Corte di Cassazione Penale sez. IV 15/5/2008 n. 19527; Pres. Battisti M.

Redazione 15/05/08
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FATTO E DIRITTO

A.G., medico in servizio presso il pronto soccorso del Policlinico di (omissis), è stato ritenuto responsabile dalla Corte di appello di Perugia – che con la sentenza impugnata ha confermato il giudizio espresso dal giudice di primo grado – del reato di omicidio colposo in danno del giovane paziente V.M. F., deceduto a seguito di tromboembolia polmonare massiva, causata dall’estesa affezione flebotrombotica della piccola safena e delle vene superficiali della gamba sinistra.

Il giudice di appello riteneva fondato l’addebito contestato al medico, in concorso con altro imputato, non ricorrente, e ne riteneva la responsabilità penale, per avere contribuito, a provocare la morte del paziente.

In particolare, a carico del prevenuto era stata formulata l’imputazione individuando essenzialmente le seguenti condotte, caratterizzate da negligenza, imprudenza ed imperizia, costituenti concause del decesso del M.: aver omesso una corretta diagnosi dell’estesa flebotrombosi della gamba sinistra del giovane a seguito di un urto subito al polpaccio sinistro da un’autovettura in retromarcia avvenuto in data (omissis); non avere correttamente valutato, in occasione della successiva visita in data (omissis), il dolore al petto ed alla testa riferiti dal giovane, con elevazione dei valori pressori e di tachicardia, erroneamente collegando il malore ad un episodio lipotimico; aver omesso, durante la visita suddetta, una adeguata anamnesi ed un esame clinico del giovane, trascurando di predisporre le indagini strumentali che avrebbero evidenziato l’ematoma e l’imminente rischio di tromboembolia polmonare.

Tali condotte erano state indicate come causa del decesso del V., avvenuto il giorno seguente.

I giudici di merito hanno confermato l’ipotesi accusatoria.

Ricorre per cassazione l’imputato, articolando quattro motivi.

Con il primo, si prospetta la manifesta illogicità della motivazione laddove il giudicante aveva fondato la responsabilità del sanitario sulla condotta negligente dello stesso che, nel corso della visita del (omissis), non avrebbe raccolto i dati anamnestici che poteva agevolmente ricavare dall’utilizzo del sistema informatico, nè prestato alcuna attenzione a quanto riferitogli spontaneamente dallo stesso paziente in merito ai sintomi percepiti (il dolore alla gamba, allo stomaco ed alla testa), che, se posti in relazione all’investimento del (omissis), avrebbero dovuto indurre il medico a disporre approfondimenti diagnostici. L’omissione in particolare di un esame doppler dell’arto avrebbe evidenziato la patologia tromboflebitica in atto e quindi imposto l’idoneo trattamento profilattico che avrebbe scongiurato la successiva evoluzione della malattia.

Si afferma in proposito che il giudicante avrebbe trascurato di considerare le risultanze acquisite agli atti in ordine al fatto che i dati anamnestici furono raccolti dai precedenti tre colleghi del dr. D., ai quali il paziente nulla avrebbe riferito in ordine alla sintomatologia avvertita, per cui il quadro clinico presentato all’imputato non poneva in luce alcun elemento circa l’esistenza di patologie in atto. Si sostiene altresì la difficoltà obiettiva della diagnosi di tromboembolia polmonare massiva, in assenza di segni e sintomi clinici evidenti, che, nel caso in esame, per ammissione dello stesso perito non sarebbero esistiti.

Inoltre i giudici di merito non avrebbero tenuto conto che i rilievi anamnestici precedenti non potevano emergere dall’utilizzo del computer, sia per la macchinosità del software sia per l’errore di trascrizione del nome di battesimo ( M. e non M.) e che il giovane non aveva riferito in occasione della visita del (omissis) alcun dolore alla gamba ma aveva soltanto posto la domanda se i dolori avvertiti potevano essere posti in correlazione con l’incidente all’arto subito il (omissis).

Con il secondo motivo, strettamente collegato al primo, si afferma l’illogicità della motivazione in merito alla sussistenza della prova che il dr. D. fosse in grado di collegare gli episodi del (omissis), sul rilievo che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto, oltre che delle circostanze sopra evidenziate, del fatto che nell’arco di tempo (omissis), il dr. D. aveva eseguito n. 63 interventi e che, anche a voler ammettere la circostanza indimostrata della consapevolezza da parte del prevenuto del pregresso trauma, non vi sarebbero state le condizioni per sospettare la presenza di una flebotrombosi, essendo insufficiente il solo rilievo anamnestico di un precedente trauma all’arto inferiore, in assenza di segni sintomatici.

Con il terzo motivo, si censura come erronea e gravemente carente la motivazione della sentenza di condanna sotto il profilo della ricostruzione del nesso eziologico, che non sarebbe in linea con l’orientamento del giudice di legittimità in punto di accertamento della responsabilità omissiva del medico.

Si prospetta, in proposito, la mancata considerazione da parte del giudicante del contesto dell’intervento richiesto al D., avendo i giudici tralasciato di considerare che alla data del (omissis) la gamba non si presentava gonfia o dolorante e che allo stesso non venne fatto esplicito riferimento a particolare problemi dell’arto nè del pregresso trauma e che comunque, non emergeva alcun evento oggettivo correlabile con l’affezione in atto. Si sostiene, inoltre, che mancherebbe la prova in atti che se il sanitario avesse riscontrato l’affezione flebotrombotica all’arto e disposto un trattamento terapeutico, l’evento mortale non si sarebbe verificato, come evidenziato dalla consulenza del PM. In proposito si evidenzia che la Corte di merito non aveva preso in considerazione quanto emergente da tale ultima relazione circa la mancata esistenza di dati bibliografici certi sulla effettiva riduzione del rischio di embolia polmonare massiva e conseguentemente sulla reale efficacia della terapia eparinica nel ridurre il rischio di morte dovuta al distacco del trombo e si era invece richiamata alle argomentazioni svolte dal consulente del GIP. Con il quarto motivo, si duole della illogicità della motivazione con riferimento alla concessione della provvisionale provvisoriamente esecutiva alla parte civile senza adeguata motivazione, che non avrebbe neanche tenuto conto dell’eventuale concorso di colpa del conducente dell’autovettura investitrice.

I motivi sono manifestamente infondati, a fronte di una sentenza di condanna che si caratterizza per una motivazione assolutamente satisfattiva dal punto di vista della logica per poter affermare la responsabilità dell’imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio".

Non possono trovare accoglimento, infatti, le doglianze, contenute nei primi due motivi, che prospettano, con argomenti diversi, il difetto di motivazione sull’affermato giudizio di responsabilità.

Anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., di recente, Cassazione, Sezione 4^; 7 giugno 2007, ********; Sezione 1^, 10 luglio 2007, ****** ed altri).

Or bene, ci si trova in presenza di una motivazione che tratteggia in modo convincente il compendio probatorio a carico attraverso una disamina degli elementi individualizzanti a carico che non si presenta manifesta illogica, risultando analizzati in modo soddisfacente il contenuto delle prove testimoniali (le dichiarazioni rese dai genitori del ragazzo, secondo i quali quel giorno (omissis), quando il figlio si presentò in Ospedale con evidenti sintomi di malessere, il dr. A. non si alzò neanche dalla scrivania ove si trovava impegnato con il computer, per sottoporlo a visita) e le conclusioni del consulente tecnico di ufficio (secondo il quale se il sanitario avesse effettuato una corretta diagnosi, l’evento mortale non si sarebbe verificato).

L’inaccoglibilità delle doglianze proposte discende dal rilievo evidente che attraverso di esse, dietro l’apparente schermo dell’asserito vizio di motivazione, il ricorrente ripropone questioni sostanzialmente di fatto (la raccolta dei dati anamnestici da parte di altri colleghi, l’insussistenza di una sintomatologia tromboemolitica evidente, la difficoltà della diagnosi, l’impossibilità oggettiva di ricavare i dati afferenti il giovane dal sistema informatico, la stanchezza del sanitario, determinata dal carico di lavoro espletato), tutte tese a dimostrare che i giudici di merito, nel valutare il quadro probatorio, non avrebbero tenuto conto delle sopradescritte circostanze fattuali, alla luce delle quali avrebbero dovuto escludere la responsabilità del ricorrente.

La motivazione da, invece, compiutamente conto delle ragioni dell’affermazione di sussistenza della culpa in omettendo contestata al dr. A., il quale, nonostante la descrizione della sintomatologia e l’esplicita richiesta della madre del giovane rivolta ad accertare se lo svenimento fosse da porre in rapporto con l’incidente alla gamba, omise qualsiasi approfondimento diagnostico, limitandosi a dimettere il paziente.

In proposito, va riaffermato il principio che il medico ha l’obbligo di assumere (dal paziente o, se ciò non è possibile, da altre fonti informative affidabili) tutte le informazioni necessarie al fine di garantire la correttezza del trattamento medico chirurgico praticato al paziente (v. da ultimo, Sezione 4^, 14 novembre 2007, *****).

Obbligo che diviene ancor più pregnante nel caso di una sintomatologia come quella manifestata nella fattispecie concreta dal giovane, a seguito di un evento traumatico alla gamba, dal quale era ragionevole prevedere quale conseguenza la possibile esistenza di problemi circolatori.

Anche la doglianza proposta con il terzo motivo afferente la ritenuta esistenza del rapporto di causalità, è manifestamente infondata.

La sentenza impugnata, diversamente da quanto prospettato dalla difesa, ha, infatti, fornito adeguata motivazione anche sulla efficienza causale della condotta colposa, ricollegandola all’evento in termini di "alto grado" di credibilità razionale", nel quale si sostanzia la certezza processuale, come affermato dalle sezioni unite, nella nota sentenza delle Sezioni unite, 10 luglio 2002, ********.

I giudici di merito hanno infatti ritenuto che la superficialità comportamentale del dr. A. costituisse condicio sine qua non del verificarsi dell’evento, che con una corretta e tempestiva diagnosi non si sarebbe verificato.

Sul punto deve essere puntualizzato che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il giudizio sul nesso di causalità è stato correttamente argomentato attraverso il richiamo alla sentenza di primo grado ed alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, la cui attendibilità non è stata posta validamente in discussione.

In particolare, come ha osservato il giudice di secondo grado, la responsabilità del dr. A. risiede non tanto nel non avere intuito la patologia durante la visita, nella quale aveva per negligenza omesso di visitare l’arto dolorante del giovane, ma nel non aver posto in essere gli accertamenti necessari, semplici e non invasivi (in particolare, il doppler), per poter diagnosticare la flebotrombosi che aveva colpito l’arto.

I giudici di merito hanno altresì compiuto il necessario giudizio controfattuale, ed hanno rilevato che un diverso comportamento alternativo lecito del sanitario, attuato attraverso gli accertamenti strumentali mirati sopra indicati ed una immediata terapia eparinica tesa a prevenire la formazione dei trombi, avrebbe evitato l’embolia polmonare massiva del giorno successivo, causa della morte del M., con elevata credibilità razionale.

In questa prospettiva, la sentenza gravata risulta sostanzialmente rispondente alle linee interpretative enunciate dalla sentenza ******** in tema di ricostruzione del rapporto di causalità tra la condotta omissiva e l’evento ed i rilievi del ricorrente si palesano privi di fondamento.

Inammissibile è anche il quarto motivo, relativo alla provvisionale.

Vale in proposito la considerazione che la condanna al pagamento di una provvisionale costituisce un provvedimento di natura parziale e provvisoria, che anticipa in sede penale la valutazione definitiva della sussistenza del danno e non fa stato per sua natura nel processo civile di liquidazione, onde non è impugnabile per cassazione, in quanto la sua efficacia è destinata a cessare con la pronuncia della sentenza definitiva che, decidendo il ricorso per cassazione anche con riferimento alle statuizioni sul risarcimento del danno, chiude definitivamente il processo (cfr. ex pluribus, Cass., Sez. 4^, 14 gennaio 2005, MEIE Aurore ed altro in proc. *****).

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (v. sentenza Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna della medesima al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese di questo grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore della costituita parte civile.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio, liquidate in complessive Euro 2.500,00, oltre spese generali, IVA e CPA.

Redazione