Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 17/7/2009 n. 16629; Pres. Carbone V.

Redazione 17/07/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia, con decisione del 19 luglio 2007 deliberava di non accogliere la domanda dell’avv. B.G., avvocato dipendente e responsabile dell’ufficio legale della s.p.a. Umbra Acque, di iscrizione nell’elenco speciale di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, per la natura privata di detta società soggetta, perciò, alla normativa privatistica.

L’impugnazione del professionista è stata respinta dal Consiglio Nazionale forense con decisione del 9 giugno 2008, in quanto: a) la possibilità di iscrizione prevista dalla norma costituisce un’eccezione ad un sistema di rigide preclusioni volto a garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocato, sicchè detto art. 3, non può essere interpretato estensivamente fino a comprendere enti privati,costituiti come la società Umbra acque da rilevante partecipazione privata e non soggetti a poteri gestionali o a particolari controlli da parte di enti pubblici; b) d’altra parte difettava anche la qualifica di pubblico impiego nel rapporto professionale dell’avv. B., ed anche a tener conto della progressiva privatizzazione di quest’ultimo,dello status da esso derivante necessaria per garantire l’ineliminabile autonomia e libertà del professionista nell’esercizio delle sue funzioni; c) mancava altresì la prova,malgrado la documentazione prodotta dal professionista anche a richiesta del Consiglio dell’Ordine, della particolare autonomia e stabilità del suo rapporto nell’ambito dell’ufficio e dell’ente datore di lavoro; d) infine era del tutto irrilevante l’omessa osservanza della disposizione della L. n. 241 del 1992, art. 10 bis, essendo stata consentita al ricorrente la completa esposizione delle proprie ragioni;e non potendo essere comunque diverso il contenuto sfavorevole del provvedimento che aveva definito il procedimento.

Per la cassazione della sentenza, l’avv. B. ha proposto ricorso per tre motivi. Gli intimati non hanno spiegato difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il terzo motivo che ha – all’evidenza – carattere pregiudiziale l’avv. B., deducendo violazione della L. n. 241 del 1990, art. 10 bis, lamenta che la decisione impugnata abbia ritenuto irrilevante il mancato invio del provvedimento previsto dalla norma suddetta, per il disposto del successivo art. 21 octies, della legge atteso che quest’ultimo si riferisce agli atti vincolati, mentre l’attività del Consiglio è connotata da ampia discrezionalità amministrativa; che non ha fondamento il rilievo che il provvedimento finale non avrebbe potuto essere di contenuto diverso;e che l’omissione non poteva considerarsi sanata dalla richiesta integrazione documentale limitata ai soli atti richiesti dal Consiglio. E che comunque della norma doveva essere data una lettura massimalista,secondo l’orientamento seguito dalla giurisprudenza più recente.

Il motivo è infondato.

Seppure, infatti, il procedimento relativo all’iscrizione all’albo dei procuratori ed avvocati e gli atti adottati hanno natura amministrativa così come il provvedimento che lo ìli definisce, è del pari vero che per questo il D.L. n. 1578 del 1933, ha scelto per le conseguenze cui esso perviene l’adozione di modelli procedimentali propri della giurisdizione, quali la tutela del contraddittorio, l’audizione dell’interessato, una eventuale fase istruttoria e la possibilità di disporre di una difesa tecnica: e quindi una particolare e specifica disciplina, che ponendosi quale legge speciale, prevale sulla legge generale in materia di procedimento amministrativo, posto che in essa sono previste garanzie di livello non inferiore a quelle stabilite da quest’ultima legge: come dimostra proprio la fattispecie in relazione alla quale lo stesso ricorrente ha riferito di avere presentato dopo l’originaria istanza di iscrizione nell’albo speciale,un’istanza integrativa onde documentare la sua posizione di responsabile dell’ufficio legale; di avere successivamente ricevuto comunicazione dal Consiglio di integrare la documentazione suddetta con particolare riferimento al suo rapporto di lavoro e di avere quindi depositato tutti i documenti necessari onde fornire riscontro alla richiesta in questione.

E, d’altra parte la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che la norma invocata ha lo scopo di consentire all’interessato, a proposito di ogni atto amministrativo che possa arrecare offesa ai suoi diritti, libertà ed interessi, di proporre fatti ed argomenti e, occorrendo, di offrire mezzi di prova in suo favore di cui l’autorità amministrativa terrà conto; laddove nel caso concreto lo stesso avv. B. ha ribadito nel secondo motivo del ricorso di avere prodotto sia con l’istanza originaria e quella successiva,sia in seguito alla richiesta di integrazione da parte del Consiglio, tutta la documentazione indispensabile a dimostrare la ricorrenza delle condizioni per la sua iscrizione nell’albo speciale; per cui siccome il raggiungimento della finalità partecipativa sottesa alla norma è stato comunque conseguito, l’omissione del provvedimento di cui all’art. 10 bis, non rende illegittima la decisione finale sull’istanza,nel caso adottata in seguito all’instaurazione di un vero e proprio contraddittorio endo-procedimentale: altrimenti pervenendosi ad una interpretazione ed una applicazione meramente meccanica e formalistica delle norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo (Cass. sez. un. 23000/2004; Cons. St. 3220/2006; 4018/2004).

Nel merito il Collegio deve rilevare che il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, dopo avere previsto (nel comma 2) l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e l’impiego di amministrazioni o istituzioni pubbliche soggette a tutela o vigilanza dello Stato, delle province e dei comuni, nel successivo comma 4, apporta una eccezione a tale regola eccettuando tale incompatibilità "gli avvocati degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso comma, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la propria opera". Ai quali consente l’iscrizione "nell’elenco speciale annesso all’albo".

Ora il Consiglio Nazionale forense ha negato l’iscrizione nello elenco speciale,del ricorrente, avvocato dipendente e responsabile dell’ufficio legale della s.p.a. Umbra Acque costituita fra privati (con quota pari al 40% del capitale sociale) ed alcuni comuni della Regione "per lo svolgimento di un’attività pur sempre pubblicistica volta all’erogazione di un servizio pubblico" (pag. 3 ric.),per due ordini di ragioni: 1) perchè una società per azioni non potrebbe mai assumere la veste di "istituzione pubblica" che è la sola rientrante nella particolare eccezione prevista dall’art. 3; e d’altra parte il rapporto di lavoro subordinato instaurato dall’avvocato B. non potrebbe assumere la qualifica di pubblico impiego; 2) perchè manca anche la prova della sussistenza dell’altro requisito richiesto dal R.D.L. n. 1578, art. 3, per il quale la destinazione all’ufficio legale deve avere un carattere di relativa stabilità, e non poter cessare per effetto di una, libera determinazione dell’autorità amministrativa dell’ente: di guisa che la destinazione in questione possa essere considerata revocabile ad nutum da parte dell’organo amministrativo che l’ha disposta.

Il ricorrente ha impugnato quest’ultima ratio decidendi con il secondo motivo,deducendo vìzio di omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione, e dolendosi che la decisione impugnata abbia ritenuto non provato il requisito della stabilità nell’ambito dell’ufficio legale della società in capo ad esso professionista, dimostrando omesso esame dei documenti prodotti dai quali risultavano invece non solo le specifiche mansioni svolte nell’ufficio,ma anche la collocazione esterna e la stabilità della struttura nell’ambito dell’ente e della sua funzione in particolare,connotata da adeguata autonomia.

Ma la censura è infondata posto che dalla disposizione del menzionato art. 3, come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, si desume che, per l’iscrizione al detto elenco speciale, è necessario il concorso di due presupposti: a) deve esistere, nell’ambito dell’ente pubblico, un ufficio legale che costituisca un’unità organica autonoma; b) colui che chiede l’iscrizione – dipendente dell’ente ed in possesso del titolo di avvocato – feccia parte dell’ufficio legale e sia incaricato di svolgervi tale attività professionale, limitatamente alle cause ed agli affari propri dell’ente (cfr., di recente, per diversi profili applicativi, Cass. 18 aprile 2002 n. 5559; 14 marzo 2002 n. 3733; 15 dicembre 2000 al 10777; 19 ottobre 1998 n. 10367).

In mancanza del requisito in esame le Sezioni Unite hanno ripetutamente enunciato il principio che il dipendente dell’ente non può qualificarsi un "avvocato dell’ufficio legale", come è richiesto dal trascritto dell’art. 3, u.c., perchè la sua destinazione a tale ufficio è sostanzialmente precaria; e non concretizza un vero e proprio "inquadramento" del dipendente – avvocato nell’ufficio legale (come richiesto dalla citata Cass. n. 3735/2002,seppure in relazione a fattispecie diversa).

Anzi, la destinazione priva in modo assoluto di stabilità incide sullo stesso carattere dell’attività professionale svolta dal dipendente nell’ufficio legale, nel senso che l’attività di avvocato non può dirsi "nè autonoma, nè indipendente, nè libera, e – va aggiunto – non assume quel carattere di specificità che è data solo dalla continuità delle funzioni esercitate.

D’altra parte la continuità della attività professionale costituisce il requisito implicito nel concetto di iscrizione in un albo (o in un elenco annesso allo stesso). E richiede che la destinazione dell’avvocato all’ufficio legale possa essere fetta cessare dall’autorità amministrativa solo sulla base di circostanze e di criteri prestabiliti, i quali, conferendo alla disposta destinazione un certo grado di stabilità, costituiscono appunto la garanzia della continuità della attività professionale risultante dalla iscrizione nell’elenco speciale. Per cui; l’assenza di una stabile destinazione all’ufficio legale comporta, in sintesi, l’esclusione del presupposto che si è sopra indicato sub lett. b), e cioè lo svolgimento, da parte del dipendente dell’ente, dell’attività professionale di avvocato, con le caratteristiche previste per detta attività.

In conformità a questi principi,il Consiglio nazionale forense dopo aver esaminato anche la documentazione integrativa prodotta dall’avv. B. (lettera di assunzione, mansionario, organigramma dell’ufficio ecc.), ha ritenuto che mancava – ancor prima che la prova – la prospettazione di qualsiasi elemento idoneo a far presumere la sua stabilità nell’ambito di detto ufficio; sicchè non era sufficiente al ricorrente rinviare alla suddetta documentazione ed assumerne apoditticamente una interpretazione opposta a quella offerta dal Consiglio nazionale:avendo questa Corte ripetutamente affermato anzitutto che la valutazione delle risultanze processuali richiamate nella pronuncia di cui si chiede l’annullamento, l’accertamento dei fatti e l’apprezzamento della loro rilevanza ai fini della decisione circa la sussistenza o meno del requisito in questione non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità in quanto la detta attività, istituzionalmente rimessa al CNF, risulta sorretta da motivazione adeguata e congrua oltre che immune da vizi logici e giuridici. E,quindi, che il controllo della congruità e logicità della motivazione, al fine del sindacato di legittimità su un apprezzamento di fatto del giudice di merito, postula la specificazione da parte del ricorrente – se necessario mediante la trascrizione integrale nel ricorso – della risultanza (parte di un provvedimento, di una dichiarazione,di un documento in genere, ecc.) che egli assume decisiva e non valutata o erroneamente valutata dal giudice, perchè solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione – alla quale è precluso, salva la denunzia di "error in procedendo", l’esame diretto dei fatti di causa o il potere di sopperire alle lacune istruttorie con indagini integrative – di delibare la decisività della risultanza non valutata.

Con la conseguenza che deve ritenersi inidoneo allo scopo il ricorso con cui, nel denunziare l’erronea valutazione da parte del giudice di merito di una o più circostanza decisiva, ci si limiti a rinviare alla prospettazione fatta negli atti di causa; e quella ulteriore (Cass. 7077/2001 e succ.) che siccome la decisione impugnata è fondata su distinte ed autonome "rationes decidendi" ognuna delle quali è sufficiente, da sola, a sorreggerla, il rigetto del motivo di ricorso attinente alla seconda di esse rende superfluo l’esame dei profili relativi alla prima, non potendo la loro eventuale fondatezza portare alla cassazione della sentenza; che rimarrebbe ferma sulla base dell’argomento riconosciuto esatto.

Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese processuali perchè il Consiglio dell’ordine intimato,cui l’esito del giudizio è stato favorevole non ha spiegato difese.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

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