Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 1/7/2008 n. 17962; Pres. Mattone S.

Redazione 01/07/08
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 6 novembre 2003 il Tribunale di Palermo respinse i ricorsi con i quali C.S., P.C. e P. M., dipendenti della LABISI CARLO S.n.c. con qualifica di autisti avevano chiesto la dichiarazione dell’illegittimità dei licenziamenti loro intimati con telegramma del 18 maggio 2002 per giustificato motivo oggettivo, con la conseguente condanna della ******à alla reintegrazione ed al risarcimento del danno.

Con sentenza del 23 settembre 2004 la Corte d’Appello di Palermo respinse l’impugnazione.

Afferma il giudicante che:

1. la censura costituita dal fatto che il primo giudice avrebbe fondato il proprio convincimento su elementi di fatto non documentati ma solo labilmente asseriti dalla ******à, è infondata; ed invero, la ******à aveva prodotto in primo grado il modello unico degli anni 2000 e 2001, l’estratto contabile della situazione negli anni 1999, 2000, e 2001, nonchè lo stato patrimoniale ed il conto economico del 2002; da questi elementi emergevano la perdita economica ed il calo delle commesse (la mancata produzione del bilancio preventivo, scrittura non obbligatoria, non limita la prova fornita);

2. "la riduzione delle commesse è stata effettiva ed ha inciso, sotto il profilo causale, sull’organico aziendale, che appariva sovradimensionato";

3. l’utilizzazione di personale dell’officina nelle mansioni dei licenziati, fondata su riorganizzazione del lavoro, costituisce insindacabile scelta datorile;

4. l’impossibilità di adibire i lavoratori ad altre mansioni equivalenti è pacificamente confermata dalle dichiarazioni dei ricorrenti P.M. e P.C., secondo le quali in organico non vi erano posti scoperti.

Per la cassazione di questa sentenza gli indicati lavoratori propongono ricorso, articolato in 5 motivi; la ******************* resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, denunciando per l’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 694, art. 3, i ricorrenti sostengono che:

1.a. il difetto di commesse e contratti, e l’impossibilità di adibire altrimenti il dipendente non sono indici dello stato di crisi, quando manchi una riorganizzazione aziendale; diversamente, ogni perdita di bilancio giustificherebbe il licenziamento;

1.b. nella situazione decisa manca anche la prova "dell’incidenza della posizione svolta dai lavoratori rispetto alla riorganizzazione aziendale, come pacificamente richiesto dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3".

2. Con il secondo motivo, denunciando per l’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 694, art. 3, i ricorrenti sostengono che il licenziamento non può essere giustificato dalla finalità dell’incremento dei profitti; nè è sufficiente giustificazione il ridimensionamento dell’attività:

è da provare la necessità della soppressione dei posti ai quali erano addetti i singoli ricorrenti;

3. Con il terzo motivo, denunciando per l’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 694, art. 3, e degli artt. 115 e 166 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonchè contraddittorietà della motivazione, i ricorrenti sostengono che:

3.a. a giustificare il licenziamento non basta il calo fatturato;

3.b. la perdita di commesse era stata smentita dall’istruttoria effettuata;

3.c. era necessaria non la prova di un’assunta diversa adibizione dei lavoratori, bensì la prova della soppressione del posto di lavoro del singolo dipendente;

3.d. l’ordine di esibizione del foglio servizio giornaliero 2001 e 2002 non era stato ottemperato.

4. Con il quarto motivo, denunciando per l’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, nonchè omessa motivazione, i ricorrenti sostengono che l’ammortamento anticipato presuppone il super sfruttamento del bene strumentale, fatto incompatibile con l’assunta crisi aziendale e la diminuzione del volume di affari.

5. Con il quinto motivo, denunciando per l’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa motivazione, i ricorrenti sostengono che l’acquisto di almeno 10 autobus (Euro 4.000.000) giustifica ampiamente le perdite di bilancio.

6. I motivi, che essendo interconnessi devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

7. Questa Corte ha affermato che:

7.a. "nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento è riconducibile anche l’ipotesi del riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine d’una più economica gestione della stessa, e deciso dall’imprenditore non semplicemente per un incremento del profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo determinante sulla normale attività produttiva, imponendo la riduzione dei costi;

questo motivo oggettivo è rimesso alla valutazione del datore; e la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, essendo espressione della libertà d’iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., non è sindacabile dal giudice, che ha il compito di accertare solo la reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore" (Cass. 2 ottobre 2006 n. 21282);

7.b. ai fini della configurabilità del giustificato motivo oggettivo non è necessario che siano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite (Cass. 2 ottobre 2006 n. 21282; Cass. n. 21121 del 2004; Cass. 15 novembre 1993 n. 11241;

Cass. n. 13021 del 2001; Cass. n. 4670 del 2001);

7.c. il licenziamento per motivo oggettivo e determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva è scelta riservata all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda, anche nel suo aspetto economico ed organizzativo; e, quando la scelta non è simulata o pretestuosa bensì effettiva, non è sindacabile dal giudice quanto alla sua congruità ed opportunità (Cass. 22 agosto 2007 n. 17887).

8. Considerando il diritto datorile di assegnare al dipendente (nei limiti dell’art. 2103 cod. civ.) mansioni equivalenti, è da affermare anche quanto segue.

8.1. Il rapporto di causalità (che nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3, è espresso con la parola "determinato") fra licenziamento ed attività produttiva (od organizzazione del lavoro) coinvolge l’intera struttura aziendale con le sue finalità e le sue conseguenti esigenze. Può pertanto delinearsi anche in relazione a settori diversi da quello cui il lavoratore era assegnato.

L’accertamento, da parte del giudice di merito, dell’incidenza della posizione svolta dal lavoratore licenziato nell’ambito della riorganizzazione aziendale, e limitato allo spazio della natura (non simulata nè pretestuosa bensì) effettiva della scelta datorile, si risolve nell’accertamento del predetto rapporto di causalità.

In quanto accertamento del fatto, l’accertamento di questo rapporto, funzione del giudice di merito, ove sia esente da errori logici o giuridici, in sede di legittimità è insindacabile.

8.2. Nell’ambito della riorganizzazione aziendale determinata da oggettiva situazione di crisi, la scelta datorile, legittima, nel quadro della redistribuzione delle mansioni, anche la conservazione delle mansioni svolte dal lavoratore licenziato, attraverso accorpamento con altre mansioni complessivamente assegnate ad altro lavoratore dell’azienda.

9. Nel caso in esame, il giudicante ha accertato la sussistenza del calo delle commesse e della perdita economica ed il reale conseguente stato di crisi aziendale, nonchè il rapporto causale fra tali fatti ed il sovradimensionamento del personale. A tal fine ha accertato e valutato anche la documentazione aziendale prodotta e la relativa congruità e sufficienza.

La (peraltro contestata) redistribuzione delle mansioni ed i licenziamenti integrano la riorganizzazione aziendale.

E l’accertamento effettuato, esente da errori logici o giuridici, in sede di legittimità è insindacabile.

Sulla base dei principi affermati (sub "7.", "8."), la censura dei ricorrenti, precedentemente riportata sub "1.", oltre che inconferente (nei confronti di quanto accertato), è infondata.

10. Indipendentemente dalla possibilità che l’incremento dei profitti non giustifichi o non giustifichi il licenziamento, nel caso in esame il giudicante ha accertato il rapporto ben diverso fra perdita economica e licenziamenti.

La censura dei ricorrenti riportata sub "2.", e per quanto riferibile a tale fatto, è pertanto infondata.

11. Per quanto attiene all’assunta necessità della prova della soppressione dei posti di lavoro, sulla base dei principi precedentemente affermati (sub. "8.2.") la censura dei ricorrenti (riportata sub. "2.", "3.a.", "3.b.", "3.c.") è infondata.

12. La censura precedentemente riportata sub "3.d. ", poichè i ricorrenti (nella molteplicità dei documenti diffusamente ed analiticamente esaminati dal giudicante: sentenza, pp. 2, 3, 4) non indicano l’idoneità dei predetti documenti a condurre ad una diversa decisione, è inconferente.

13. Le censure precedentemente riportate sub "4.", indipendentemente dall’insufficienza logica (es.: le perdite non sono necessariamente legate ad esposizione bancaria), poichè non è indicata la ragione per cui le stesse (infirmando le articolate argomentazioni della sentenza) siano idonee a condurre ad una diversa decisione, sono inconferenti.

14. Su un piano generale è da affermare quanto segue.

"La necessità dell’azienda di assicurare, ed in elevato grado, qualità e sicurezza del servizio, anche al fine di presentarsi competitiva sul mercato ed evitare perdite, ha fondamento nella stessa esistenza e sopravvivenza dell’impresa. La scelta aziendale fondata su questa necessità rientra pertanto nello spazio della tutela costituzionale (art. 41 Cost.).

Nel caso in esame, l’affermazione del giudicante, per cui l’acquisto dei nuovi mezzi per sostituire veicoli obsoleti costituiva necessità aziendale al fine di presentarsi (con elevato grado di qualità e sicurezza del servizio) competitiva sul mercato ed evitare perdite, essendo esente da errori logici e giuridici, in sede di legittimità è insindacabile.

La censura precedentemente riportata sub "5" è pertanto infondata.

15. Il ricorso deve essere respinto. Ed i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 50,00 oltre ad Euro 1.800,00 per onorario, ed oltre alle spese generali e ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Redazione