Corte di Cassazione Civile sez. V 26/2/2009 n. 4622; Pres. Cicala M.

Redazione 26/02/09
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FATTO

Il sig. B.S. ha impugnato due avvisi di accertamento con i quali il competente ufficio finanziario ha rettificato la dichiarazione dei redditi della Dolciaria del Garba srl, riferita all’esercizio 1989, della quale il B. è stato amministratore fino al (omissis), ed ha conseguentemente contestato che in relazione al maggior reddito accertato non erano state effettuate e versate le ritenute di acconto sugli utili distribuiti ai soci della società, a ristretta base partecipativa.

A sostegno dell’originario ricorso, il contribuente eccepiva vizi di motivazione degli atti impugnati, illegittimità delle pretese fiscali avanzate nei confronti di un ex legale rappresentante e infondatezza nel merito delle pretese stesse.

La commissione tributaria provinciale, previa riunione dei ricorsi, ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione del B., sollevata dall’ufficio, sul rilievo che in quanto destinatario degli atti il contribuente era legittimato ad impugnarli; nel merito, ha accolto il ricorso ritenendo illegittimo l’accertamento effettuato con metodo induttivo.

L’ufficio ha impugnato la decisione di primo grado riproponendo l’eccezione di difetto di legittimazione del B., deducendo tra l’altro che l’ex legale rappresentante della società poteva contestare soltanto il la sussistenza del vincolo dell’obbligazione solidale per il pagamento delle sopratasse e delle pene pecuniarie previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98, comma 6.

La commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’ufficio ritenendo che il B. non fosse legittimato ad impugnare gli atti in contestazione, essendo estraneo alla compagine sociale, che è il soggetto passivo d’imposta: avrebbe potuto far valere eventualmente questa sua estraneità in sede di riscossione.

Avverso quest’ultima decisione ricorre il contribuente con cinque motivi.

L’amministrazione finanziaria dello Stato resiste con controricorso, insistendo nel prospettare la tesi della carenza di legittimazione del B., al quale gli avvisi sarebbero stati notificati "solo per conoscenza… per le sole implicazioni penali ed amministrative" (v. p. 1 dell’odierno ricorso).

DIRITTO

Il ricorso appare fondato in relazione al terzo motivo, assorbiti tutti gli altri motivi, fatta eccezione per il primo, che è infondato.

Infatti, con il primo motivo di ricorso viene denunciata la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, anche sotto il profilo della omessa pronuncia, in quanto la CTR non avrebbe tenuto conto della eccezione di inammissibilità dell’appello dell’ufficio, per mancanza di motivi specifici di impugnazione. Tale censura appare infondata, oltre ad essere formulata in maniera ambigua. In ogni caso, dalla lettura dei brani riportati nel ricorso odierno (p. 5) emerge con chiarezza che i motivi posti a sostegno dell’appello non erano generici, risultando incentrati sulla questione della violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98, che è il tema sul quale, in particolare, si è sviluppata la vicenda processuale. D’altra parte, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza" (Cass. 1224/2007).

Quanto alla censura di omessa pronuncia, la sentenza impugnata si dilunga proprio sulla questione della legittimazione processuale del B., sul merito della quale è incentrato il terzo fondato motivo di ricorso, che va esaminato con precedenza su tutti gli altri.

Con il terzo motivo, infatti, il ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98, comma 6, perchè erroneamente la CTR ha ritenuto che il B. non fosse legittimato ad impugnare gli atti notificatigli, perchè da questi non poteva derivargli alcun pregiudizio.

Giova preliminarmente chiarire che trattasi di avvisi di accertamento notificati il 21.11.1997, vale a dire prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, (operante dal 1 aprile 1998, ai sensi dell’art. 29, dello stesso D.Lgs.) che ha abrogato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 98.

Nel merito, la censura appare fondata. Non è affatto vero che la notifica degli avvisi di accertamento era un atto "indifferente" per il contribuente, tanto più se, come osserva l’Ufficio, l’accertamento notificato alla società era divenuto definitivo. La stessa amministrazione ricorrente riconosce che gli avvisi contestati sono stati notificati al B. per le implicazioni penali ed amministrative. La difesa del contribuente, che all’epoca dei fatti era l’amministratore della società, non può essere limitata al solo profilo della sussistenza del vincolo della obbligazione solidale degli effetti sanzionatori, come erroneamente scrive la CTR, ma può e deve essere estesa a tutti i profili che attengono alla sussistenza delle violazioni contestate, che sono il presupposto dei profili sanzionatori. Il "palo" può difendersi dall’accusa del concorso in furto sia dimostrando di non aver svolto tale ruolo di "sentinella", ma anche dimostrando che il furto non si è verificato.

Il fatto che l’avviso di accertamento non sia stato impugnato da chi aveva la rappresentanza della società quando è stato notificato il relativo atto dimostra che una efficace tutela giudiziaria del B. non può che essere affidata alla sua iniziativa "a tutto campo" rispetto ad atti impositivi che gli andavano comunque notificati. D’altra parte, o il B. veniva chiamato in giudizio come litisconsorte necessario o comunque avrebbe potuto poi formulare tutte le eccezioni utili alla sua difesa, di merito e di rito, rispetto alle contestazioni fiscali anche in sede di riscossione. La mancata impugnazione dell’avviso notificato alla società non lo vincola in alcun modo sul piano delle conseguenze sanzionatorie. Così come non lo avrebbe vincolato l’eventuale giudicato formatosi nei confronti dei destinatari dell’atto di accertamento diretto alla società, in considerazione dei limiti soggettivi del giudicato. D’altra parte, se il B. non avesse impugnato gli atti notificatigli, facendoli diventare definitivi, non avrebbe potuto poi impugnare gli atti successivi, come ad esempio l’iscrizione a ruolo, se non per vizi propri (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3).

In definitiva, l’ufficio non può notificare a proprio piacimento atti impositivi assumendo che siano privi di effetti giuridici e pretendere che il contribuente se ne stia tranquillo "tanto non accade nulla". Ogni atto giuridico produce effetti e se un atto viene definito inutile dallo stesso emittente c’è da chiedersi (a parte i dubbi legittimi sulla sanità mentale e/o idoneità professionale delle persone fisiche responsabili di tali comportamenti) perchè sia stato adottato e notificato, fermo restando gli effetti di danno che può comunque produrre nella sfera giuridica del destinatario, a prescindere dalle intenzioni dell’emittente (in un caso come quello in esame, ad esempio, è evidente che il destinatario degli atti ha la necessità di rivolgersi ad un professionista per verificare se e quali effetti possa produrre un atto definito "innocuo" dalla controparte, anche se poi in ipotesi l’atto si riveli effettivamente innocuo, contrariamente a quanto avvenuto nella specie).

Tutte le altre censure attengono al merito della vicenda e sono quindi assorbite, dovendo eventualmente essere esaminate dal giudice del rinvio.

Conseguentemente, il ricorso va accolto in relazione al terzo motivo, rigettato il primo ed assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice di merito, per il giudizio di appello. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il terzo, assorbiti tutti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Veneto.

Redazione