Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 4/5/2009 n. 10230; Pres. Sciarelli G.

Redazione 04/05/09
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PREMESSO IN FATTO

che, con sentenza depositata l’8 settembre 2005, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza in data 24 novembre 2003 del Tribunale di Termini Imprese, che aveva rigettato la domanda proposta da C.G. con ricorso ex art. 414 c.p.c., di annullamento del licenziamento disciplinare comunicatogli dalla datrice di lavoro Banca Monte dei Paschi di Siena con lettera del (omissis), ricevuta il (omissis) successivo, con le conseguenze di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 come modificato dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 1;

che, al riguardo, i giudici di merito hanno ritenuto la decadenza del ********* dal diritto di impugnare il licenziamento, in quanto la lettera raccomandata che aveva preceduto il ricorso ex art. 414 c.p.c. e con la quale era stato impugnato il licenziamento, sebbene fosse stata spedita dal lavoratore il (omissis), era pervenuta alla società destinataria sette giorni dopo, quindi successivamente alla scadenza del termine perentorio stabilito dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6;

rilevato che avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.G., affidandolo a due motivi;

che ha resistito alle domande la società con un proprio rituale controricorso;

che ambedue le parti hanno depositato una memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c. tutto ciò premesso.

OSSERVA IN DIRITTO

1 – Col primo motivo di ricorso, ****************** deduce l’omessa o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata su di un punto decisivo della controversia.

In particolare, il ricorrente denuncia il carattere meramente apparente e quindi insufficiente della motivazione della sentenza, laddove la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità agli atti unilaterali di natura non processuale spediti a mezzo del servizio postale della regola stabilita (nel dichiarare la parziale illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3) dalla Corte Costituzionale con la sentenza 26 novembre 2002 n. 477, secondo cui gli effetti della notificazione di atti a mezzo posta vanno ricollegati per il notificante al momento della consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario onde evitare che gravino su tale soggetto i rischi conseguenti ad attività, ritardi etc. sottratte al suo controllo e alla sua sfera di disponibilità.

Secondo il ricorrente, in base alla considerazione secondo cui l’esigenza di tutela che sorregge la motivazione della sentenza citata della Corte Costituzionale ricorrerebbe anche nel caso in cui trattasi di comunicazione a mezzo servizio postale di atti non processuali, il cui esito resta anche in tal caso al di fuori delle possibilità di controllo da parte del dichiarante, l’argomentazione con cui la Corte territoriale ha escluso la possibilità di estendere a questi ultimi il medesimo principio, fondata esclusivamente sulla diversa natura, non processuale, degli atti presi in considerazione, concreterebbe una motivazione meramente apparente.

2 – Col secondo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 e art. 1334 cod. civ. in relazione agli artt. 3 e 24 Cost..

L’interpretazione accolta dalla Corte territoriale in ordine alle norme di legge citate contrasterebbe infatti, secondo il ricorrente, con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza citata, conducendo ad una ingiustificata diversificazione quoad effectum della tutela del lavoratore espulso", a seconda che reagisca impugnando giudizialmente o stragiudizialmente il licenziamento e in quest’ultimo caso a seconda che affidi l’impugnazione alla notificazione mediante ufficiale giudiziario che vi provveda avvalendosi del servizio postale oppure alla comunicazione mediante lettera raccomandata affidata al medesimo servizio postale.

Altrettanto erroneamente la Corte d’appello di Palermo non avrebbe, in via subordinata, accolto l’eccezione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle due norme di legge citate ove interpretate nel modo indicato, questione che il ricorrente propone anche in questa sede, in termini di contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto l’impugnazione del licenziamento verrebbe ad essere oggetto di una disciplina differenziata in maniera irragionevole.

Ed infatti l’indicata differenziazione sarebbe fondata unicamente sul tipo di atto e di modalità di comunicazione dello stesso adottati, con conseguente compromissione o comunque aggravio ingiustificato di rischi per il lavoratore in ordine alla possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, nel caso di impugnazione del licenziamento in via stragiudiziale, mediante comunicazione affidata al servizio postale.

Il ricorso riguarda sostanzialmente, in ambedue i motivi in cui è articolato, l’interpretazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 alla luce della disciplina relativa alla efficacia degli atti unilaterali recettizi di cui all’art. 1334 e seg. cod. civ. (la diversa qualificazione del primo motivo di ricorso non sposta i termini del problema, in quanto il vizio di motivazione nella interpretazione della legge si risolve per intero in quello di cui al dell’art. 360 c.p.c., n. 1 sull’argomento, cfr., da ultimo, Cass. S.U. 25 novembre 2008 n. 28054).

Come è noto, la L. n. 604 del 1966 stabilisce che "Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della relativa comunicazione, con qualsiasi scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso." A partire dall’esame del tenore letterale della norma, laddove fa riferimento alla idoneità dell’atto a rendere nota la volontà del lavoratore, ritenuta come evidentemente diretta al datore di lavoro nonchè alla luce delle ragioni della previsione nella materia di una decadenza, in quanto finalizzata alla tempestiva conoscenza dell’impugnazione da parte del datore di lavoro "per salvaguardare fondamentali esigenze di certezza", già le sezioni unite di questa Corte con la sentenza 18 ottobre 1982 n. 5395 avevano optato, nel contrasto che si era determinato all’interno della sezione lavoro, per la natura recettizia dell’atto, con la conseguente applicazione dell’art. 1334 cod. civ., quanto all’efficacia dello stesso.

L’interpretazione delle sezioni unite è stata successivamente seguita da numerose decisioni delle sezioni semplici, quali Cass. 15 maggio 11116, 21 aprile 2004 n. 7625, 21 giugno 2001 n. 8765, 13 luglio 2001 n. 9554, 13 dicembre 2000 n. 15696, 21 settembre 2000 n. 12507, 29 gennaio 1994 n. 899, 6 aprile 1993 n. 4127, 17 marzo 1990 n. 2257 e 2 marzo 1987 n. 2179, sicchè nella materia sembrava essersi ormai formato un orientamento pressochè monolitico.

Nell’ultimo decennio sono state peraltro sviluppate da una parte della dottrina critiche, non solo de iure condendum, in ordine alla ritenuta indifferenza, sul piano della maturazione della decadenza in genere, del verificarsi di ostacoli all’esercizio di un diritto a al raggiungimento di un risultato atteso non dominabili dall’interessato.

A ciò va aggiunto che recentemente la Corte costituzionale, con le pronunce 26 novembre 2002 n. 477,23 gennaio 2004 n. 28 e 12 marzo 2004 n. 97, dichiarando l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3 nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona, per il notificante alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella antecedente di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, ha finito per affermare che il principio della distinzione tra i due momenti di perfezionamento delle notificazioni degli atti processuali, ripettivamente, per il notificante e per il destinatario, è decisivo per l’interpretazione delle altre norme del codice di procedura civile sulle notificazioni.

Tale principio è stato argomentato con il rilievo che in tema di notificazione degli atti processuali gli artt. 3 e 24 Cost.

"impongono che le garanzie di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario si coordino con l’interesse del notificante a non vedesi addebitato l’esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri di impulso", individuando quindi come soluzione costituzionalmente obbligata del relativo coordinamento quella desumibile dal "principio della sufficienza … del compimento delle sole formalità che non sfuggono alla disponibilità del notificante".

Lungo tale direttrice è inoltre recentemente intervenuta una pronuncia della sezione lavoro della Corte (Cass. 4 settembre 2008 n. 22287), la quale, partendo dalla critica dell’orientamento giurisprudenziale consolidato nella materia della idoneità della impugnazione del licenziamento ad impedire la decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6 e valorizzando le possibili ricadute dei principi affermati dalla Corte Costituzionale anche su tale terreno, tanto più in considerazione della particolare rilevanza degli interessi che vi sono coinvolti dalla parte del lavoratore, ha affermato (senza ritenere necessario di proporre una questione di legittimità costituzionale) che dalla L. n. 604 del 1966 è desumibile il principio secondo cui l’impugnazione del licenziamento deve ritenersi tempestiva, impedendo la decadenza di cui alla legge citata, qualora la lettera raccomandata che la contiene sia, entro il termine di sessanta giorni, consegnata all’ufficio postale ed ancorchè essa venga recapitata al destinatario dopo la scadenza di quel termine.

Prima ancora di tale pronuncia (cui si è recentemente uniformata:

Cass. sez. lav. 16 marzo 2009 n. 6335) e nel medesimo spirito, Cass. 19 giugno 2006 n. 14087, nell’interpretare l’art. 410 c.p.c., comma 2 – secondo cui la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo medesimo e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza – ha affermato che la sospensione del termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento si produce col deposito dell’istanza di tentativo di conciliazione contenente l’impugnativa, essendo viceversa irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento della comunicazione da parte dell’ufficio del lavoro al datore di lavoro della data di convocazione per svolgere il tentativo di conciliazione (in precedenza, contra, Cass. 18 ottobre 2005 n. 20153).

Si è così determinato all’interno della sezione di lavoro un conflitto, sollecitato da nuovi orientamenti in dottrina nonchè dalle pronunce della Corte costituzionale citate, su di un tema che appare di particolare importanza sia per la rilevanza degli interessi coinvolti, sia per le possibili ricadute in settori diversi da quello del diritto del lavoro, da cui deriva l’opportunità di una trattazione dello stesso da parte delle sezioni unite di questa Corte.

Si dispone pertanto la trasmissione degli atti al Primo Presidente della Corte, per l’eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite per la risoluzione del contrasto rilevato.

P.Q.M.

La Corte rinvia la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite perchè considerino il divario tra quanto affermato nella sentenza di questa sezione 4 settembre 2008 n. 22287 e l’annosa giurisprudenza di questa Corte relativa alla comunicazione degli atti ricettivi. Rinvia pertanto la causa a nuovo ruolo.

Redazione