Corte di Cassazione Penale sez. I 4/5/2009 n. 18187; Pres. Chieffi S.

Redazione 04/05/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza in data 17 settembre 2008, depositata in cancelleria l’1 ottobre 2008, la Corte di Assise di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza 27 giugno 2007 del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Milano, escluse le attenuanti genetiche e l’aggravante di cui all’art. 61 c.p.. n. 1, (aggravante dell’aver agito per motivi abbietti e futili) rideterminava la pena per S.U.U., imputato di omicidio volontario ai danni di D.L.R., ad anni quattordici di reclusione.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata alle ore 23 circa del (OMISSIS), S.U.U., facendo uso di un coltello da cucina, per motivi di gelosia, colpiva ripetutamente D.L.R. attingendola in modo mortale alla cavità toracica in regione sternale.

2. – Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Procuratore ******** territoriale chiedendone l’annullamento per illogicità manifesta della motivazione nel punto in cui il giudice aveva escluso l’aggravante contestata dei motivi abietti e futili. Il ricorrente argomentava che se è vero che la gelosia non può essere ritenuta costituente motivo abietto e futile, tuttavia l’istruttoria aveva dimostrato (testi G.G. e M.L.) che l’imputato aveva perseguitato la ragazza minacciandola di morte qualora l’avesse vista con altri uomini, considerandola come cosa propria e violandone la libertà di autodeterminazione. L’omicidio era stato lo sfogo di un desiderio anomalo di possesso in esito a un lungo periodo di molestie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

3.1. – La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha chiarito che, ai fini della sussistenza dell’aggravante dei motivi futili deve intendersi l’antecedente psichico della condotta, ossia l’impulso che ha indotto il soggetto a delinquere, e che il motivo deve qualificarsi futile quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da poter considerarsi, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale (Cass., Sez. 1, 22 maggio 2008, n. 24683, Sez. 1, 11 febbraio 2000, Dolce; Sez. 1, 19 gennaio 1999 P.M. in proc. ***** ed altri; Sez. 6, 3 giugno 1998, Rova). La circostanza aggravante ha, quindi, natura prettamente soggettiva, dovendosene individuare la ragione giustificatrice nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto che legittima l’applicazione di un più severo trattamento punitivo (Cass., Sez. 1, 20 ottobre 1997 Trovato).

Applicando questi principi al caso in esame, va osservato che sfugge a questa definizione la manifestazione di morbosa gelosia, in quanto questa costituisce uno stato passionale, causa frequente di delitti anche gravissimi (Sez. 1, 1 dicembre 1969, n. 1574 Rv. 114590, ********) ma che per la coscienza collettiva non è tale da costituire una ragione inapprezzabile di pulsioni illecite.

Correttamente quindi la Corte ha ritenuto che l’atteggiamento tenuto dal prevenuto nella vicenda non si attagliasse all’aggravante detta essendo stata espressione di un atteggiamento sì possessivo del prevenuto, anche sfociante nella limitazione autodeterminativa della vittima, che non è stata però tale da caratterizzare un soverchiamente fine a se stesso, pretestuoso e abnorme, della altrui personalità, tale da far ritenere sussistente nel modus operandi un surplus in termini di valenza delinquenziale da separatamente censurare e sanzionare.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Redazione