Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 6/2/2009 n. 3008; Pres. Cuoco P.

Redazione 06/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 700 c.p.c., C.F. ed altri 7 lavoratori esposero che:

1. avevano prestato la loro opera dal 1991 alle dipendenze della SO.CO.PE. ******, comodataria dell’impianto di distribuzione carburanti AGIP PETROLI S.p.a. in (omissis);

2. con ordinanza del 30 novembre 1992 il Tribunale di Napoli, nel giudizio di rilascio intentato dall’AGIP S.p.a. nei confronti della predetta ******à, aveva disposto il sequestro dell’impianto, nominando custode la stessa ********* ******;

3. a seguito del fallimento di questa ******à la custodia dell’impianto era stata affidata a tale P.F. e poi a A.P.;

4. la declaratoria di improcedibilità del giudizio di convalida del sequestro aveva privato l’A.P. della sua veste di ausiliario del giudice;

5. con la protrazione delle loro prestazioni presso l’impianto di distribuzione, erano sorti dei rapporti di lavoro subordinato nei quali l’AGIP PETROLI S.p.a., a mezzo dell’ A.P., era il datore di lavoro.

Ciò premesso, essi chiesero che il Tribunale di Napoli dichiarasse l’esistenza di questi rapporti di lavoro con l’AGIP PETROLI S.p.a. quantomeno dal 1 agosto 1998, e vietasse all’ A.P. di avvalersi della qualità di custode giudiziario ed in particolare di esercitare poteri datorili che derivassero dal provvedimento di nomina a custode giudiziario del gennaio 1997.

Con ordinanza del 9 giugno 1999 il giudice accolse la domanda nei confronti dell’ A.P., e respinse la domanda di dichiarazione del rapporto di lavoro.

Il Tribunale di Napoli respinse poi il reclamo proposto dai ricorrenti avverso la predetta ordinanza.

Con altro ricorso ex art. 700 c.p.c., gli stessi impugnarono il licenziamento loro intimato il 23 giugno 1999 dall’ A.P..

Il Pretore dichiarò l’inefficacia del licenziamento ed intimò all’AGIP PETROLI S.p.a. di reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro; l’ordinanza fu poi revocato dal Tribunale di Napoli con ordinanza del 25 ottobre 1999.

Con due successivi ricorsi i lavoratori proposero i giudizi di merito relativi ai predetti provvedimenti cautelari, chiedendo che si dichiarasse l’illegittimità dell’interposizione di manodopera e l’esistenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con l’AGIP PETROLI S.p.a. dal 5 gennaio 1995 o quantomeno dal 1998, e si ordinasse alla ******à la reintegrazione nei posti di lavoro, con le conseguenze contrattuali normative ed economiche.

Con sentenza del 14 gennaio 2004 il Tribunale di Napoli respinse la domanda proposta dai lavoratori.

Con sentenza del 22 dicembre 2004 la Corte d’Appello di Napoli, parzialmente accogliendo l’impugnazione, dichiarò l’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato fra gli iniziali ricorrenti e l’ENI S.p.a. dal 23 luglio 1998, e condannò la ******à al pagamento delle retribuzioni non percepite dal licenziamento del 23 giugno 1999.

Il giudicante afferma in primo luogo che l’assunzione dei lavoratori alle dipendenze del P. era stata effettuata con lettera del 5 gennaio 1995 in esecuzione di intesa raggiunta con l’assistenza di rappresentanza sindacale.

Nella lettera, pur fissandosi la durata del rapporto fino alla revoca della custodia giudiziaria, non era stato tuttavia indicato lo specifico termine finale del rapporto; nè il rapporto rientrava nelle ipotesi di contratti a termine previsti dalla L. 18 aprile 1962, n. 230.

Con la sentenza che aveva dichiarato l’improcedibilità del giudizio di convalida del sequestro giudiziario, e con la mancanza d’ogni ragione della custodia giudiziale dell’impianto, che era rientrato nella disponibilità dell’AGIP PETROLI S.p.a., questa ******à, interessata all’operatività dell’azienda, aveva ripreso di fatto la gestione diretta dell’impianto stesso, divenendo datore di lavoro di coloro che ivi lavoravano, i quali restarono inseriti in tal modo nell’organizzazione aziendale di questa ******à.

All’ A. era da riferire solo la gestione degli aspetti formali del rapporto di lavoro (come la materiale corresponsione della retribuzione), laddove ogni altro aspetti (comprese la corresponsione delle ingenti somme per la gestione del servizio e la retribuzione del personale e la fornitura del carburante nonchè la direzione dell’impianto) erano da riferire alla predetta ******à.

Ed il fatto integrava l’ipotesi interpositori a prevista dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 3.

Per la cassazione di questa sentenza l’ENI S.p.a. propone ricorso, articolato in quattro motivi e coltivato e memoria; i lavoratori resistono con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato, articolato in due motivi e coltivato con memoria, al quale la ******à ricorrente resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando per l’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 329, 342 e 434 c.p.c., nonchè vizio di ultra ed extrapetizione nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, la ******à sostiene che:

1.a. il primo giudice aveva escluso la sussistenza dell’illecita interposizione fittizia di manodopera sulla base di due ragioni: a la sopravvivenza del vincolo cautelare anche dopo la sentenza di improcedibilità del giudizio di convalida del sequestro, e la mancanza di prova del possesso e della gestione dell’impianto da parte della ******à nonchè d’una sua attività datorile nei confronti dei lavoratori (ricorso, p. 13);

1.b. i lavoratori avevano poi posto a fondamento dell’appello solo il fatto che il sequestro giudiziario sarebbe venuto meno per il fallimento della SO.CO.PE. ******; non avevano censurato l’omessa considerazione da parte del primo giudice della perdita d’efficacia del vincolo cautelare (ricorso, p. 15);

1.c. il secondo giudice ha tuttavia ritenuto che la ******à avrebbe manifestato la propria intenzione di mantenere la concessione e l’operatività dell’azienda durante il perdurare del vincolo cautelare, ed avrebbe ripreso la gestione diretta dell’impianto con la cessazione dell’efficacia del vincolo cautelare e sicuramente dalla data della sentenza di improcedibilità; il giudicante ha pertanto ritenuto la permanenza del vincolo cautelare e la conseguente sussistenza d’una gestione giudiziaria anche dopo il fallimento della SO.CO.PE. ******, fatti che sarebbero cessati solo con la pronuncia di improcedibilità del giudizio di convalida del sequestro; ritenendo che la misura cautelare sarebbe sopravvissuta al fallimento della custode, il secondo giudice ha pronunciato su un fatto estraneo all’appello.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale, denunciando per l’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, e del D.L. n. 745 del 1970, art. 16, (in L. n. 1034 del 1970) e del D.P.R. n. 1269 del 1971, art. 19, nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, la ******à sostiene che:

2.a. il secondo giudice aveva trascurato le risultanze istruttorie poste dal primo giudice a fondamento della decisione, ed in particolare le prove documentali ed orali (interrogatorio formale del legale rappresentante della ******à e prova testimoniale), limitandosi a ricondurre al vincolo cautelare le anticipazioni di spesa della ******à;

2.b. non aveva accertato la ricorrenza dei caratteri rivelatori dell’interposizione fittizia, limitandosi a considerare solo l’assunzione del debito retributivo;

2.c. nè può assumere rilievo l’apporto dei mezzi strumentali; ed invero, il D.L. n. 745 del 1970, art. 16, (in L. n. 1034 del 1970) e il D.P.R. n. 1269 del 1971, art. 19, regolano il rapporto fra società concedente e concessionario dell’impianto di distribuzione dei carburanti in base ad uno schema tipico, per cui la gestione è affidata con cessione gratuita dell’uso degli apparecchi di distribuzione e delle attrezzature fisse e mobili;

2.c. aspetto determinante per la differenziazione dell’appalto dall’interposizione è il concreto atteggiarsi dell’appaltatore nel suo operare come effettivo imprenditore, nell’autonoma organizzazione e gestione della prestazione lavorativa; nel l’interposizione si delinea il persistente costante ed invasivo esercizio dei poteri datorili ad opera dell’interponente nelle modalità di svolgimento dell’attività e sul comportamento di ciascun singolo prestatore dipendente dall’interposto (diversa è la situazione in cui l’appaltante si limita ad impartire le disposizioni di risultato); nel caso in esame, tuttavia, la ******à non aveva gestito in proprio gli impianti di distribuzione nè aveva alcuna struttura a ciò deputata;

2.d. nulla è emerso quale ingerenza della ******à in termini di orari, turni, attribuzione di mansioni, applicazione di sanzioni, ed in generale nell’esercizio dei poteri direttivi e di controllo;

2.e. in particolare, in presenza di elementi aziendali forniti dal "preteso interposto" e senza dei quali la prestazione lavorativa assumerebbe minor valore produttivo, l’interposizione non sussiste; è questo valore aggiunto alla mera prestazione lavorativa a fornire il criterio di differenziazione fra appalto ed interposizione; e nel caso in esame, l’esercente aveva fornito beni immateriali (organizzazione, gestione autonoma dalla produzione ed allocazione dei prodotti petroliferi), in base ai quali l’interposizione era da escludersi.

3. Con il terzo motivo del ricorso principale, denunciando per l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 669 novies c.p.c., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, la ******à sostiene che:

3.a. il venir meno del vincolo cautelare non è riconducibile alla sentenza di improcedibilità bensì, per l’art. 669 novies c.p.c., solo all’estinzione del giudizio di merito, e nel caso in esame, il giudizio di convalida era stato definito con una sentenza di improcedibilità, peraltro suscettibile di variazione fino al suo passaggio in giudicato;

3.b. l’estromissione da un servizio di pubblico interesse e la mancanza di interesse del precedente gestore alla prosecuzione dell’attività sono elementi indipendenti dalla sentenza di improcedibilità, e dalla situazione disciplinata dalla legge (art. 669 novies c.p.c.);

3.c. in assenza del provvedimento con cui il giudice da le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente, l’improcedibilità del giudizio di convalida del sequestro non è sufficiente a far cessare il vincolo cautelare.

4. Con il quarto motivo del ricorso principale, denunciando per l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 342, 414 e 434 c.p.c., nonchè vizio di ultrapetizione, la ******à sostiene che i lavoratori avevano chiesto condanna specifica al pagamento delle retribuzioni maturate; non avevano tuttavia allegato e provato il quantum.

La domanda, in quanto carente della prova del quantum, era da respingersi. La condanna generica contenuta nella decisione impugnata era affetta da extrapetizione.

5. I ricorrenti incidentali espongono pregiudizialmente che, poichè al procuratore costituito per una pluralità di parti la notificazione deve essere effettuata mediante consegna d’un numero di copie eguali al numero delle parti, nel caso in esame, ove, come deducibile dalla relata di notifica, la stessa ******à aveva chiesto la notifica di solo otto copie del ricorso pur essendo nove i relativi destinatari, la notifica è inesistente; e comunque l’eventuale sanatoria (per costituzione del destinatario) avrebbe solo efficacia ex mine; da ciò, il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

6. Con il primo motivo del ricorso incidentale, denunciando per l’art. 360 c.p.c., n. 5, violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, i lavoratori sostengono che:

6.a. il giudice aveva attribuito ai contratti di assunzione una funzione para – pubblica, che li sottrarrebbe alla disciplina del rapporto di lavoro privato;

6.b. non vi è stata attività del custode giudiziario; il P., esorbitando dalla sua funzione, aveva svolto attività commerciale nell’interesse esclusivo della sua datrice di lavoro;

6.c. i contratti a termine del 5 gennaio 1995 erano nulli;

il contratto di lavoro a tempo indeterminato sussisteva fin dall’origine.

7. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, denunciando per l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e della L. n. 1369 del 1960, artt. 1 e 3, nonchè difetto di motivazione, i lavoratori sostengono che le ingenti spese per l’impianto non potevano considerarsi mere spese di custodia, bensì spese di esercizio dell’attività commerciale: da ciò, la sussistenza dell’interposizione fin dal gennaio 1995. 8. I ricorsi, essendo soggettivamente ed oggettivamente connessi (proposti contro la stessa sentenza) devono essere preliminarmente riuniti.

9. La pregiudiziale eccezione sollevata dai ricorrenti incidentali (esposta sub "5.") è infondata.

Indipendentemente dalla prevalenza, in caso di discordanza (come nel caso in esame) fra i dati dell’atto restituito a colui che ha chiesto la notificazione e quelli emergenti dalla copia dell’atto consegnato al destinarlo, ai fini della decadenza a carico del primo deve aversi riguardo all’originale a lui restituito (e plurimis, Cass. 14 novembre 1985 n. 5580), la notificazione dell’atto di impugnazione a più parti presso un unico procuratore eseguita mediante consegna d’una sola copia o di un numero di copie inferiori rispetto alle parti cui l’atto è destinato, non è inesistente ma nulla; ed il relativo vizio può essere sanato, con efficacia ex tunc, con la costituzione in giudizio di tutte le parti alle quali l’impugnazione è diretta (Cass. 18 aprile 2003 n. 6333; Cass. Sez. Un. 10 ottobre 1997 n. 9859).

Ciò, nel caso in esame, ove tutte le parti destinatane della notifica si sono ritualmente costituite.

10. Il primo motivo dedotto dalla ******à con il ricorso principale è infondato.

10.a. Oggetto della censura è la ritenuta sopravvivenza dell’efficacia della misura cautelare al fallimento del custode (disposto nel settembre 1994: sentenza, p. 2).

Questa sopravvivenza, in quanto affermata dal primo giudice e non contestata dagli appellanti, avrebbe determinato (secondo quanto sostiene la ******à ricorrente) da un canto il giudicato per difetto di impugnazione (ricorso, p. 20); d’altro canto, in quanto non dedotta con l’appello e tuttavia affermata dal secondo giudice, avrebbe determinato l’extrapetizione della sentenza impugnata.

10.b. Con l’appello i lavoratori avevano invero sostenuto che "il sequestro giudiziario concesso all’AGIP S.p.a. nel 1992 aveva già perso efficacia nel settembre 1994, data della dichiarazione di fallimento della SO.CO.PE. S.n.c." (ricorso in sede di legittimità, p. 16).

La sentenza impugnata ritiene che il fallimento della comodataria SO.CO.PE. ****** non abbia avuto alcuna incidenza nei confronti della misura cautelare, la quale avrebbe perso definitivamente efficacia con la pronuncia di improcedibilità del giudizio di convalida del sequestro (pronunciata nel luglio 1998).

10.c. La cessazione dell’efficacia della misura cautelare (avvenuta con il fallimento della SO.CO.PE. ****** secondo i lavoratori; con la dichiarazione d’improcedibilità del giudizio di convalida, secondo la sentenza impugnata) è stata ritenuta il presupposto (per la determinazione dell’iniziale limite temporale) del rapporto di lavoro dedotto in controversia.

E questo presupposto, dedotto con il ricorso introduttivo ed ignorato dal primo giudice, essendo stato riaffermato dagli appellanti e riconosciuto dal secondo giudice, esclude l’esistenza d’uno spazio di giudicato (della prima sentenza), e di extrapetizione od ultrapetizione (della decisione d’appello).

Ed invero, con la stessa deduzione della cessazione dell’efficacia della misura cautelare, i ricorrenti hanno censurato quanto l’E.N.I. S.p.a. in sede di legittimità sostiene non essere stato censurato (ricorso, p. 15): l’omessa considerazione da parte del primo giudice della "definitiva perdita di efficacia del vincolo cautelare".

In tal modo, il secondo giudice ha affermato, quale presupposto del riconosciuto rapporto di lavoro, la cessazione dell’efficacia della misura cautelare: cessazione che era stata dedotta dagli stessi appellanti.

Il terreno della controversia in sede di legittimità (quale dedotta esorbitanza della sentenza d’appello) è solo il tempo di questa cessazione di efficacia: settembre 1994 (come sostenuto dai ricorrenti ed appellanti) o luglio 1998 (sentenza d’appello).

Ciò si risolve in una differenza temporale dell’inefficacia e della conseguente costituzione del rapporto di lavoro. E, poichè nella deduzione (da parte degli appellanti) del più ampio spazio temporale (anteriore costituzione del rapporto) è da ritenersi compresa (quale minus) anche ogni minor tempo diversamente configurabile (ed il minor tempo ritenuto in sentenza), l’ultrapetizione da parte del giudice non sussiste.

11. Anche il secondo motivo dedotto con il ricorso principale è infondato.

1 La. Su un piano generale è da premettere (come esattamente sostenuto dalla ******à ricorrente) che, nella gestione di impianti di distribuzione di carburanti, i mezzi tecnici (apparecchi di distribuzione ed attrezzature fisse e mobili nonchè gli immobili destinati al ricovero del gestore e degli utenti ed al deposito dei prodotti in confezioni), restano generalmente nella proprietà della ******à; e generalmente affidati in uso gratuito al gestore (come previsto dal D.L. n. 745 del 1970, art. 16, in L. n. 1034 del 1970; D.P.R. n. 1269 del 1971, art. 19).

Di conseguenza, anche se l’impiego di mezzi (capitale, macchine ed attrezzature) forniti dall’appaltante costituisce generalmente elemento presuntivo dell’interposizione (L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, comma 3: e plurimis, Cass. 21 luglio 2006 n. 16788; Cass. 27 gennaio 2005 n. 1676; anche se, come nota la ******à, è da escludere il rilievo di attrezzature di scarsa entità materiale e tecnologica), questa presunzione non opera nell’ipotesi di gestione dell’impianto di distribuzione di carburanti (nei limiti di questa premessa, la censura della ******à è pertanto fondata).

Ai fini dell’accertamento dell’interposizione conserverebbero astratto rilievo altri elementi: il rischio economico assunto dall’impresa, la sua autonomia organizzativa e gestionale nei confronti della committente, l’effettiva direzione dei lavoratori impiegati nell’azienda (e plurimis, Cass. 27 gennaio 2005 n. 1676), nonchè (come esattamente osservato dalla ******à ricorrente ed evidenziato dalla dottrina) l’eventuale apporto, da parte dell’appaltatore, di valore aggiunto (capacità, conoscenze, reti di relazioni tali che senza di essi la prestazione del singolo dipendente avrebbe minor valore produttivo intrinseco).

In questo particolare settore, tuttavia, per il diretto (e tendenzialmente esclusivo) rapporto del materiale gestore con i dipendenti, ai fini dell’accertamento d’una pretesa interposizione fittizia dello stesso gestore, alcuni elementi perdono il proprio determinante significato.

Ed invero, l’estraneità della ******à alla diretta materiale conduzione dell’azienda (la materiale quotidiana relazione con i dipendenti, come la materiale consegna della retribuzione e la stessa materiale gestione contabile dei singoli rapporti, anche sul piano dei contributi previdenziali) è necessaria conseguenza della stessa presenza d’un gestore. Da ciò, la materiale direzione del lavoro da parte dello stesso gestore, e perfino un’autonomia organizzativa e gestionale dell’azienda.

Determinante resta pertanto l’effettiva definitiva riferibilità del (negativo o positivo) prodotto della gestione economica (dell’azienda di distribuzione) al patrimonio del gestore ovvero al patrimonio della ******à petrolifera.

Da questa riferibilità al patrimonio della ******à discende l’assenza di rischi economici per il "gestore" e la riferibilità alla stessa ******à dei rapporti dei singoli lavoratori Ed ove, in questa effettiva riferibilità, come datore dei rapporti compaia il gestore, questi è fittiziamente interposto.

Nella diretta ed esclusiva riferibilità del prodotto economico dell’azienda alla ******à petrolifera, anche il "valore aggiunto" conferito dal gestore (che nel caso in esame non è stato peraltro provato) assumerebbe rilievo sul piano dei rapporti fra gestore e committente: non escluderebbe la riferibilità del rapporto di lavoro dei prestatori alla committente.

11.b. E’ pertanto da affermare quanto segue:

"Nell’ambito del rapporto di lavoro degli addetti ad un impianto di distribuzione di carburanti, ai fini dell’accertamento di un’interposizione del gestore da parte della ******à petrolifera, non è significativa la proprietà dei mezzi tecnici (apparecchi di distribuzione ed attrezzature fisse e mobili nonchè immobili destinati al ricovero del gestore e degli utenti ed al deposito dei prodotti in confezioni), che è generalmente della ******à (con l’uso affidato in cessione gratuita al gestore (D.L. n. 745 del 1970, art. 16, in L. n. 1034 del 1970; D.P.R. n. 1269 del 1971, art. 19).

Nè è significativo l’esercizio di poteri direttivi, che l’eventuale interponente affida necessariamente al gestore (interposto), poichè questi è in diretto materiale rapporto con i dipendenti.

Resta determinante il prodotto economico (positivo o negativo) della gestione; questo prodotto, ove sia direttamente esclusivamente e definitivamente riferibile alla ******à petrolifera, delinea l’interposizione". 11.c. Sul concreto piano della sussistenza del rapporto di lavoro dedotto in controversia, la ******à riporta la valutazione del primo giudice, e richiama la documentazione nonchè l’interrogatorio formale del proprio legale rappresentante e la testimonianza del primo custode, sostenendo che non emergerebbero prove del rapporto.

11.d. Nel caso in esame, il giudicante, attraverso gli elementi istruttori, documentali e testimoniali, deduce che:

– l’AGIP PETROLI S.p.a. gestiva di fatto l’attività attraverso le prestazioni lavorative degli appellanti" (p. 9), con una gestione diretta dell’azienda (p. 11) e la "direzione dell’impianto" (p. 12);

– la ******à aveva la disponibilità dei beni destinati all’esercizio commerciale;

– l’A. non si assumeva alcun rischio di gestione (p. 10);

– l’A. non aveva interesse proprio alla gestione dell’impianto; l’interesse era della ******à;

– i lavoratori erano inseriti nell’organizzazione aziendale, facente capo all’AGIP PETROLI S.p.a. (p. 10);

– solo gli aspetti formali del rapporto di lavoro, come la materiale corresponsione delle retribuzioni, erano riferibili all’ A., il quale costituiva la longa manus della ******à;

– alla ******à era riferibile ogni altro aspetto attinente alla predisposizione ed alla concreta realizzazione del servizio in concessione, ed in particolare la provvista delle ingenti somme occorrenti per la gestione e la retribuzione del personale (p. 12).

Il giudicante ha pertanto accertato che alla ******à era riferibile il bilancio dell’azienda di distribuzione. E questa riferibilità non era limitata al periodo anteriore alla dichiarazione d’improcedibilità del giudizio di convalida (luglio 1998), bensì si protraeva anche successivamente (30 agosto 1999: interrogatorio del legale rappresentante, riportato in ricorso, p. 25).

La specifica censura dedotta dalla ******à (esposta sub "11.c.") resta pertanto inconferente nei confronti del determinante ed incontestato fatto accertato dal giudicante (elementi riferiti dalla stessa ricorrente ******à, e sussistenti anche al 30 agosto 1999: interrogatorio del legale rappresentante, ricorso, p. 25): la ******à aveva "coperto con proprio denaro le perdite di esercizio dell’impianto", provvedendo alla "provvista delle ingenti somme occorrenti per la gestione e la retribuzione del personale, la fornitura dei carburanti e la direzione dell’impianto". 12. Anche il terzo motivo dedotto con il ricorso principale è infondato.

12.a. In ordine alla dedotta censura, su un piano generale è da osservare quanto segue:

"Poichè l’interesse delle parti è fondamento e presupposto nonchè alimento d’ogni giudizio (artt. 100 e 181 c.p.c.), ove una situazione di fatto renda palese l’assenza d’ogni interesse delle parti a coltivare la controversia relativa al disposto sequestro giudiziario d’un bene e sia anche dichiarata l’improcedibilità del giudizio di convalida del sequestro stesso, il sequestro, con l’effettiva (pur non formalizzata) cessazione di tale controversia, diventa inefficace". 12.b. Ciò, nel caso in esame. Il giudicante ha accertato che al sequestro giudiziario, disposto su richiesta dell’AGIP PETROLI S.p.a. nei confronti della comodataria SO.CO.PE. ****** con l’ordinanza del 30 novembre 1992, si era sovrapposta una situazione di fatto poi lungamente protrattasi nel tempo:

– l’AGIP PETROLI S.p.a. aveva riacquistato la piena disponibilità dell’impianto, ed attraverso la relativa gestione aveva instaurato rapporti di lavoro con i lavoratori che ivi prestavano la loro opera;

– il custode dell’impianto ( A.P.) pur provvedendo a materiali operazioni di gestione (quali aspetti formali del rapporto di lavoro, come la materiale corresponsione delle retribuzioni) costituiva la longa manus della ******à;

– la comodataria (********* ******) era fallita; il Giudice delegato aveva segnalato al Curatore l’obbligo di riconsegnare immediatamente il bene in comodato ove non intendesse subentrare nel contratto; ed il Curatore con il proprio comportamento aveva palesata la mancanza d’ogni interesse alla prosecuzione della gestione;

– era pertanto cessata ogni controversia in ordine al possesso del bene.

La sentenza impugnata non intende dare interpretazione analogica dell’art. 669 novies c.p.c.: afferma solo che l’accertata situazione di fatto determina effetti analoghi (perdita di efficacia del provvedimento cautelare) a quelli previsti dall’indicata disposizione.

13. Anche il quarto motivo dedotto con il ricorso principale è infondato.

Da un canto la domanda aveva per oggetto il pagamento "di tutte le retribuzioni mensili maturate dal momento del recesso all’effettiva reintegrazione", pur connesso all’ammontare indicato nell’allegato prospetto retributivo del giugno 1999.

La domanda non assumeva, di per sè, una specificità della determinazione del quantum, che la sentenza (condanna "al pagamento delle retribuzioni dagli stessi non percepite dalla data del licenziamento intimato il 23 giugno 1999") non riconosce.

E’ tuttavia da osservare che la domanda di condanna al pagamento di somme determinate è specificazione della domanda di pagamento di quanto recato da un determinato titolo.

Come il genus, quale base di ogni species che dallo stesso discende, è (nella propria integralità) una parte integrante della struttura della species (che in sè lo contiene, congiuntamente agli ulteriori elementi di specificazione che da quello la differenziano), in egual modo la domanda di condanna al pagamento d’una somma determinata, avendo come implicito presupposto la condanna al pagamento della non quantificata somma recata da un determinato titolo, di questa è specificazione; e nei suoi confronti questa costituisce un minus.

In tal modo, la sentenza che condanni al pagamento d’una somma m non quantificata (recata da un determinato titolo), avendo per oggetto quanto, pur come minus, contenuto nella domanda di condanna al pagamento della somma determinata (quale quantificazione del titolo), non integra un’extrapetizione. E, più generalmente, la decisione del giudice che accoglie la domanda di condanna specifica con una sentenza che pronunci solo la condanna generica non costituisce extrapetizione.

Nè, in assenza della prova degli elementi che consentano la quantificazione (richiesta con la domanda), costituisce un’ultrapetizione.

14. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato. I ricorrenti non indicano alcun autosufficiente (anche ai fini della sua necessaria deduzione nelle sedi di merito) elemento diretto a provare che il P. (quale custode del bene sottoposto a sequestro), esorbitando dalla sua funzione, abbia svolto attività commerciale nell’interesse esclusivo della sua datrice di lavoro.

Nè hanno dedotto alcun autosufficiente elemento (anche ai fini della sua pregressa deduzione nelle sedi di merito) diretto a provare che il provvedimento di sequestro escludesse la gestione del bene da parte del custode.

Per analoghe ragioni anche il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.

15. Il ricorso deve essere respinto. Sussistono giusti motivi (la reciproca soccombenza) per disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; li respinge. Compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Redazione