Corte di Cassazione Penale sez. IV 10/6/2009 n. 23889; Pres. Brusco C.G.

Redazione 10/06/09
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FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso depositato in data 23 luglio 2005 l’avv. S.A. proponeva opposizione avverso il decreto emesso dalla Corte d’Assise di Messina in data 23 giugno 2005, con il quale veniva liquidata a suo favore la somma complessiva di Euro 28.362,00, oltre IVA e CPA, per l’attività professionale svolta dal 7 novembre 2002 al 15 febbraio 2005 quale difensore d’ufficio di R.F.G. (ammesso al patrocinio a spese dello Stato con decorrenza dal 30 settembre 1998).

2. Con ordinanza del 9 novembre 2005 il "giudice designato alla trattazione monocratica del procedimento" dichiarava de plano "irricevibile" l’opposizione in questione perchè rivolta al Presidente della Prima Sezione del Tribunale di Messina piuttosto che al Presidente della Corte d’Assise.

La Corte di Cassazione, con sentenza depositata il 4 gennaio 2008, su ricorso del S. annullava senza rinvio il provvedimento impugnato, con trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale di Messina per l’ulteriore corso.

3. Investito del merito dell’opposizione, osservava il tribunale che, con il primo motivo di gravame, l’opponente si doleva del "mancato riconoscimento dei valori medi degli onorari di cui alla tariffa penale (Tabella C) allegata al D.M. n. 12127 del 2004", contestando le argomentazioni addotte dalla Corte d’Assise a sostegno della ritenuta congruità – nel caso di specie – di una liquidazione dei compensi professionali effettuata sulla base dei valori minimi della predetta tabella. Riteneva il Tribunale che tale doglianza non era fondata. Invero, come statuito dalla giurisprudenza di legittimità,"in tema di gratuito patrocinio, la disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, che impone di liquidare l’onorario e le spese al difensore in modo che l’importo non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, va interpretato nel senso che la media dei valori tariffari funge da limite massimo invalicabile e non nel senso che la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo la media delle tariffe, potendo invece il compenso essere liquidato anche in misura inferiore alla media, purchè non al di sotto delle tariffe minime" (Cass. n. 40326/07).

Inoltre, la determinazione degli onorari di avvocato costituiva esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito; essa, purchè contenuta tra il minimo e il massimo della tariffa, non richiedeva specifica motivazione e non poteva formare oggetto di sindacato se non quando sia il medesimo interessato a specificare le singole voci della tariffa che si assumono violate (Cass. nn. 11994/1998; 3381/1995; 10550/1993).

Ne desumeva il Tribunale che il provvedimento di liquidazione, alla luce dei principi ricordati, risultava esaurientemente e correttamente motivato.

4. Osservava ancora il tribunale che con ulteriori motivi il ricorrente aveva lamentato il "mancato riconoscimento della voce esame e studio" rispettivamente:

– "prima della partecipazione alle nr. 9 udienze di mero rinvio";

– "prima della partecipazione alle nr. 27 udienze in cui è stata svolta attività di lettura delle deposizioni testimoniali già acquisite al fascicolo del dibattimento";

Osservava il Tribunale che tali censure erano prive di fondamento. Infatti, quanto alle udienze di mero rinvio, bastava considerare che risultava all’evidenza inutile l’espletamento di qualsivoglia attività di studio propedeutica ad esse; pertanto l’onorario relativo alla voce esame e studio andava attribuito solo con riferimento alla partecipazione alla udienza successiva caratterizzata dall’effettivo dispiegarsi di attività dibattimentale.

Inoltre, un ragionamento di analogo tenore valeva per quanto atteneva le udienze in cui è stata svolta unicamente attività di lettura degli atti con sistema vocale informatico in conseguenza della necessità di rinnovare il dibattimento per diversa composizione della Corte, essendo evidente che la mera rinnovazione di una attività dibattimentale già in precedenza espletata – priva in quanto tale di elementi di novità – non postulava per definizione alcuna ulteriore e specifica attività di studio propedeutica.

Sulla base di tali valutazioni, il Tribunale rigettava l’opposizione.

5. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il S., lamentando l’illegittimità dell’ordinanza nella parte in cui era stato negato il compenso per la voce "esame e studio" (pari ad Euro 2.160=) prima della partecipazione a 9 udienze di mero rinvio e 27 udienze in cui si era proceduto alla lettura delle deposizioni testimoniali, precedentemente acquisite al fascicolo processuale. Invero tale attività andava svolta in ogni caso, anche in prospettiva di udienze poi rivelatesi di mero rinvio o destinate a lettura.

6. Il ricorso è infondato.

Invero il compenso per "esame e studio", prima della partecipazione all’udienza, è finalizzato a compensare lo sforzo intellettuale che il difensore deve svolgere per organizzare la sua linea difensiva in relazione alla dinamica del dibattimento che si va ad affrontare.

Orbene, nel caso in cui nell’udienza non si svolga alcuna attività processuale (mero rinvio), ovvero si proceda ad una mera lettura di atti già assunti in precedenza e già programmata, il difensore, in prospettiva di tali udienze nessuno sforzo di preparazione deve svolgere, valendo quello già fatto (e remunerato) per la prima udienza antecedente la mero rinvio o alla lettura.

Per cui correttamente il giudice del merito ha negato il compenso dell’"esame e studio" per tali udienze.

Ne consegue che non essendosi maturata alcuna violazione di legge, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione