Corte di Cassazione Penale sez. II 25/11/2010 n. 41662

Redazione 25/11/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
R.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di Cosenza, in data 21 dicembre 2009, con la quale è stata rigettata la. richiesta diretta all’annullamento/revoca del provvedimento di sequestro emesso dallo stesso Tribunale in data 24 novembre 2009, a seguito della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti in data 23 settembre 2009 ed in cui è stata disposta la confisca per equivalente dei beni anche personali, a qualsiasi titolo nella disponibilità dell’imputato, con vincolo di solidarietà tra gli imputati concorrenti per ciascun capo di imputazione.

A sostegno dell’impugnazione ha dedotto i seguenti motivi:

a) Violazione ex art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione agli artt. 322 ter, 640 quater e 240 c.p., artt. 125 e 324 c.p.p..

Il ricorrente lamenta che i giudici di merito non hanno preso in considerazione gli elementi dai quali emergerebbe uno squilibrio tra il valore dei beni assoggettati a sequestro e il profitto asseritamente derivante dal reato. In particolare, secondo il ricorrente sarebbe pacifico che la somma costituente il prezzo/ profitto del reato sarebbe stata ormai coperta dal valore dei beni sequestrati agli altri coimputati; con il sequestro operato a suo carico vi sarebbe dunque una evidente sproporzione rispetto al valore dei beni sottoposti al vincolo cautelare reale.

Inoltre avrebbe dovuto essere di ostacolo all’adozione del provvedimento censurato la natura di pena accessoria della confisca per equivalente, con esclusione della natura di misura di sicurezza patrimoniale, con impossibile applicazione del vincolo solidaristico tra gli imputati:

b) Violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione agli artt. 322 ter, 640 quater e 240 c.p., artt. 125 e 324 c.p.p..

Il ricorrente censura il provvedimento di sequestro disposto dal Tribunale di Cosenza in quanto la richiesta di sequestro preventivo per equivalente formulata dal p.m. in occasione dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa in data 29 giugno 2004 era stata rigettata dal Gip, e quindi si sarebbe violato il principio del c.d. giudicato cautelare.

Il ricorso è manifestamente infondato. Occorre sottolineare che, nel caso di specie, il ricorso può essere proposto esclusivamente per violazione di legge.

Nel caso in esame il Tribunale ha evidenziato con chiarezza o precisione i termini della questione e le ragioni sottostanti alla necessità della apposizione del vincolo del sequestro preventivo, prodromico e strumentale alla successiva confisca per equivalente, delle somme di denaro e/o dei beni dell’imputato fino alla concorrenza degli importi complessivamente addebitati, una volta accertata l’intera entità del profitto del reato, con riferimento ai reati richiamati dall’art. 640 quater c.p..

Devono ritenersi dunque esenti da censure logico giuridiche le valutazioni relative all’entità del patrimonio sequestrato.

La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l’ammontare complessivo dello stesso (Cass., sez. 5^, 3 febbraio 2010, n. 10810, C.E.D. Cass., n. 246364; Cass., sez. F., 28 luglio 2009, n. 33409, C.E.D. Cass. n. 244839; Cass., sez. 6^, 6 marzo 2009, n. 18536, C.E.D. Cass., n. 243190; SS.UU,, 25 ottobre 2005, n. 41936, ****)). Tale conclusione trova conferma nell’analogo principio di diritto, affermato dalle Sezioni unite in tema di responsabilità da reato degli enti, in base al quale nel caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l’ammontare complessivo dello stesso. (Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, C.E.D. Cass., 239926). In ogni caso nel caso in esame, il sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto in relazione ai reati previsti dall’art. 640 quater c.p., può avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al profitto, ma anche ai prezzo del reato, in quanto la suddetta disposizione richiama l’intero art. 322 ter c.p. (v. Cass., sez. un., 25 ottobre 2005, n. 41936, ****, C.E.D. Cass., n. 232164; Cass., sez. 2^, 20 dicembre 2006, n. 10838, C.E.D. Cass., n. 235829; Cass., sez. 1^, 30 maggio 2006, n. 30790, C.E.D. Cass., n. 234886). Gli adempimenti estimatori poi correttamente potranno essere eseguiti all’esito definitivo del processo di cognizione, rimessi dunque alla fase esecutiva della confisca.

E’ inoltre assolutamente infondato il richiamo alla formazione del c.d. giudicato cautelare.

Il provvedimento in questione è stato emesso all’esito della sentenza di primo grado, in una fase completamente diversa rispetto a quella cui fa riferimento il ricorrente, con accertamenti ed acquisizioni probatorie sicuramente differenti e di ben altro spessore processuale rispetto agli elementi in base ai quali il G.I.P. ha ritenuto di rigettare una analoga richiesta ben sei anni prima nel corso delle indagini preliminari. Nel caso di specie, pertanto, non è applicabile il principio del ne bis in idem proprio per la sua efficacia endoprocessuale limitata.

Va dichiarata, pertanto l’inammissibilità del ricorso cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, inoltre, al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Redazione