Corte di Cassazione Penale sez. II 28/9/2010 n. 35004

Redazione 28/09/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, avverso la sentenza di non luogo a procedere perchè il fatto non sussiste, emessa dal gip del locale tribunale il 28.5.2009, nei confronti di Z.A., M.E. e M. A., imputati dei reati di sostituzione di persona e truffa.

Secondo l’accusa, gli imputati avevano utilizzato indebitamente il permesso invalidi nr. (omissis). rilasciato in favore di S. S., esibendo il relativo contrassegno sul parabrezza di un’autovettura di cui avevano la disponibilità per accedere liberamente all’interno delle zone a traffico limitato e per percorrere le corsie preferenziali dell’area urbana del Comune di Firenze, nonostante che la titolare del permesso non fosse a bordo dell’autovettura.

Per quel che riguarda il reato di cui all’art. 494 c.p., il gip ne escludeva la sussistenza sul rilievo dell’inidoneità della semplice apposizione del permesso invalidi su un’autovettura, a determinare la situazione di inganno rilevante ai fini della falsità personale. Per quel che riguarda il reato di truffa, il gip procedeva anzitutto dalla considerazione che il meccanismo di rilevazione degli accessi a zone a traffico limitato, in uso presso il Comune di Firenze, non consentiva l’identificazione del conducente, nè la verifica della presenza del contrassegno invalidi sul parabrezza dell’autovettura interessata dal controllo. Ma riteneva, inoltre, il giudicante, che non fosse necessaria la presenza della S. in occasione dell’utilizzazione dell’autovettura, dal momento che l’uso di un mezzo al servizio dell’invalido, come regolato dall’art. 188 C.d.S., e dall’art. 381 del relativo regolamento, comprenderebbe il soddisfacimento di qualunque esigenza del soggetto handicappato, come l’acquisto di medicinali o di generi alimentari.

L’assenza dell’invalido, non poteva quindi ritenersi decisiva, essendo mancato nella specie, qualunque accertamento sugli scopi degli accessi, che consentisse di escludere il loro collegamento con le esigenze dell’invalido.

Il gip considerava conclusivamente del tutto insufficienti a sostenere l’accusa in giudizio, gli elementi di prova acquisiti agli atti.

Il Pg territoriale deduce il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alle norme del codice della strada che regolano la concessione e l’utilizzazione di veicoli al servizio di persone invalide. Rileva il requirente che l’uso dei relativi permessi deve ritenersi strettamente personale, e che l’"usurpazione" di permessi altrui con la fraudolenta esibizione del relativo contrassegno, non può ritenersi compreso ne sistema sanzionarono di cui all’art. 188 C.d.S., comma 5, sconfinando in questo caso, la condotta del conducente, nelle contestate ipotesi di reato.

Va premesso che il ricorso del PG è poco più che accademico, perchè, come non manca di sottolineare la sentenza impugnata, gli elementi raccolti dall’accusa sarebbero comunque insufficienti a sollecitare il vaglio dibattimentale delle ipotesi di reato contestate agli imputati.

Il gip opportunamente osserva al riguardo, senza che il requirente interloquisca in alcun modo sul punto, che il meccanismo di rilevazione del traffico veicolare in uso presso il Comune di Firenze, non consente l’identificazione del conducente, nè la riproduzione dell’immagine di contrassegni esposti sul parabrezza delle autovetture controllate. Sotto il primo aspetto, l’accusa appare quindi indebitamente "cumulativa", investendo indiscriminatamente tutti i soggetti che avevano la disponibilità dell’autovettura al servizio della S.; sotto il secondo aspetto, nemmeno è certo che in occasione degli accessi alle zone a traffico limitato l’autovettura in questione presentasse esposto sul parabrezza il premesso invalidi oggetto, in ipotesi, di fraudolenta utilizzazione.

Ma le deduzioni del requirente appaiono non condivisibili anche in punto di teorica rilevanza penale delle condotte contestate agli imputati.

Si può solo convenire con il PG ricorrente sull’eccessiva latitudine dell’uso legittimo di un’autovettura al servizio di invalidi nell’interpretazione che il gip ha proposto delle relative norme del codice della strada.

Tanto l’art. 188 C.d.S., che l’art. 381 del relativo regolamento, fanno infatti espresso ed esclusivo riferimento, nel presupposto della prova di una sensibile riduzione della capacità di deambulazione dell’interessato, all’esigenza di consentire e agevolare la "mobilità" delle persone invalide.

E, come ricorda il requirente, la Corte Costituzionale, occupandosi dell’art. 188 C.d.S., ha avuto modo di affermare che la norma deve essere interpretata nel senso che le agevolazioni nella circolazione stradale siano limitate a quei veicoli che effettivamente trasportano la persona disabile e sono, quindi, in tal modo al servizio della stessa, anche quando si tratti di veicoli addetti al trasporto di cortesia dell’invalido (Cort. **** 328/2000). La pronuncia del giudice delle leggi e la retta interpretazione della normativa nel senso indicato dal requirente, non consentono però ugualmente di ravvisare gli estremi dei reati in contestazione.

Ed invero, per quel che riguarda l’ipotesi della sostituzione di persona, basti considerare che la condotta di reato non potrebbe essere integrata dalla semplice esibizione, sul parabrezza di un’autovettura, del contrassegno invalidi, perchè essa non implica una "dichiarazione" di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell’auto attribuzione della qualità di "accompagnatore" da parte del conducente.

Quanto al reato di truffa, varrebbe già la considerazione della specifica natura degli interessi patrimoniali coinvolti nella vicenda, e delle particolari modalità della condotta presuntivamente truffaldina, potendosi richiamare, al riguardo, l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’analoga fattispecie dell’esposizione sul parabrezza di un’autovettura, di un contrassegno assicurativo materialmente falsificato (cfr. Corte di Cassazione n. 23941 del 30/04/2009 ******).

Anche nel caso in esame, infatti, manca, come requisito implicito della fattispecie tipica del reato di truffa, l’atto di disposizione patrimoniale che costituisce l’elemento intermedio derivante dall’errore ed è causa dell’ingiusto profitto con altrui danno. Ciò perchè, pur ammettendosi la configurabilità di un atto dispositivo di carattere omissivo, l’atto di disposizione patrimoniale non potrebbe essere ravvisabile nel fatto che gli organi comunali di controllo, indotti in errore, non abbiano contestato le infrazioni amministrative, nè nel fatto che l’ente comunale abbia subito l’inadempienza dell’agente. Il reato non sarebbe infatti comunque ipotizzatale, perchè manca in casi del genere la necessaria cooperazione della vittima. Inoltre, non ricorrerebbe la necessaria sequenza "artificio – induzione in errore – profitto", perchè, al contrario, il profitto della condotta contestata agli imputati sarebbe realizzato immediatamente, grazie all’elusione dei controlli, e al conseguente, mancato versamento delle somme che sarebbero state dovute in conseguenza delle violazioni amministrative, o per la sosta del veicolo all’interno di zone a traffico limitato.

Peraltro, tra i contravventori e la pubblica amministrazione non sussisteva, prima delle violazioni amministrative che costituirebbero il sostrato economico della truffa, alcun rapporto di "debito", tributario o di altra natura; sicchè il comportamento fraudolento in nessun modo poteva correlarsi ad un "danno" dell’ente territoriale interessato, neppure dilatando al massimo la nozione di atto di disposizione di carattere omissivo. Se il profitto conseguito dagli imputati, infatti, era quello derivante dalla circolazione "abusiva" dell’autovettura al servizio dell’invalido, esso era un fatto del tutto neutro agli effetti di un ipotetico danno del comune di Firenze, proprio perchè quella condotta non era destinata a spostare "risorse" economiche dal soggetto in ipotesi "truffato" all’autore di tale condotta. Simili principi, d’altra parte, ha applicato la giurisprudenza di questa Corte, anche quando ha affermato che non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale.

Nel caso di specie, poi, occorre considerare che la condotta contestata agli imputati è oggetto di una specifica previsione normativa, che riconduce "senza residui" il fatto nell’ambito di un mero illecito amministrativo.

Nel quarto e nell’art. 188 C.d.S., comma 5, sono infatti contemplate tutte le possibili ipotesi di abuso delle strutture stradali riservate agli invalidi, dalla loro utilizzazione in assenza di autorizzazione, o fuori delle condizioni e dei limiti dell’autorizzazione, all’uso improprio dell’autorizzazione.

Soprattutto il confronto tra T’eccesso d’uso" e l’"uso improprio" dell’autorizzazione, è illuminante della volontà del legislatore di "coprire" con la norma speciale anche i casi di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, consentendo anche in questo caso l’operatività del principio di specialità di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa (cfr., ad es., in tema di inottemperanza del conducente di un veicolo all’invito a fermarsi da parte di un ufficiale di polizia municipale Corte di Cassazione 17/09/2008 ********, che ha ritenuto ravvisabile in questo caso, l’illecito amministrativo previsto dall’art. 192 C.d.S., comma 1, e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità previsto dall’art. 650 c.p.).

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso deve essere pertanto rigettato.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Redazione