Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 12/5/2008 n. 11653; Pres. Carbone V.

Redazione 12/05/08
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Svolgimento del processo

C.F., dopo essere stato cancellato dall’Albo degli Avvocati con decisione divenuta esecutiva il 2.3.2005, ha chiesto di essere reiscritto all’albo con istanza del 3 luglio 2006. Il Consiglio dell’Ordine di Catania ha rigettato l’istanza con provvedimento confermato dal Consiglio Nazionale Forense con la decisione oggi impugnata, depositata il 21 settembre 2007. Il Consiglio Nazionale Forense, premesso che la normativa vigente non stabilisce quale termine debba decorrere dopo l’irrogazione della sanzione disciplinare ai fini di un’eventuale reiscrizione, ha affermato che l’intervallo non può avvenire prima del decorso di cinque anni dalla esecutività della delibera di cancellazione, in relazione all’accertamento, ai fini della iscrizione all’albo, del previsto requisito della condotta "specchiatissima ed illibata". Ha quindi confermato il provvedimento di rigetto dell’istanza di iscrizione adottato dal Consiglio dell’Ordine sul rilievo sia del breve lasso di tempo intercorso, sia della insufficienza, ai fini del suddetto requisito, della circostanza del soddisfacimento di alcuni creditori.

C.F. propone ricorso per cassazione con due motivi. Non hanno svolto difese il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.


Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, mediante denuncia di violazione e falsa applicazione del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 47 e dell’art. 12 preleggi, la parte rileva che la L. 17 febbraio 1971, n. 91, modificando il testo originario del predetto R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 40 ha introdotto la sanzione disciplinare della cancellazione dall’albo degli avvocati; non è stata peraltro prevista, ai fini della reiscrizione, la necessità del decorso di un termine minimo dall’applicazione di questa sanzione, come è invece stabilito per l’ipotesi di radiazione dall’albo.

Si deduce quindi che il Consiglio Nazionale Forense ha erroneamente ritenuto applicabile nella specie la disposizione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 47 (che richiede un intervallo minimo di cinque o sei anni tra la radiazione e la riammissione all’albo) alla diversa fattispecie della cancellazione, non regolata da detta norma, non suscettibile di interpretazione analogica estensiva.

Con questo motivo la parte formula due quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ.. Con il primo si chiede a questa Corte di stabilire se la legge professionale, non prevedendo alcuna condizione temporale – data l’inapplicabilità del termine previsto per il caso di radiazione – richieda ai fini della reiscrizione solo la prova dell’effettivo riacquisto della dignità e probità proprie della professione forense. Il secondo quesito attiene, per la stessa questione, ai limiti del ricorso all’analogia per l’applicazione della disposizione sopra richiamata.

2. La censura è fondata, ma la soluzione della questione in senso favorevole al ricorrente non può condurre all’accoglimento dell’impugnazione. La norma relativa al decorso di un termine minimo per la reiscrizione all’albo dopo il provvedimento di radiazione non può trovare applicazione, in via di estensione analogica, al caso della cancellazione: la diversità della sanzione considerati dalla legge come meno grave non consente di far riferimento alla stessa disciplina fissata per quella più grave, non esistendo alcuna ragione logica per ritenere che entrambe le fattispecie debbano essere regolate allo stesso modo; nè è certamente possibile ritenere in contrasto con la ratio della norma la mancata estensione della disciplina espressamente prevista al caso diverso non contemplato.

Ciò posto, si deve peraltro rilevare che la decisione impugnata ha considerato il dato dell’intervallo fra l’applicazione della sanzione e la richiesta di riammissione all’albo anche ai fini dell’accertamento del requisito della "condotta specchiatissima ed illibata" richiesto dall’art. 17 della Legge Professionale, affermando che solo dopo il decorso di un ampio periodo di tempo dall’applicazione della sanzione, in presenza di altre circostanze rilevanti, possono ritenersi riacquistate la dignità e probità richiesti per l’iscrizione all’albo professionale.

Tale requisito è stato valutato autonomamente dal Consiglio Nazionale Forense in relazione agli elementi acquisiti al procedimento, e il giudizio di fatto espresso in proposito costituisce autonoma ratio decidendi della pronuncia.

In risposta al quesito posto va dunque enunciato il principio secondo cui il disposto del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 47 relativo al termine che deve decorrere dalla sanzione prima della reiscrizione, non trova applicazione per l’ipotesi di cancellazione dall’albo di cui all’art. 40 dello stesso provvedimento normativo, nel testo attualmente vigente. Indipendentemente dalla previsione di un termine minimo, la durata del tempo decorso dalla cancellazione può essere peraltro valutata ai fini dell’apprezzamento della sussistenza del requisito della condotta "specchiatissima ed illibata" di cui al medesimo R.D.L., art. 17.

3. Con il secondo motivo si denunciano i vizi di violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 31 e 56 e difetto di motivazione.

Si osserva che il Consiglio Nazionale Forense non ha esercitato il potere di accertare autonomamente il requisito della condotta specchiatissima ed illibata, compiendo sulla delibera di rigetto della domanda di iscrizione un mero vaglio di legittimità dell’atto amministrativo, affermando solo che non era stata fornita la prova documentale del suddetto requisito, non desumibile dall’avvenuto soddisfacimento dei creditori.

Manca quindi del tutto, secondo la parte, una valutazione e motivazione di merito da parte del Consiglio Nazionale Forense in ordine a tale requisito, che doveva essere accertato con esclusivo riferimento al comportamento del ricorrente successivo alla irrogazione della sanzione.

La parte sottopone quindi alla Corte i seguenti quesiti di diritto:

– "se il requisito della condotta specchiatissima ed illibata, al fine della iscrizione nell’albo degli avvocati, possa essere autonomamente accertato e valutato dal Consiglio Nazionale Forense, essendo lo stesso giudice di merito e non solo di legittimità, anche in base ad elementi diversi da quelli posti dal Consiglio dell’Ordine a quelli posti dal Consiglio dell’Ordine a fondamento della decisione impugnata" – "se le decisioni del Consiglio Nazionale Forense siano sindacabili per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., quando la motivazione manchi del tutto, o non si presenti logicamente ricostruibile, o sia priva (di congruenza logica rispetto ai fatti accertati, così come risultano dalla decisione impugnata".

La Corte giudica inammissibili tali quesiti, in relazione alla disposizione di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. applicabile, nella specie, ratione temporis (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) trattandosi di impugnazione per cassazione di sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006.

Il quesito di diritto che, ai sensi della norma richiamata, la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame. Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione (Cass. Sez. Un. 21 giugno 2007 n. 14385, 28 settembre 2007 n. 20360, 5 febbraio 2008 n. 2658).

Quest’ultima ipotesi si verifica quando la risposta al quesito proposto, anche positiva per il richiedente, risulta priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto non vale a risolvere la questione decisa.

Nella specie, entrambi i quesiti proposti trovano risposta positiva nei principi enunciati da costante giurisprudenza, sia per quanto riguarda l’autonomo accertamento del requisito della "condotta specchiatissima ed illibata" da parte del Consiglio Nazionale Forense – anche in base ad elementi diversi da quelli posti dal Consiglio dell’Ordine a fondamento della decisione impugnata – sia per quanto riguarda il vizio di violazione di legge, denunciatole con ricorso per cassazione, delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense quando la motivazione risulti completamente assente o puramente apparente, vale a dire non ricostruibile logicamente ovvero priva di riferibilità ai fatti di causa.

Peraltro da tale risposta non può trarsi alcuna conseguenza concreta utile ai fini della causa, nè i quesiti sono coerenti con l’illustrazione del motivo di impugnazione, con il quale si propone la tesi della inesistenza, o mera apparenza, della motivazione, sul rilievo dell’omessa valutazione di alcuni aspetti rilevanti ai fini dell’apprezzamento della condotta del ricorrente. Il ricorrente non ha quindi interesse a proporre i quesiti in esame.

In base allo stesso principio già affermato da questa Corte in tema di motivi non attinenti al decisum, il caso di quesito di diritto inconferente va assimilato all’ipotesi di mancanza del quesito, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., con conseguente inammissibilità del motivo.

4. Il ricorso deve essere quindi respinto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Redazione