Corte di Cassazione Penale sez. IV 17/11/2009 n. 43978; Pres. Campanato G.

Redazione 17/11/09
Scarica PDF Stampa
FATTO E DIRITTO

Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Catanzaro, su istanza presentata da M.A. ai sensi degli artt. 314 e 315 c.p.p., condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere alla stessa la somma di Euro 18.360,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione subita in carcere dal 12 al 30 novembre 1998 (giorni diciotto) e agli arresti domiciliari dal dicembre 1999 sino al 2 febbraio 1999, nonchè dal giorno 4 ottobre al 26 novembre 1999 (per complessivi giorni centodiciassette), nell’ambito di un procedimento dal quale era stato assolto con formula piena.

Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite il difensore, il M. contestando il metodo di quantificazione dell’importo liquidato sul rilievo che erroneamente la Corte territoriale si era limitata ad applicare, ai fini della quantificazione dell’indennizzo, il mero criterio aritmetico senza tener conto della documentazione fornita dall’istante tendente a dimostrare i danni patrimoniali e non derivati al M. (imprenditore titolare di ditta individuale) dalla misura custodiale ingiustamente sofferta.

E’ stata ritualmente depositata memoria difensiva nell’interesse dell’Amministrazione con la quale è stato chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Il ricorso è fondato.

La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha più volte precisato che la riparazione dell’errore giudiziario (artt. 643 c.p.p. e ss.), come quella per l’ingiusta detenzione (art. 314 c.p.p. e ss.), non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente condannato o ingiustamente privato della libertà personale. Trattasi di una specie di indennità o indennizzo che si ricollega alla figura dell’"atto lecito dannoso": l’atto lesivo che ne sta alla base è stato infatti emesso nell’esercizio di un’attività legittima (e doverosa) da parte degli organi dello Stato, anche se, in tempi successivi, ne è stata dimostrata (non l’illegittimità, ma) l’erroneità o l’ingiustizia. Dalla rilevata costruzione giuridica dell’istituto discende che il giudice è normalmente costretto ad utilizzare, prevalentemente se non esclusivamente, criteri equitativi per la liquidazione dell’indennizzo; anche se, peraltro, non è esclusa la possibilità di utilizzare anche i criteri normativi previsti per il risarcimento del danno. In altri termini, il giudice ben può utilizzare, a tal fine, anche i criteri risarcitori per la determinazione dei danni subiti, patrimoniali o non patrimoniali, limitando il criterio equitativo alle voci di danno non esattamente quantificabili; così come può, diversamente, utilizzare un criterio esclusivamente equitativo, con una liquidazione globale di tutte le conseguenze dell’errore giudiziario. In quest’ultimo caso, il giudice deve esplicitare i criteri o parametri utilizzati che rendano la sua decisione logicamente motivata e trasparente, ancorchè fondata esclusivamente sull’equità; qualora invece ritenga di utilizzare i criteri risarcitori, il giudice è comunque tenuto a procedere con il rispetto delle regole civilistiche applicabili al risarcimento del danno, ferma restando la possibilità di applicare criteri equitativi per la liquidazione delle voci di danno che non possano essere provate nel loro preciso ammontare (art. 1226 c.c. e art. 2056 c.c., comma 1, v. in tal senso, sez. 4^, 25 novembre 2003, Ministero dell’Economia e delle Finanze ed altro in proc. Barillà).

La liquidazione dell’indennizzo previsto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione va, pertanto, disancorata da criteri o parametri rigidi.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno altresì chiarito con due sentenze i principi fondamentali cui aver riguardo nella determinazione dell’indennizzo.

La prima (v. Cass., sez. un., 13.1.1995, n. 1, Ministero del Tesoro in proc. **********) ha svincolato la liquidazione dall’esclusivo riferimento a parametri aritmetici o comunque da criteri rigidi, stabilendo che si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà; e ciò sia per effetto dell’applicabilità a tale materia della disposizione di cui all’art. 643 c.p.p., comma 1 (in tema di riparazione dell’errore giudiziario) … sia in considerazione del valore dinamico che l’ordinamento attribuisce alla libertà di ciascuno, dal quale deriva la doverosità di una valutazione equitativamente differenziata caso per caso degli effetti della ingiusta detenzione.

La secondo (v. Cass. Sez. un., 9.5.2001, n. 24287, Ministero del Tesoro in proc. ******) ha chiarito le modalità di calcolo del parametro matematico al quale riferire, in uno con quello equitativo, la liquidazione dell’indennizzo, nel senso che esso è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, ed il termine massimo della custodia cautelare, di cui all’art. 304 c.p.p., espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita; questo parametro deve essere moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita; questo parametro deve essere moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita. La citata sentenza ha altresì precisato che il potere di valutazione equitativo attribuito al giudice per la soluzione del caso concreto non può mai comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito.

Sul punto va precisato che tale parametro non è un criterio di liquidazione del danno da detenzione ingiusta che si aggiunge a quello equitativo ma, uno strumento per rendere meno soggettivistica la liquidazione equitativa, in quanto evidenzia un limite oggettivo che la liquidazione equitativa non può superare per espressa disposizione di legge.

Nel caso in esame, il giudice della riparazione non ha applicato i suindicati principi e, nell’adottare equitativamente il cd. Parametro aritmetico, si è limitato ad indicazioni del tutto generiche, senza alcuna concreta considerazione della situazione dell’istante. In particolare, la Corte di merito non ha fornito risposta a tutte le circostanziate deduzioni difensive, relative ai gravissimi danni dedotti e documentati, derivati dalla ingiusta detenzione al M., incensurato e titolare di una impresa individuale nonchè al danno alla reputazione e, più in generale, alla vita di relazione, in considerazione della posizione sociale dallo stesso ricoperta.

In conclusione, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio ed il giudice di merito nella liquidazione del quantum relativo alla riparazione dell’ingiusta detenzione dovrà attenersi ai criteri sopra indicati. In particolare, nella valutazione equitativa, che ovviamente non può mani comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito, dovrà tener conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà: e ciò, sia per effetto dell’applicabilità in materia della disposizione dell’art. 643 c.p.p., comma 1 – che commisura la riparazione dell’errore giudiziario alla durata della eventuale espiazione della pena ed alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna – sia in considerazione del valore "dinamico" che l’ordinamento costituzionale attribuisce alla libertà di ciascuno, dal quale deriva la doverosità di una valutazione equitativamente differenziata caso per caso degli effetti della ingiusta detenzione. Alla medesima Corte di Appello si rimette altresì il regolamento delle spese di lite tra le parti anche di questo giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro cui rimette anche la determinazione delle spese tra le parti.

Redazione