischio, l’infarto, la più frequente e la più a rischio, vale a dire la crisi infartuale, io ricovero il paziente in osservazione… ecc."), ed, infine, alla (esclusa dalla Corte territoriale) valenza favorevole alla tesi difensiva dell’avvenuta sottoscrizione da parte della D.G. R., in calce alla scritta "Rifiuta il ricovero", del "libro bianco" allora in dotazione al Posto di Pronto Soccorso dell’Ospedale "(omissis)".

Se così è, non può non trovare applicazione nel caso di specie il principio di diritto, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, a tenore del quale l’indagine in tema di mutamento del fatto dante luogo a nullità (artt. 521 e 522 c.p.p.) sulla sussistenza o meno della correlazione tra accusa e sentenza non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in tema di garanzie e di difesa, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta in cui si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, e pertanto la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto della imputazione (Cass. Sezioni Unite 19-6-1996, n. 16, Di *********; Sez. 6, 4-6-1997, n. 6753, ******** ed altri; Sez. 5, 5-5-1999, n. 7581, *****; Sez. 6, 20-2- 2003, n. 34051, Ciobanu; Sez. 4, 2-2-2004, n. 16900, Caffaz ed altri;

Sez. 6, 14-6-2004, n. 36003, Di *******; Sez. 4, 6-7-2004, n. 41674, **** ed altri; Sez. 5, 9-11-2004, n. 46203, *****; Sez. 1, 10-12- 2004, n. 4655, *****; Sez. 4, 27-1-2005, n. 27355, *******; Sez. 6, 25-10-2005, n. 41663, Canonizzo ed altro; Sez. 2, 23-11-2005, n. 46242, ********).

Nel caso concreto in esame appare evidente che la Corte territoriale non ha operato, nell’individuare la condotta colposa addebitabile all’imputato, alcuno stravolgimento dei termini dell’accusa per termini di radicale inconciliabilità tra condotta la colposa ritenuta e quella contestata (l’una e l’altra essendo, in realtà, strettamente connesse sì da configurare profili paralleli di un’unica omissione) e che è stato pienamente garantito (nonchè dalla difesa concretamente esercitato) il contraddittorio sul contenuto dell’accusa così come contestato e come delineatosi e specificatosi durante l’iter del processo, senza che, dunque, la nozione strutturale del "fatto" contenuta negli artt. 521 e 522 c.p.p. (la quale va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa) sia stata intaccata in misura tale da avere fatto venir meno la necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) e da avere comportato la condanna dell’imputato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, dal quale l’imputato non abbia avuto modo di difendersi.

Per le ragioni che precedono va, dunque, disatteso il motivo di ricorso sin qui esaminato.

Si rende di seguito necessario l’esame del motivo, posto per primo a sostegno del ricorso, con il quale è stata dedotta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), in relazione agli artt. 597 e 581 c.p.p..

Il ricorrente afferma che il Procuratore Generale aveva proposto appello avverso la sentenza di assoluzione esclusivamente in relazione alla "nullità sostanziale della consulenza tecnica del Dottor P.) per contraddittorietà ed illogicità manifesta" con riguardo a quanto dal predetto consulente affermato nella relazione scritta, prima, ed in dibattimento, poi, con conseguente rappresentazione, da parte dell’appellante Procuratore Generale della "necessità di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con nuova indagine peritale" e con finale richiesta che la Corte territoriale pronunciasse sentenza di condanna dell’imputato solo ove, all’esito della suddetta indagine, fosse emersa la sussistenza di un’omissione colposa", sicchè l’appellante – si sostiene in ricorso – non mirava ad ottenere una condanna tout court, bensì a far solo chiarezza processuale.

Pertanto i secondi giudici avrebbero, secondo il ricorrente, dovuto e potuto, in ragione di quanto previsto dall’art. 597 c.p.p., o accogliere l’appello (circoscritto in modo tale da avere sconsigliato l’imputato dal proporre appello incidentale) disponendo la richiesta parziale rinnovazione mediante perizia, ovvero respingerlo, confermando la sentenza di primo grado, ma non avrebbero potuto pervenire ad una pronuncia di condanna sulla base del materiale probatorio già presente in atti, ritenendo contraddittoriamente, da un lato, la fondatezza dell’appello e, non disponendo, dall’altro, la richiesta rinnovazione, all’esito della quale la richiesta di condanna era condizionata da parte dell’appellante **********************.

Anche tale motivo è infondato.

Invero dall’esame dell’atto di appello si evince agevolmente che l’appellante, pur avendo indicato sotto la voce "Motivi" la "Nullità sostanziale della consulenza tecnica del P.M. (******) per contraddittorietà ed illogicità manifesta" e la "Necessità di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale", ha censurato la motivazione della sentenza del primo giudice in quanto il formulato giudizio di dubbio sulla responsabilità dell’imputato, e segnatamente sulla sussistenza del nesso eziologico tra la mancata esecuzione dell’ecocardiogramma, non disposto dal ********, ed il letale evento, è stato fondato sul non motivato revirement operato dal predetto consulente tecnico rispetto a quanto questi aveva affermato in termini decisi nella propria relazione scritta, ed ha conseguentemente richiesto che la Corte territoriale affermasse la colpevolezza dell’imputato, con conseguente condanna del medesimo.

Rileva questa Corte che, se è vero che l’appellante ha chiesto anche che venisse disposta, a fronte delle affermazioni rese in dibattimento, dal consulente tecnico ********, il quale aveva in tale sede dichiarato di "essere stato troppo assolutista" e di avere "forzato la mano", ed aveva, secondo l’appellante Procuratore Generale, in tal modo "tentato di modificare il perentorio giudizio di colpevolezza contenuto nella sua relazione" – nella quale aveva sostenuto che "una volta esclusa la patologia infartuate, in presenza di una persistente toracoalgia… ecco che deve sorgere il sospetto diagnostico di una patologia aortica ed indirizzare le indagini in tal senso, con una radiografia del torace, ma ancor più con un ecocardiogramma: quest’ultimo è considerato oggi l’accertamento dirimente che si impone e che nella fattispecie avrebbe potuto orientare il diagnostico nel senso corretto: il che avrebbe consentito un approccio in ambiente cardio-chirurgico molto prima", che "vi fu negligenza ed imperizia da parte dei sanitari del Pronto Soccorso" in quanto "… il dolore toracico meritava appunto un approfondimento, ed un eco avrebbe comunque consentito di giungere ad una diagnosi di certezza", che "… I sanitari dell’Ospedale (omissis) si limitarono ad escludere un infarto del miocardio omettendo… un esame ecocardiografico che avrebbe consentito una più corretta e tempestiva diagnosi" la quale "avrebbe consentito concrete possibilità di sopravvivenza", e che "… la letteratura riporta oggi una mortalità intorno al 10% se l’intervento avviene nelle prime ore" (affermazioni dalle quali l’appellante ha tratta la conseguenza di un formulabile giudizio di sussistenza del nesso eziologico tra la negligenza dell’imputato, consistita non soltanto nell’omissione degli accertamenti ritenuti indispensabili dalla scienza medica, ma anche nella intempestività e nella mancata diagnosi, e l’evento) – tuttavia dalle argomentazioni dell’appellante non può evincersi che la richiesta di affermazione della responsabilità dell’imputato sia stata sottoposta ad una (inedita) "condizione" costituita dalla pur invocata parziale rinnovazione del dibattimento ex art. 603 c.p.p. per l’esecuzione di una "nuova indagine peritale", con la conseguente configurazione di una richiesta di condanna formulata soltanto in via subordinata all’espletamento di una perizia tale da sciogliere nel senso della esistenza di una condotta colposa in omittendo eziologicamente connessa alla verificazione del tragico evento i dubbi sollevati nel primo giudice dalle dichiarazioni rese in dibattimento dal consulente.

Di conseguenza deve ritenersi privo di pregio il motivo con il quale l’odierno ricorrente addebita ai secondi giudici la violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum sancito nel primo comma dell’art. 597 c.p.p., nonchè il vizio di manifesta illogicità di motivazione sull’assunto che, in forza del tenore della censura articolata dall’appellante e della richiesta così come formulata dal medesimo, la Corte territoriale si sarebbe trovata di fronte ad una scelta obbligata, nel senso o di disporre la esecuzione di una perizia per poi decidere in conformità all’esito della stessa, ovvero di rigettare il proposto appello confermando la sentenza impugnata, ma non avrebbero potuto, non avendo dato ingresso alla nuova prova mediante parziale rinnovazione del dibattimento, pervenire – senza incorrere nella contraddizione insita nella ritenuta fondatezza di un appello pur disatteso in ordine alla condizione cui l’appellante aveva subordinato la propria richiesta di condanna – all’affermazione di responsabilità dell’imputato. In realtà, come già si è qui affermato, il proposto appello non poneva la supposta "condizione" per l’accoglimento della richiesta di riforma della sentenza assolutoria resa dal primo giudice, e tantomeno può dirsi che la impugnazione mirasse (il che sarebbe del tutto singolare quanto estraneo all’istituto dell’appello ed alle regole del medesimo) soltanto "a fare chiarezza" invocando l’applicazione di un istituto (quello della parziale rinnovazione della istruzione dibattimentale in grado di appello ex art. 603 c.p.p., comma 1) che ha, per consolidata giurisprudenza di legittimità, carattere eccezionale in quanto la detta rinnovazione è subordinata normativamente ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità, conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti (vedasi, per tutte, Cass. Sez. 2, 1-12- 2005, di **************** ed altri), valutazione discrezionale incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 4, 5-12-2003, n. 4981, P.G. in proc. ******** ed altri).

Gli ulteriori motivi posti a sostegno del ricorso concernono il tema della colpa (il quarto) e quello del nesso eziologico tra condotta omissiva ed evento (il terzo ed il quinto) e questa Corte ritiene di dover prendere prioritariamente in esame, per evidenti ragioni di antecedenza logica, la censura che attiene alla colpa ritenuta in sentenza.

Va precisato che il primo giudice aveva, in tema, riportato le dichiarazioni rese in dibattimento dal consulente tecnico ********, come segue.

Il predetto consulente aveva in tale sede affermato che la ipertensione, fenomeno che si associa frequentemente alla dissecazione aortica e che era presente nella paziente all’atto del suo ricovero nell’Ospedale (omissis) (comparso, in tale momento, anche un lieve soffio diastolico) con valori di 170-190, costituisce un dato che non prova la esistenza di una dissecazione aortica ma costituisce un mero elemento di sospetto in tale direzione, sicchè, anche ammesso che la suddetta detta ipertensione sussistesse già mentre la D.G. si trovava presso l’Ospedale Incurabili, l’imputato in sede di Pronto Soccorso non poteva andare oltre quello che aveva già fatto, ma soltanto disporre un ricovero, e se esso ******** aveva inizialmente ravvisato una responsabilità a carico dell’imputato per avere erroneamente ritenuto, sulla base del solo estratto del libro bianco, che la dichiarazione di rifiuto del ricovero fosse stata sottoscritta dal marito della paziente, poi, resosi conto, una volta esaminato il libro bianco esibitogli dal P.M., che tale dichiarazione recava in calce la firma della interessata, aveva escluso profili di negligenza a carico del medico;

in definitiva, il consulente riteneva di non ravvisare alcuna imperizia, imprudenza o negligenza nell’attività dei sanitari dell’Ospedale (omissis).

Il giudice monocratico del Tribunale ha poi riportato la deposizione del teste D.P.L., Direttore sanitario dell’"(omissis)", il quale aveva affermato, tra l’altro, che la regola seguita era, all’epoca, la seguente: se il medico, all’esito della visita, riteneva di non dover ricoverare il paziente, la firma di quest’ultimo non era obbligatoria, mentre, nei casi in cui il ricovero veniva prescritto dal medico, sul libro bianco veniva annotato "Rifiuta il ricovero", con apposizione in calce della firma della paziente, così come era avvenuto nella specie. Lo stesso teste aveva affermato che in regime di Pronto Soccorso non era effettuabile una ecocardiografia, a meno che il medico non ne avesse ravvisata l’assoluta necessità e sempre che in ospedale fosse stato presente un medico in grado di praticare tale esame, di natura cardiologia e, quindi, estremamente specialistico; situazione, quest’ultima, non presente nella specie essendo il T., medico internista, di turno unitamente soltanto ad ostetrici e chirurghi.

Sulla scorta di tali risultanze, nonchè di ulteriori acquisiti elementi, il primo giudice era giunto alla seguenti affermazioni:

"… nel caso di specie l’esame idoneo a rivelare la dissecazione aortica, come poi avvenuto al (omissis), era l’ecocardiogramma" "non praticabile al pronto soccorso degli (omissis)"; "Ciò premesso, tenuto conto che l’unico accertamento astrattamente praticabile dal T…. era una radiografia del torace, accertamento meno idoneo nel caso de quo, rispetto ad un’ecocardiogramma, non può ravvisarsi, nella mancata effettuazione del suddetto esame alcuna negligenza a carico del T.".

Sempre in ordine al tema della colpa, il giudice monocratico del Tribunale di Napoli aveva preso in considerazione anche il dibattuto punto costituito dall’avere o meno l’imputato motivatamente consigliato alla paziente di ricoverarsi ed aveva dato conto delle circostanze contrastanti emerse, per concludere, all’esito della relativa disamina, che non era dimostrata con certezza la mancata prospettazione del ricovero da parte dell’imputato. La Corte territoriale invece è pervenuta all’affermazione di assoluta certezza della prova della suddetta omissione ascritta all’imputato (omissione la quale ha costituito, nello svolgimento dell’iter del dibattimento, prima, e nella motivazione della sentenza gravata di ricorso, poi, l’essenza della colpa nella quale sarebbe incorso il sanitario) sostenendo – una volta premesso che la persistenza del dolore toracico rendeva assolutamente indispensabile il ricovero della paziente per monitorare la situazione, giungere ad una diagnosi ed eseguire gli indispensabili accertamenti – che l’imputato non aveva certamente consigliato alla paziente di ricoverarsi informandola correttamente della relativa necessità, e che la contrastante circostanza dell’avvenuta sottoscrizione, da parte di D.G.R., della dichiarazione di rifiuto del ricovero doveva essere considerata tamquam non esset proprio in ragione della omessa informazione de qua, emersa dal dato testimoniale e confermata, sotto il profilo logico, dalla considerazione che la donna mai avrebbe rifiutato di ricoverarsi, pur in preda a dolori lancinanti, ove non fosse stata rassicurata, e con lei i suoi familiari, sulla non gravità della situazione in rapporto alla denunciata sintomatologia.

Tale motivazione dei secondi giudici in ordine alla colpa viene censurata dal ricorrente come segue.

La prova della ravvisata colpa per mancata informazione è stata tratta da una lettura acritica delle dichiarazioni rese dai parenti della vittima, persone le quali dovevano ritenersi, se non proprio interessate ad ottenere la condanna dell’imputato, almeno emotivamente coinvolte nella vicenda.

Inoltre, i secondi giudici hanno mostrato di confondere due tematiche completamente diverse, precisamente quella della necessità del cosiddetto "consenso informato" del paziente, cui si prospetta una terapia e/o un intervento, e quella dell’invito a ricoverarsi per l’effettuazione di una diagnosi più approfondita.

La prima di dette tematiche – osserva il ricorrente – è del tutto estranea alla vicenda de qua, atteso che l’obbligo relativo al "consenso informato" ha come presupposto la esistenza di una diagnosi completa già effettuata sul paziente a mezzo dei presidi diagnostici disponibili, mentre nel caso in esame, l’obiettivo del medico era proprio la diagnosi del malessere lamentato dalla paziente, per cui, nella impossibilità di conseguirla in regime di Pronto Soccorso (attestata dal teste D.P.L., Direttore Sanitario dell’Ospedale (omissis)), si prospettava, svolti gli esami possibili in quella sede, l’opportunità del ricovero della malata al fine di approfondirli con l’ausilio non solo degli opportuni strumenti tecnologici ma anche degli stessi tecnici competenti ad usarli. L’inconscia assimilazione delle due tematiche suddette da parte dei secondi giudici aveva condotto alle illogica conseguenza di addebitare all’imputato la colpa di non aver fatto preoccupare eccessivamente la paziente, si da non averla coartata psicologicamente a farsi ricoverare, come se il medico avesse già raggiunto una diagnosi certa in ordine alla gravità ed alla natura della patologia, in un contesto nel quale le patologie possibili correlate alla denunciata sintomatologia dolorosa potevano essere le più varie, e non necessariamente le più gravi.

Difficilissima la diagnosi di dissecazione dell’aorta (come dichiarato dal C.T.U. prof. P.), si è finito con il ripiegare sul quel ricovero, non effettuato, che l’imputato doveva sì prospettare, ma senza per questo dover incutere un timore, magari ingiustificato, nella paziente in assenza di diagnosi.

Detta avvenuta prospettazione, in forma corretta, deve – afferma il ricorrente – ritenersi provata per tabulas dall’annotazione "Rifiuta il ricovero" sul libro in dotazione al Pronto soccorso e dalla sottoscrizione apposta dalla paziente, dimostratasi sempre lucida e vigile nonostante il dolore che pativa.

Del tutto assiomatica è, poi, l’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’informazione sarebbe stata carente, affermazione smentita, tra l’altro – donde un (ulteriore) travisamento della prova – dalla teste M.A., la quale, in sede di confronto dibattimentale, disse testualmente all’imputato:

"Ma dottore, la cosa più grave è quella che lei si è rivolto solo alla defunta e non si è rivolto ai familiari, e dal dottor M. (anche lui di turno al Pronto Soccorso) il quale ha deposto di aver invitato lui stesso la paziente a ricoverarsi (deposizioni, queste, di cui ad atti allegati al ricorso).

A giudizio di questa Corte l’articolato motivo di impugnazione che precede non è fondato laddove addebita ai secondi giudici di avere confuso, (sia pure per inconscia assimilazione) il concetto di "consenso informato", del tutto estraneo alla situazione in esame, con le informazioni da darsi (e secondo la Corte territoriale non date) alla paziente sulla opportunità di ricoverarla in considerazione dei sintomi evidenziati e degli esami, non eseguibili in sede di pronto soccorso, da effettuarsi invece indispensabilmente.

In realtà dalla motivazione della sentenza impugnata tale confusione concettuale non traspare, in quanto i giudici dell’appello non hanno fatto alcun riferimento – in assenza di una formulata diagnosi ed in presenza della ravvisata necessità di disporre specifici accertamenti che consentissero di pervenire alla diagnosi e, di seguito, alla terapia (mediante intervento chirurgico, una volta che era stata diagnosticata la "dissecazione aortica) – alla nozione di "consenso informato" in senso tecnico, bensì alla necessità di rendere edotta la paziente delle ragioni che rendevano opportuno (ed a parere della Corte territoriale indispensabile) quel ricovero, finalizzato alla esecuzione di altrettanto necessari accertamenti ed approfondimenti diagnostici, che la D.G.R. aveva, pur affetta da forti dolori, rifiutato.

In realtà, non si trattava affatto, diversamente da quanto il ricorrente assume, di far preoccupare eccessivamente la paziente sì da coartarla psicologicamente a farsi ricoverare pur in assenza di una diagnosi certa in ordine quale delle plurime patologie correlagli alla sintomatologia in atto fosse sussistente, bensì di consigliare il ricovero illustrandone all’interessata le ragioni.

Il ricorrente coglie, tuttavia, nel segno laddove deduce il vizio motivazionale consistito nell’avere i secondi giudici apoditticamente assegnato prevalenza alle dichiarazioni rese dai testimoni, costituiti parti civili (e pertanto da valutarsi con particolare attenzione in punto di attendibilità) in ordine all’esclusione del fatto che l’imputato avesse consigliato alla D.G. il ricovero esternando le ragioni della necessità, o quantomeno della opportunità, del medesimo, e non piuttosto all’elemento documentale, presente in atti, che deponeva in senso contrario, elemento costituito precisamente dalla prova, appunto documentale, dell’avvenuto rifiuto di ricoverarsi espresso dalla paziente, logicamente postulante, fino a prova contraria, un’avvenuta disposizione del ricovero stesso, a sua volta rinviante, sul piano logico, ad una illustrazione di sottostanti ragioni di necessità od opportunità del medesimo; ciò in un contesto nel quale il dottor M., presente anch’egli al Posto di Pronto Soccorso, aveva non soltanto affermato di avere parlato con il ******** del fatto che la sintomatologia da cui la paziente era affetta era preoccupante, ma anche di avere egli stesso detto alla D.G., presente il T., che il suo ricovero era consigliabile.

E’ ben vero che in sede di confronto dibattimentale la teste M.A. aveva contrastato (pur profferendo la frase richiamata dal ricorrente: "Ma dottore, la cosa più grave è quella che lei si è rivolto solo alla defunta e non si è rivolto ai familiari: vedasi pag. 35 del verbale stenotipico della udienza nella quale si è svolto il suddetto confronto) non soltanto l’affermazione dell’imputato (peraltro evidentemente interessata per la posizione rivestita dal loquens nel processo, e quindi di certo non probante) di avere consigliato alla paziente di ricoverarsi, ma anche quella del teste M. di avere detto ("anche io") alla signora D. G. che, se il dolore persisteva, ella doveva ricoverarsi (pagina 15 del verbale stenotipico della relativa udienza), ed è anche vero che lo stesso teste aveva dichiarato di non sapere se il T. avesse o meno disposto o consigliato il ricovero per accertamenti;

tuttavia resta il fatto che l’esclusione di tale ultima circostanza rimane affidata, nella motivazione della sentenza impugnata, oltre che ad una mera deduzione dei giudicanti (la D.G. non avrebbe sopportato una notte di dolori "lancinanti" ove fosse stata effettivamente consigliata a ricoverarsi) che non può avere valenza decisiva, alle affermazioni delle parti civili cui si contrappone il dato oggettivo dell’avvenuta sottoscrizione da parte della D. G. in calce alla scritta "Rifiuta il ricovero" sul "libro" all’epoca in uso presso quel Pronto Soccorso ospedaliere, sottoscrizione la quale (teste il Direttore Sanitario D.P.) veniva apposta, come è conforme a logica, soltanto ove il medico avesse prospettato il ricovero con le dovute spiegazioni ed informazioni ed il paziente lo avesse rifiutato.

Tale risultanza documentale è stata liquidata dai secondi giudici con un tamquam non esset che trae, per vero, le proprie ragioni da un configgente assunto tutto da dimostrare.

Possono essere esaminati congiuntamente il secondo ed il quarto dei motivi posti a sostegno del ricorso, con i quali il ricorrente censura per violazione di legge e vizio di motivazione la sentenza impugnata nella parte affermativa della sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa ravvisata in capo all’imputato e la verificazione dell’evento morte.

Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) e b) in relazione agli artt. 40, 41, 43 e 589 c.p.p., affermando che i secondi giudici, a fronte di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un’ampia istruttoria dibattimentale ed escludente il nesso di causalità tra la condotta rimproverata e l’evento, non hanno speso parola sull’aspetto medico-legale sulle cause della morte, sulla malattia e sulla possibilità che l’evento si verificasse pur in presenza di una diagnosi tempestiva, unica considerazione svolta essendo stata quella consistita nel richiamare malamente un dato percentualistico, laddove, in un fugace passaggio, il C.T.U. avrebbe affermato nel dibattimento che, per il tipo d’intervento richiesto, ove eseguito nelle prime ore, vi sarebbe una mortalità molto bassa, intorno al 10%; considerazione che il ricorrente afferma essere del tutto priva di consistenza ed alla quale i secondi giudici hanno accompagnato la citazione di una massima di sentenza delle Sezioni Unite che – si afferma in ricorso – ove correttamente letta avrebbe comportato il rigetto dell’appello o, tutt’al più, la verifica scientifica richiesta dall’appellante.

Rileva il ricorrente che alle pagine 93-94 del verbale di udienza del 26 maggio 2003 (allegate al ricorso) il prof. P., nell’esporre la propria consulenza, aveva affermato che "… la dissecazione aortica è una patologia che, per quanto oggi aggredibile, offre un margine di mortalità elevatissimo, quindi è una patologia ad alto rischio, indipendentemente dall’intervento chirurgico, e l’intervento chirurgico fatto in emergenza da un indice di mortalità sotto i ferri del 10%, quindi è una patologia ad alto rischio", così avendo detto, molto chiaramente e senza possibilità di capziose interpretazioni, che, al di là dell’elevatissima mortalità della patologia, il solo rischio operatorio si quantifica in una percentuale di mortalità del 10%, la quale nulla ha a che vedere con la percentuale di mortalità della malattia in questione, la quale ultima non necessariamente viene risolta dall’intervento, pur ove questo sia stato superato. Donde il totale travisamento del dato da parte dei secondi giudici.

Invero – prosegue il ricorrente – la percentuale di mortalità della patologia in questione è stata indicata a pagina 5 della relazione peritale scritta, laddove si legge che: "… la patologia è caratterizzata da alta mortalità (il 20-30% nelle prime ore), meno del 50% sono ancora vivi alla fine della prima settimana e soltanto il 10-20% sopravvive entro il primo anno. Va anche precisato che dette percentuali sono state modificate dalla terapia chirurgica che, peraltro, in fase acuta riveste ancora una mortalità assai elevata";

donde l’infondatezza della valutazione di altissima probabilità di sopravvivenza in caso di diagnosi ed intervento chirurgico immediati e, pertanto, il vizio di motivazione anche in tema di probabilità e percentuali.

Il quinto ed ultimo motivo di ricorso concerne i vizi ex lettere b) ed e) dell’art. 606 c.p.p. in relazione agli artt. 40, 41 e 589 c.p.p..

Il ricorrente sottolinea, al riguardo, il disimpegno motivazionale della sentenza di condanna impugnata, la quale tanto più avrebbe richiesto una approfondita motivazione in quanto la precedente sentenza era stata di assoluzione, ed evidenzia che l’accertamento del giudice non può prescindere dalla verifica delle cause della morte, del tipo di patologia e della sua evoluzione naturale, delle pregresse condizioni fisiche della paziente e, comunque, della superabilità dell’intervento chirurgico, delle eventuali prospettive di sopravvivenza dopo di questo, dell’esistenza di possibili cause sopravvenute ed, infine, del coefficiente statistico (tesi confortata dalla citata sentenza delle Sezioni Unite Franzese e ribadita da Cass. Sez. 4, 9-2-2006, n. 12894, ******, affermante anch’essa la necessità che nella ricostruzione del nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento lesivo non si può assolutamente prescindere dalla individuazione di tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento (ergo la causa della morte del paziente).

Di tutto ciò – rileva il ricorrente – non si fa parola nella sentenza gravata di ricorso; non effettuato esame autoptico, con conseguente mancata conoscenza delle condizioni delle arterie (C.T. P.), nessuna certezza logica è stata offerta per escludere che l’evento si sarebbe in ogni caso verificato e per ritenere che l’aorta della signora D.G. (accanita fumatrice la quale soffriva di ipertensione, come da cartella clinica dell’Ospedale (omissis)) fosse operabile.

Infine, nessuna certezza (mentre il novellato ari. 533 c.p.p. richiede che il giudice pervenga ad un convincimento di reità "al di là di ogni ragionevole dubbio"), è stata evidenziata nel provvedimento oggetto del ricorso in ordine alla individuazione della causa della morte, atteso che nella cartella clinica dell’Ospedale (omissis) si "ipotizza" la dissecazione aortica, ed in quella dell’Ospedale (omissis) si constata il decesso per arresto cardiocircolatorio per "presunta" dissecazione aortica.

Osserva questa Corte quanto segue.

Il primo giudice – dopo avere affermato, in sede di valutazione della colpa per negligenza esclusa nella sua sentenza, che l’ecocardiogramma, non praticabile nel Posto di Pronto Soccorso, non necessariamente sarebbe stato dirimente per una corretta e tempestiva diagnosi, perchè in quella fase iniziale non era detto che da tale accertamento sarebbe emersa, in quel momento, l’alterazione – è passato ad esaminare il tema del nesso causale ed ha affermato, richiamando il dictum della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 3032872002, ********, che, alla luce delle precisazioni fornite dal consulente P. in dibattimento, il nesso causale tra la condotta omissiva rimproverata e l’evento, se pur astrattamente configurabile sulla base di una legge statistica, non era stato accertato, nel caso concreto in esame, con il necessario elevato grado di credibilità razionale.

Tale motivazione, fondata unicamente sul rilievo che il citato consulente aveva detto in udienza, a correzione di quanto scritto nella sua relazione, di non poter affermare con certezza se l’ecocardiogramma "sarebbe stato dirimente nella prima fase", era senz’altro insoddisfacente e sommaria (ancorchè le suddette connotazioni fossero "giustificate" dall’avere lo stesso giudice, a monte, escluso la ravvisabilità di una condotta omissiva colposa in capo all’imputato, il che rendeva superfluo l’accertare la sussistenza del nesso eziologico tra una colpa che era stata esclusa e l’evento), essendo mancato quel serio esame controfattuale che, come insegna la citata sentenza delle Sezioni Unite, deve essere effettuato dal giudice ai fini dell’accertamento del rapporto di causalità tra omissione ed evento in tema di reato colposo omissivo improprio, giudizio che comporta un esame esaustivo di tutta l’evidenza disponibile onde accertare se, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di fattori causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non si sarebbe verificato ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Peraltro i secondi giudici, i quali hanno ravvisato la sussistenza di una condotta colposa omissiva rimproverabile all’imputato, non hanno fatto, nel motivare in ordine alla sussistenza, altresì, del nesso eziologico tra la ritenuta omissione e l’evento consistito nella morte di D.G.R., meglio del primo giudice, essendosi limitati alla seguente, testuale, affermazione: "Tale condotta omissiva si pone in stretto rapporto di causalità con l’evento-morte in quanto la permanenza in ambito ospedaliero avrebbe consentito un monitoraggio della situazione intervenuta tempestiva della diagnosi e l’intervento chirurgico, intervento che, eseguito nella prime ore, avrebbe assicurato altissime probabilità di sopravvivenza in quanto, come riferito dal C.T.U., per quel tipo di intervento fatto nelle prime ore vi è una mortalità molto bassa intorno solo al 10%".

La Corte territoriale ha fatto seguire a tale affermazione il richiamo della massima tratta dalla sentenza della Sezione 5^, di questa Corte 1-9-1998, n. 10929, Casaccio, e quello della massima tratta dalla citata sentenza delle Sezioni Unite in ordine alla necessità del giudizio controfattuale in tema di causalità omissiva, senza peraltro tenere presente il fatto che, mentre la prima delle suddette decisioni afferma la necessità di accertare, perchè si possa affermare la sussistenza del nesso eziologico, che l’azione doverosa omessa sarebbe valsa ad impedire l’evento "secondo una valutazione probabilistica", la seconda richiede che all’esito del relativo accertamento si possa affermare che l’evento non si sarebbe verificato (od avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore) non già alla luce di una mera valutazione probabilistica, bensì "con alto grado di credibilità razionale", il che significa con una probabilità prossima al 100%.

Ed, in tema di probabilità, del tutto fuori luogo è il richiamo operato dai secondi giudici, all’affermazione del consulente che l’intervento chirurgico su paziente affetta da dissecazione aortica da, ove eseguito "nelle prime ore", una mortalità molto bassa, intorno al 10%.

Invero, quand’anche tale "mortalità" – percentualmente e soltanto astrattamente stabilita senza riferimento alcuno alle particolarità del caso concreto in esame – fosse correttamente riferibile alla patologia e non, invece, all’intervento, non sarebbe ancora raggiunto quell’elevato grado di probabilità prossima alla certezza, soltanto in presenza del quale si sarebbe potuto fondatamente affermare nel caso di specie che la mancata esecuzione dell’intervento chirurgico de quo, è stata causa del decesso della paziente.

Ma ciò che più rileva è il fatto che i secondi giudici – avendo operato un’erronea lettura di quanto dichiarato al consulente P. nella udienza del 26 maggio 2003 ("… la dissecazione aortica è una patologia che, per quanto oggi aggredibile, offre un margine di mortalità elevatissimo, quindi, è una patologia ad alto rischio, indipendentemente dall’intervento chirurgico, e l’intervento chirurgico fatto in emergenza da un indice di mortalità sotto i ferri del 10%’) – hanno scambiato, sì da essere incorsi nel travisamento della prova dedotto in ricorso, il tasso percentuale di mortalità proprio dell’intervento, cioè il rischio operatorio ex se, con la percentuale di mortalità della malattia, indicata nella relazione del predetto consulente in misura ben superiore (… ovviamente la patologia è caratterizzata da alta mortalità, il 20- 30% nelle prime ore, meno del 50% sono ancora vivi alla fine della prima settimana e soltanto il 10-20% sopravvive entro il primo anno.

Va anche precisato che dette percentuali sono state modificate dalla terapia chirurgica che, peraltro, in fase acuta riveste ancora una mortalità assai elevata)". Appare dunque evidente che il formulato giudizio di altissima possibilità di sopravvivenza ove fossero state eseguiti immediatamente l’accertamento diagnostico e quello chirurgico non è sorretto da una adeguata motivazione e si risolve, nella sostanza, in un’affermazione fondata sul mero dato percentualistico, senza alcun controllo delle particolarità del caso concreto (ed in particolare delle condizioni soggettive della D. G.) e senza che sia stato dato conto, nella sentenza gravata di ricorso, nè di un’avvenuta valutazione di tutta l’evidenza disponibile nè dell’escludibilità di eventuali fattori interagenti nella causazione dell’evento.

In definitiva – una volta ravvisata in capo all’imputato una omissione colposa consistita nella mancata disposizione del ricovero della paziente al fine della esecuzione di quegli accertamenti diagnostici che la sintomatologia in atto imponeva o comunque consigliava di eseguire o far eseguire (dal cui esito sarebbe emersa, si afferma in sentenza, la necessità di un immediato intervento operatorio), ed una volta considerato che i suddetti accertamenti non erano stati dal ******** nè eseguiti nè disposti – sarebbe stato necessario provare, per potersi affermare la responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, che ove la condotta rimproverata come colposamente omessa fosse stata, invece, tenuta dal medesimo, e si fosse pertanto pervenuti con sollecitudine alla diagnosi di dissecazione aortica ed al necessario intervento chirurgico, D.G.R. si sarebbe salvata con alto grado di probabilità razionale, o comunque l’evento letale si sarebbe verificato, a causa della patologia in atto, in epoca significativamente successiva.

Tale dimostrazione non è stata assolutamente fornita nella sentenza impugnata, la quale si caratterizza per una motivazione carente nonchè erronea, non avendo i secondi giudici eseguito quel serio esame controfattuale che – già omesso nella sentenza resa in primo grado, pervenuta a soluzione opposta – è richiesto in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimità divenuta assolutamente costante dopo la pronuncia della citata sentenza delle Sezioni Unite 10-7-2002, n. 30328, ******** (vedasi, ex pluribus, Cass. Sez. 4, 9-2- 2006, n. 12894, ******) ed essendosi la Corte territoriale limitata, in sede di indagine sul nesso eziologico in tema di reato colposo – alla indicazione di un mero dato statistico riferibile, per di più, non già alla possibilità di guarigione dalla malattia ove questa fosse stata tempestivamente diagnosticata e curata, bensì al tasso di mortalità proprio dell’intervento chirurgico da effettuarsi.

Per tutte le ragioni che precedono l’impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo giudizio. Al giudice del rinvio è rimesso il duplice compito di procedere ad un accurato vaglio critico di tutte le risultanze dibattimentali, finalizzato ad affermare la sussistenza o meno nel caso concreto di una culpa in omittendo rimproverabile all’imputato, nonchè, ove motivatamente ritenuta sussistente la colpa suddetta, di effettuare un’altrettanto accurata indagine sulla sussistenza o meno del nesso di condizionamento tra le individuate carenze comportamentali del sanitario e l’evento morte, indagine da sviluppare mediante il cd. "giudizio controfattuale" per stabilire se, dato per fatto quanto l’imputato avrebbe dovuto fare, sia consentito o meno affermare, con il supporto della scienza medica scientifica, che vi sarebbero state probabilità di grado prossimo alla certezza di evitare la morte della paziente od almeno di procrastinarla per un tempo significativo.

Tale esame va compiuto tenendo presente che le leggi statistiche sono soltanto uno degli elementi che il giudice deve valutare, unitamente a tutte le altre emergenze del caso concreto, muovendo dalle leggi scientifiche di copertura, verificando poi se le medesime siano adattabili al caso esaminato e compatibili con le caratteristiche specifiche del medesimo che potrebbero eventualmente minarne, in un senso o nell’altro, il valore di credibilità, e valutando inoltre la eventuale emergenza di fattori alternativi che possano porsi come causa dell’evento (il tutto, ove ritenuto necessario in un contesto di mancato esame autoptico e di espletamento di consulenze di parte, disponendo perizia), sì da accertare, in definitiva, se sia consentito o meno pervenire ad un giudizio di responsabilità che sia supportato da un "alto grado di credibilità razionale" ovvero da quella "probabilità logica" prossima alla certezza che, secondo le Sezioni Unite, devono essere ravvisabili in materia di nesso causale in tema di reati omissivi impropri, dacchè l’insufficienza, la contraddittorietà e/o l’incertezza del riscontro probatorio sul nesso causale e, quindi, il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico, rispetto ad altri fattori interagenti (od anche eccezionalmente sopravvenuti; art. 41 c.p., comma 2) nella produzione dell’evento non possono che comportare una conclusione liberatoria.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Napoli, altra Sezione.

Redazione