Corte di Cassazione Penale sez. III 27/8/2008 n. 34266; Pres. Vitalone C.

Redazione 27/08/08
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RILEVATO IN FATTO

Con sentenza del 16 novembre del 2007, la corte d’appello di Salerno confermava quella pronunciata l’11 novembre del 2005 dal tribunale della medesima città, con cui S.V. era stato condannato alla pena di mesi quattro e gg 15 di reclusione ed Euro 1.800,00, di multa, quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche, dei reati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) e d), e successive modificazioni, per avere detenuto per la vendita 100 videocassette e 428 musicassette contraffatte e privi del contrassegno della SIAE Fatto commesso in (omissis).

La corte salernitana, riteneva configuratale il reato perchè l’imputato era stato colto sulla pubblica via mentre offriva in vendita i supporti. Osservava che l’illecita duplicazione si desumeva dalle locandine e dalla mancanza del contrassegno della SIAE; che non poteva essere concessa l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, per il rilevante numero di supporti Ricorre per cassazione l’imputato deducendo: l’erronea applicazione della norma incriminatrice nonchè mancanza di motivazione sul punto, per avere la corte presuntivamente ritenuto la contraffazione nonchè una condotta finalizzata alla vendita sulla base di mere presunzioni, senza prendere in esame i motivi dell’impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Preliminarmente questo collegio ritiene di dovere esaminare ex officio a norma dell’art. 609 c.p.p., comma 2, la questione relativa all’incidenza nella fattispecie in esame della sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea dell’8 novembre del 2007, Schwibbert resa a norma dell’art. 234 del trattato CEE – La sentenza ha per oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Forlì nel procedimento penale a carico di un imputato, cittadino comunitario, che doveva rispondere del reato previsto dal L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), – prima della modifica introdotta con la L. n. 248 del 2000 – per avere commercializzato CD (riproducenti opere di pittori) privi del contrassegno Siae. La questione concerneva la compatibilità della normativa nazionale su tale marchio con la direttiva europea 28 marzo 1983, 83/189/CEE, la quale aveva istituito nel diritto comunitario una procedura di informazione nel settore delle norme e delle regole tecniche. L’anzidetta direttiva è stata ripresa ed ampliata con le direttive 98/34 CE e 98/ 48 CE, anch’esse richiamate nella decisione della Corte di Giustizia in esame, recepite e rese esecutive in Italia con il D.Lgs. 23 novembre del 2000, n. 427, recante " Modifiche ed integrazioni alla L. 21 giugno 1986, n. 317…".

La legge richiamata era quella che aveva recepito ed attuato la direttiva 83/139 CEE. Trattandosi di direttive attuate e recepite con atto avente forza di legge nell’ordinamento dello Stato non sussistono dubbi sulla loro diretta applicabilità.

La procedura d’informazione è rivolta a consentire alla Commissione di verificare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo ammissibile solo se necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale.

Per quanto concerne l’Italia, la corte di Giustizia si era già occupata dell’omessa comunicazione di una regola tecnica con riferimento al L. 23 marzo del 2001, n. 93, art. 19, la quale vietava la vendita di bastoncini per la pulizia delle orecchie non fabbricati con materiale biodegradabile e puniva il divieto con sanzione amministrativa. In quella circostanza la Corte di Giustizia aveva statuito che è compito del giudice nazionale disapplicare una disposizione del diritto interno che costituisce una regola tecnica una volta accertato che essa non è stata notificata alla Commissione prima della sua adozione (cfr Corte di Giustizia sez. 5^ 8 settembre del 2005 Lidi Italia s.r.l.) e ciò perchè l’inadempimento dell’obbligo di comunicazione costituisce un vizio procedurale sostanziale idoneo a comportare l’inapplicabilità delle regole tecniche ivi considerate. La non applicazione opera anche se la regola tecnica sia contenuta in un atto avente forza di legge ed anche se la sua violazione sia punita come illecito penale. Invero, la qualificazione della violazione della procedura d’informazione come vizio procedurale sostanziale incide inevitabilmente sulla procedura costituzionale di approvazione delle leggi nazionali, nel senso che, ove le medesime contengano una regola tecnica,per potere essere efficaci non devono soltanto essere adottate in conformità delle norme costituzionali sulla produzione normativa, ma devono altresì seguire la procedura eventualmente imposta dalla Cominità Europea con Regolamento o direttiva recepita.

La Corte di Giustizia nella decisione dianzi richiamata ha incluso la normativa che stabilisce l’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE nel novero delle regole tecniche per le quali è quindi prevista la procedura d’informazione.

La Corte ha precisato che l’individuazione del momento in cui l’obbligo di apposizione è stato introdotto nella normativa italiana appartiene alla competenza del giudice nazionale. Di conseguenza, spetta a questa Corte dare risposta ai quesiti sopra prospettati sui rapporti cronologici tra normativa statale e direttiva CEE e sull’effettuazione della notifica della regola tecnica alla Commissione delle Comunità europee.

Ora la prima disposizione del diritto italiano che ha introdotto il contrassegno SIAE risale al regolamento per l’esecuzione della legge sul diritto di autore (R.D. 1369/1941) e, riferita alle sole opere a stampa, aveva lo scopo di controllare gli esemplari venduti.

Successivamente la funzione del contrassegno assume natura pubblicistica e diventa strumentale alla verifica della originalità del prodotto. La mancanza del bollino SIAE, nei casi in cui l’apposizione è prevista, viene sanzionata penalmente.

La prima disposizione che ha introdotto come ipotesi di reato la vendita ed il noleggio di videocassette riproducenti opere cinematografiche non contrassegnate dalla società italiana degli autori ed editori è costituita dalla L. n. 121 del 1987. Indi, il D.Lgs. n. 518 del 1992, (modificato dalla L. n. 248 del 2000) ha inserito, nel corpo della L. n. 633 del 1941, l’art. 171 bis che, nella sua attuale formulazione, punisce chi abusivamente duplica programmi per elaboratori o li commercializza o li riproduce in supporti privi del contrassegno SIAE. Inoltre, la L. n. 248 del 2000, (modificatrice della L. n. 685 del 1994) ha esteso la previsione della L. n. 121 del 1987, a chi vende, noleggia videocassette, musicassette od altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze d’immagini in movimento non timbrate dalla SIAE. Infine con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 luglio 2001, n. 238 è stato introdotto il Regolamento di esecuzione delle disposizioni relative al contrassegno della ******à italiana degli autori e degli editori (Siae), di cui all’art. 181 bis della L. n. 633 del 1941, con cui si disciplinano, tra l’altro, le caratteristiche del timbro da apporre sui supporti.

Così sintetizzata la disciplina in materia, si rileva che l’obbligo di apposizione del contrassegno riguardava nel regolamento del 1942 solo i libri e che le modifiche legislative introdotte in epoca successiva non possono considerarsi semplici adeguamenti necessari per i progressi tecnologici. Per i supporti non cartacei, l’obbligo di apposizione è posteriore alla istituzione, in virtù della direttiva 83/189, della procedura di informazione : in ogni caso, un dovere di nuova notifica conseguiva, a norma dell’art. 8 della direttiva 98/34, alla modifica apportata al progetto di regola tecnica ed alla inclusione di inediti supporti nello ambito dell’obbligo originario di apposizione del contrassegno.

Inoltre risulta, dalle stesse difese della SIAE nella causa avanti la Corte di Giustizia, che nessuna notifica è stata effettuata ai sensi della direttiva 83/189 e successive modificazioni.

Pertanto, si deve rilevare che – per i supporti non cartaceisi sono verificate le due condizioni che, secondo i Giudici di Lussemburgo, rendono inopponibile ai privati l’obbligo del contrassegno SIAE. Questo Collegio deve attenersi alla conclusione vincolante resa dalla Corte di Giustizia che ha il ruolo di qualificato interprete del diritto comunitario di cui definisce autoritariamente il significato con la conseguenza che una sentenza interpretativa di una norma si incorpora nella stessa e ne integra il precetto con immediata efficacia (v. per tutte sentenze Corte Cost 13/1985, 389/1989, 168/1991; Cass. sez. 3^ 1,7,1999 n. 9983, *********).

Ai sensi dell’art. 164 del Trattato CE l’interpretazione del diritto comunitario della Corte di Giustizia ha efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrative) degli Stati membri anche ultra partes.

Come già accennato il principio di non applicazione opera anche nel caso in cui la regola tecnica sia contenuta in una norma penale. Il principio di prevalenza e la diretta efficacia del diritto comunitario comportano come ineludibile conseguenza che i precetti penali, per i quali vige il principio di riserva di legge statale, siano influenzabili, pur indirettamente, dalla normativa sovranazionale con funzione mitigatrice nel senso che questa non può creare nuove ipotesi di reato o aggravare la responsabilità di un soggetto, ma può restringere l’ambito del penalmente rilevante e introdurre nuove cause di giustificazione; ad esempio, non può essere addebitabile ad un agente un comportamento conforme alle prescrizioni comunitarie o negato un diritto di libertà sancito dai trattati.

– In esito alla decisione della Corte della CE, il giudice nazionale deve disapplicare – fino al momento in cui sarà perfezionata la procedura di notifica – la regola interna che impone l’obbligo di apporre sui supporti il marchio SIAE in vista della loro commercializzazione.

In tale modo, viene vanificata la rilevanza penale di tutte le fattispecie di reato che includono come elemento costitutivo della condotta tipica il contrassegno SIAE con inevitabile influenza anche sulle disposizioni che regolano la misura patrimoniale della confisca.

Ritiene il Collegio che le conclusioni della Corte di Giustizia incidano su tutte le disposizioni normative che, successivamente alla entrata in vigore della direttiva 83/98 CEE, hanno introdotto la necessità del contrassegno SIAE per le varie tipologie di supporti.

Sul punto si deve osservare come la decisione in esame sia limitata all’oggetto della causa principale (detenzione di CD contenenti opere di arti figurative da parte di un cittadino comunitario), ma il Collegio ritiene che le conclusioni debbano applicarsi a tutte le ipotesi di disposizioni normative che hanno introdotto la necessità del timbro SIAE ai nuovi tipi di supporto.

Anche in questi casi è riscontrabile un vizio di adozione delle norme tecniche, per la mancanza della procedura di informazione, e sono d’attualità le argomentazioni della Corte di Giustizia. Esse debbono coerentemente estendersi a tutte le norme della legge sul diritto di autore che sanzionano penalmente la carenza del contrassegno SIAE sui supporti non cartacei.

Va chiarito però che la decisione della Corte di Giustizia riguarda esclusivamente le disposizioni della L. n. 633 del 1941, come successivamente modificata, che contemplano l’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE. La sentenza non incide dunque sulla tutela del diritto d’autore in quanto tale ed, in particolare, sui diritti riconosciuti a difesa della personalità dell’autore o su quelli relativi alla utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno, in altre parole non incide sulla pirateria cosiddetta sostanziale ma solo su quella formale elusiva dell’obbligo del contrassegno. Era ed è vietata, infatti, anche dopo la sentenza, qualsiasi attività che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o contraffazione delle opere dell’ingegno. Nè potrebbe essere altrimenti posto che la funzione istituzionale della SIAE rimane comunque circoscritta alla sola attività d’intermediazione per la gestione dei diritti d’autore.

Occorre ora stabilire in concreto entro quali limiti la sentenza della Corte di Giustizia possa influire sulle ipotesi di reato previste dalla legge sul diritto di autore ; le fattispecie della L. n. 633 del 1941, che puniscono la immissione sul mercato di supporti privi del necessario contrassegno SIAE sono all’art. 171 bis, comma 1 e comma 2, l’art. 171 ter, comma 1, lett. d (lett. c prima della novazione introdotta con la L. n. 248 del 2000). Nel caso in cui la condotta contestata riguardi esclusivamente l’apposizione del contrassegno SIAE, la disapplicazione della norma nazionale, incompatibile con quella comunitaria, comporta davanti alla Corte Suprema l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata. Si tratta ora di individuare tra le diverse formule di proscioglimento di cui all’art. 530 c.p.p., quella più aderente al caso concreto.

Quelle più conformi alla fattispecie disapplicativa sono costituite dall’assoluzione per l’insussistenza del fatto o dall’assoluzione perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato. Questa sezione in una fattispecie analoga, riguardante però altra materia, nella sentenza n 9983 del 1999, *********, già citata ha utilizzato la formula "perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato", senza però enunciare la ragione. Sotto la locuzione anzidetta, che non era contenuta nell’art. 479 del previgente codice di rito, vanno sussunte le ipotesi in cui il fatto non corrisponde ad una fattispecie incriminatrice. L’irrilevanza penale del fatto può dipendere o da una sua mancata previsione normativa o da una successiva abrogazione della norma o dalla dichiarazione di incostituzionalità della previsione normativa. L’anzidetta formula non esclude la possibilità che il fatto penalmente irrilevante possa assumere rilievo in sede civile. La formula assolutoria perchè il fatto non sussiste viene adottata, invece, quando manca un elemento costitutivo del reato. Tale formula escludendo il fatto rileva anche in sede diversa da quella penale. La formula anzidetta è più liberatoria perchè esclude non solo l’illiceità penale ma la stessa rilevanza extrapenale del fatto. La disapplicazione per la mancata comunicazione di una regola tecnica non comporta l’abrogazione della norma, ma solo la sua inefficacia che peraltro non è definitiva ma perdura fino a quanto permane l’inadempienza. Questo collegio in altre decisioni adottate nell’udienza pubblica del 12 febbraio e dell’11 marzo del 2008 ha ritenuto corretta la formula perchè il fatto non sussiste perchè la disapplicazione, incidendo sull’efficacia della norma, produce i suoi effetti in tutti i settori dell’ordinamento e quindi esclude qualsiasi rilevanza anche extrapenale al fatto mentre la formula "perchè il fatto non è preveduto dalla legge come reato" non pregiudica l’eventuale rilevanza extrapenale del fatto e, quindi, non è perfettamente aderente alla fattispecie disapplicativa che esclude qualsiasi rilevanza al fatto. Inoltre, in presenza di più formule assolutorie astrattamente compatibili con la fattispecie concreta, per il principio del favor innocentiae si deve preferire quella più liberatoria (Cass. 17 giugno 1992, *****). Tale principio ribadito da questa sezione all’udienza dell’11 marzo del 2008 nel ricorso **** è stato recentemente riaffermato dalle Sezioni unite di questa corte nella sentenza n. 2451 del 2008 (presidente ****, relatore ******** ricorrente M.) nella quale in relazione al reato d’inosservanza del provvedimento di espulsione adottato del questore nei confronti dello straniero divenuto successivamente cittadino comunitario si è ribadito che, nel concorso tra diverse cause di proscioglimento, poichè l’indicazione che si trae dalla sequenza delle formule contenute nell’art. 129 c.p.p., è quella di un ordine inspirato ad un’ampiezza di effetti liberatori per l’imputato progressivamente più ridotta, la formula perchè il fatto non sussiste prevale su quella perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Tuttavia, più recentemente nell’ambito di questa sezione si è imposta la formula assolutoria perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato perchè ritenuta più aderente al diritto comunitario. Questo collegio ritiene di recepire tale ultimo orientamento che sembra essere prevalente nell’ambito della sezione.

Pertanto la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al delitto di cui dell’art. 171, lett. d), perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, con la conseguente eliminazione della relativa pena di giorni quindici di reclusione ed Euro 200,00, di multa.

Nel resto il ricorso va respinto.

Fatta questa premessa,nel merito si osserva che la corte d’appello ha infatti ritenuto che il fatto contestato all’imputato configurasse il reato di cui all’art. 171 ter, lett. b) – rectius lett. C) – della L. 22 aprile 1941, n. 633, come introdotto dal D.Lgs. 15 marzo 1994, n. 204, art. 17, e quindi modificato con il D.Lgs. 15 marzo 1996, n. 204, art. 1, e dalla L. del 18 agosto 2000, n. 248, ed ha altresì considerato che per la configurabilità del reato era sufficiente la sola detenzione al fine di vendita non essendo necessaria la prova di un’effettiva vendita, in quanto con la modificazione apportata con la L. n. 248 del 2000, era stata comunque sanzionata anche la semplice detenzione finalizzata alla vendita. D’altra parte, nel caso di videocassette e più in generale di opere cinematografiche o audiovisive e supporti omologhi abusivamente riprodotti, era punita, tra l’altro, sia la messa in commercio, sia la concessione in noleggio o comunque in uso, sia infine la detenzione per gli usi anzidetti, mentre solo nel caso di musicassette o altri analoghi supporti, aventi un contenuto musicale e non cinematografico, era punita soltanto la vendita e il noleggio, e non anche la detenzione per la vendita o per il noleggio (v. Sez. 3^, 11 dicembre 2003, n. 5875, Romano, m. 227.841; Sez. 3^, 17 novembre 2004, *****; Sez. 3^, 16 dicembre 2004, Sciarrappa).

Nella fattispecie i giudici di merito hanno accertato che i supporti erano destinati alla vendita, circostanza legittimamente desunta dal fatto che erano stati offerti in vendita sulla pubblica via.

La duplicazione è stata desunta, oltre che dalle stesse modalità della messa in commercio e dalla mancanza del bollino della SIAE, anche dalle locandine che riproducevano quelle originali ma tali non erano, come accertato dagli agenti. Dalla presenza delle copertine si desumeva altresì che non trattavasi di CD vuoti.

A proposito della valenza indiziaria del contrassegno si deve puntualizzare che nella prassi sovente si fa riferimento alla sua mancanza, non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla duplicazione, ma solo per evidenziale che essa costituisce la riprova dell’illecita duplicazione. In questi casi non si pone alcun problema di disapplicazione della norma statale in contrasto con il diritto comunitario perchè il fatto contestato non riguarda la mera carenza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista e quindi la violazione di una norma contenente una regola tecnica, ma la violazione sostanziale del diritto di autore ossia l’illecita duplicazione o detenzione di supporti illecitamente duplicati. L’inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria della illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere sempre la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta.

Invero, la mancanza del contrassegno non dimostra sempre e comunque l’illecita provenienza del prodotto e ciò perchè il contrassegno, come risulta dall’art. 181 bis, comma 3, della legge sul diritto di autore, può non essere apposto su determinate opere indicate dalla legge o dallo stesso regolamento. Se però trattasi di opera sulla quale l’apposizione è obbligatoria, la mancanza assume valenza indiziaria in ordine all’illecita provenienza del supporto, ma non può da sola giustificare l’affermazione di responsabilità per l’illegittimità del contenuto perchè la presenza del contrassegno non dimostra in maniera univoca il rispetto della normativa sul diritto d’autore e viceversa la sua mancanza non evidenzia con altrettanta univocità la violazione delle norme sul diritto d’autore Possono esservi infatti prodotti muniti del contrassegno che tuttavia violano il diritto d’autore (si pensi ai prodotti plagiati o commercializzati in numero superiore a quello consentito), viceversa vi possono essere prodotti privi del contrassegno ma non riprodotti o smerciati abusivamente dal titolare del diritto. Invero il contrassegno viene rilasciato secondo le modalità stabilite nel regolamento approvato con il D.P.C.M. n. 338 del 2001 in assenza di un esame approfondito circa la titolarità dei diritti da parte di chi ne ha fatto richiesta. Tuttavia il contrassegno, pur potendo in ipotesi essere rilasciato a chi non ne ha diritto, nella stragrande maggioranza dei casi serve proprio a distinguere il prodotto originale da quello contraffatto e costituisce pertanto uno strumento spesso utilizzato dalla Polizia e dalla stessa Magistratura per distinguere il prodotto lecito da quello illecito. Per tale ragione continua a costituire indizio della contraffazione pur dopo la sentenza della corte di Giustizia Europea alla quale prima si è fatto riferimento. L’affermazione contenuta nella sentenza del 6 marzo del 2008, Bouijlaib, secondo la quale a seguito della sentenza Schwibbert la mancanza del contrassegno avrebbe perduto anche qualsiasi valore indiziario proprio perchè non esiste per il privato l’obbligo della sua apposizione, non è condivisibile. Invero l’obbligo di apporre sulle copie delle opere dell’ingegno un contrassegno identificativo, che nello Stato italiano è rilasciato dalla SIAE, che è preposta alla tutela di diritti d’autore, non è previsto da tutti i Paesi della Comunità europea e anche per tale ragione si è ritenuto che la sua imposizione costituisca una specificazione tecnica. La sentenza della Corte di giustizia CE prima citata ha stabilito infatti che la norma contenente l’obbligo dell’apposizione del contrassegno si risolve nell’esplicitazione di una regola tecnica contenente un condizione per la libera commercializzazione del prodotto, ancorchè legittimo, nell’ambito comunitario. Il contrassegno però, per la legislazione italiana, non ha solo lo scopo di condizionare la libera circolazione del prodotto originale ,ma anche quello di favorire una rapida identificazione dei prodotti abusivi,assicurando così una tutela più incisiva e pronta alle violazioni del diritto d’autore. Ha quindi uno scopo più generale che è quello di garantire il consumatore sull’originalità del prodotto e soprattutto di facilitare la repressione di reati in materia di violazione dei diritti d’autore e tale scopo non contrasta con il diritto comunitario perchè non ostacola la circolazione dei beni, quando non è illecita. Di conseguenza la decisione Schwibbert impone la disapplicazione della norma contenente l’obbligo del contrassegno allorchè tale elemento lo si utilizza al solo scopo di discriminare la libera circolazione del prodotto,come è avvenuto nel caso sottoposto all’esame della Corte di Giustizia, ma non quando lo si valuti come indizio per sostenere, in concorso con altri elementi, la illegittima duplicazione. Per anni, come già accennato, la Polizia e la stessa Magistratura hanno utilizzato la mancanza del contrassegno come indizio per distinguere il prodotto genuino da quello contraffatto (cfr Cass. Sez. 3^ n. 1746 del 1999 in cui si è sottolineato che l’assenza del contrassegno è un indice univoco dell’illecita riproduzione). La diversa opinione comporterebbe la disapplicazione non solo delle norme incentrate sull’obbligo dell’apposizione del contrassegno, ma anche di altre norme penali riguardanti la violazione sostanziale del diritto d’autore che non sono state in alcuno modo incise dalla pronuncia della Corte di Giustizia. La procedura d’informazione prevista dalla direttiva posta a base della decisione Schibbert è rivolta a consentire alla Commissione di verificare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo peraltro ammissibile quando è necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale.

Quindi le norme che contengono riferimenti al contrassegno SIAE devono essere disapplicate dal giudice italiano solo allorchè la sua apposizione venga considerata condizione indispensabile per la libera commercializzazione del prodotto perchè solo in tale caso la normativa statale si pone in contrasto con il diritto comunitario e non pure quando il contrassegno venga considerato indizio d’illecita duplicazione perchè tale valore indiziario, essendo diretto a soddisfare più agevolmente la repressione di determinati reati;

essendo cioè diretto a soddisfare interessi più generali e diversi da quelli attinenti alla libera circolazione dei beni nell’ambito comunitario non si pone in contrasto con la direttiva richiamata nella sentenza della Corte di Giustizia CE prima indicata. La stessa Corte di Giustizia CE, con la sentenza del 6 novembre del 2003, ********, ha stabilito che le restrizioni imposte al diritto comunitario con la normativa penale nazionale sono giustificate allorchè siano dettate da motivi imperativi di interesse generale, siano idonee e necessarie al perseguimento di tale scopo e siano applicate in modo non discriminatorio. Ha Precisato che tra tali motivi non possono rientrare quelli fiscali (in quella fattispecie si discuteva della norma statale sul gioco e le scommesse), ma possono costituire valido motivo di interesse generale la tutela del consumatore e la prevenzione della frode. Il contrassegno SIAE serve, come prima precisato, anche a tutelare il consumatore perchè distingue il prodotto originale da quello contraffatto e serve a prevenire le frodi,finalità queste che non sono in contrasto con il diritto comunitario.

La decisione impugnata risulta quindi adeguatamente motivata con riferimento a tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 171, lett. c).

P.Q.M.

La Corte:

Letto l’art. 620 c.p.p.. annulla senza rinvio l’impugnata sentenza limitatamente al reato di cui all’art. 171, lett. d), perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato ed elimina la relativa pena di gg. 15 di reclusione ed Euro 200,00, di multa. Rigetta nel resto.

Redazione