Corte di Cassazione Civile sez. V 19/2/2009 n. 4003; Pres. Papa E.

Redazione 19/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La C.T.P. di Palermo accoglieva il ricorso proposto dalla s.p.a.

Italkali avverso avviso di accertamento emesso dall’Ufficio II.DD. per l’anno 1993.

La C.T.R. Sicilia accoglieva l’appello col quale l’Agenzia delle Entrate chiedeva l’annullamento della sentenza di primo grado, ad eccezione della statuizione relativa al recupero a tassazione delle fatture relative al servizio di vigilanza, rispetto alla quale non proponeva impugnazione.

In particolare, i giudici della C.T.R. preliminarmente disattendevano l’istanza di sospensione del giudizio formulata dalla società appellata in relazione alla impugnazione con querela di falso dei verbali di costatazione della G.d.F. del (omissis), del (omissis) e del (omissis) dai quali era scaturito il contenzioso in atto, rilevando che (a prescindere dalla perplessità per aver la parte agito dopo molti anni dal momento in cui detti verbali furono resi noti e utilizzati a sostegno della pretesa tributaria, con una iniziativa processuale probabilmente viziata da incompetenza e con un contraddittorio non esteso al presunto autore della falsità), le doglianze contenute nella querela di falso si riferivano in parte ad accertamenti esulanti dal contenzioso in atto e comunque, in generale, non riguardavano la verità storica dei fatti descritti dai verbalizzanti, non essendosi in alcuna parte della querela affermato che la G.d.F. aveva creato documenti o attestato fatti storicamente inesistenti o alterato dati oggettivi, ed essendo state offerte prove non intese a confutare l’esistenza storica dei fatti ma il significato attribuito ai suddetti.

Nel merito, i giudici della C.T.R. esaminavano analiticamente i singoli rilievi e la relativa documentazione, ritenendo condivisibili le ragioni poste dall’Ufficio a base dell’avviso impugnato. Avverso questa sentenza la s.p.a. Italkali propone ricorso per cassazione successivamente illustrato da memoria; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare deve rilevarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, il ricorso è ammissibile e, in particolare, non presenta alcuna carenza nell’esposizione in fatto, posto che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, quando (come nella specie) il contenuto del ricorso consenta nel suo complesso al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (v. SU n. 11653 del 2006).

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 39 e 42, nonchè 221 e 222 c.p.c., la ricorrente afferma: che dalla sentenza impugnata non risulterebbe effettuato il preventivo interpello dell’Agenzia delle Entrate circa la volontà o meno di avvalersi dei p.v.c. impugnati con la querela di falso; che dalla suddetta sentenza non emerge una valutazione sulla rilevanza dei documenti oggetto della querela di falso; che nella valutazione della suddetta querela di falso i giudici della C.T.R. si sarebbero sostituiti al giudice ordinario ritenendo l’irrilevanza ed "inconducenza" della medesima, laddove la competenza a giudicare sulla ritualità di essa, sul suo contenuto, nonchè sulla idoneità dei mezzi di prova offerti, apparterrebbe al giudice dinanzi al quale tale querela è stata proposta; infine che con la querela in questione (della quale viene all’uopo riportata in ricorso parte del contenuto) era stata contestata l’esistenza storica di alcuni fatti affermati nei p.v.c. e non soltanto il significato attribuito a tali fatti e le conseguenze da essi dedotte.

Le censure esposte sono fondate, nei limiti e nei termini di cui in prosieguo.

Giova innanzitutto premettere che la collocazione di un procedimento in stato di quiescenza è valutata dal legislatore con particolare disfavore, al punto di prevedere l’opportunità di un immediato controllo, tramite impugnazione, sull’esistenza dei presupposti in diritto della sospensione, attraverso il regolamento necessario previsto dall’art. 42 c.p.c. (come sostituito dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 6) e che, peraltro, nell’attuale sistema processuale, improntato al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, deve ritenersi necessario un rigore ancora maggiore nella valutazione della sussistenza di ipotesi di sospensione (v. sul punto Cass. n. 4314 del 2008).

Per converso, proprio in ragione del generale disfavore che circonda l’istituto, deve ritenersi che la previsione legislativa di ipotesi "nominate" di sospensione risponda ad esigenze fondamentali e imprescindibili (quale quella di non vanificare la stessa ragion d’essere della giurisdizione attraverso la possibilità di giudicati contrastanti) e quindi che anche la decisione di non sospendere il processo (per ritenuta insussistenza dei relativi presupposti) deve essere improntata ad estremo rigore, dovendo peraltro rilevarsi che detta decisione, a differenza di quella che dispone la sospensione, non può essere autonomamente impugnata (v. tra le altre Cass. n. 19292 del 2005).

In ordine alle censure proponibili con riguardo alla decisione di non disporre la sospensione, la giurisprudenza più risalente riteneva che, trattandosi di valutazione discrezionale, essa non fosse censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione (v. tra le altre Cass. n. 789 del 1969 e n. 683 del 1980), laddove la giurisprudenza più recente ha condivisibilmente affermato che la mancata sospensione del giudizio, nei casi in cui se ne assuma la necessarietà, integra un vizio della decisione, astrattamente idoneo ad inficiare la successiva pronuncia di merito, e, traducendosi nella violazione di una norma processuale, ricade nella previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ed è quindi deducibile con il ricorso per cassazione avverso la sentenza che contenga eventuali provvedimenti sulla sospensione, ovvero ribadisca o modifichi precedenti ordinanze adottate in materia nella fase dell’istruzione della causa, fermo restando che eventuali provvedimenti di sospensione, se positivi, sono autonomamente impugnabili con istanza di regolamento di competenza, ai sensi dell’art. 42 c.p.c. (v. Cass. n. 16992 del 2007).

Tanto premesso in ordine alle modalità di impugnazione della decisione di non ricorrenza dei presupposti per la sospensione obbligatoria e ai vizi denunciabili, occorre ora avere riguardo alla disciplina applicabile.

In proposito, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, dispone che "il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio".

Va innanzitutto rilevato che nella specie non è direttamente rilevante la questione relativa a se la previsione in esame (in quanto specifica, di contenuto diverso rispetto all’art. 295 c.p.c., e relativa ad un rito rispetto al quale il legislatore ha più volte manifestato l’intento di evitare strumentali dilazioni) autorizzi a ritenere (con parte della dottrina) che ogni altra questione pregiudiziale diversa da quelle relative alla querela di falso e allo stato e capacità delle persone può e deve essere decisa dal giudice tributario incidenter tantum, ovvero se (come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità) la norma in esame attenga soltanto ai rapporti tra giurisdizione tributaria ed altra giurisdizione, senza ostare all’operatività, anche nel rito tributario, dell’art. 295 c.p.c..

Tanto premesso, occorre evidenziare che, con specifico riguardo alla querela di falso, la decisione in ordine alla sospensione o meno del procedimento nel quale rilevi l’atto impugnato con la querela resta sicuramente disciplinata soltanto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, senza possibilità di fare riferimento all’art. 295 c.p.c., ed alla giurisprudenza formatasi in ordine a tale norma, disciplinante ipotesi in parte differenti e, in ogni caso, non espressamente contemplante le peculiarità del giudizio tributario. Nè, ai fini della decisione in ordine alla sospensione, può farsi riferimento alle previsioni dell’art. 221 c.p.c. e segg., nonchè art. 355 c.p.c., disciplinanti le diverse ipotesi di querela di falso proposta (in via principale o incidentale) con riguardo a procedimento pendente dinanzi al tribunale o alla Corte d’appello.

Pertanto, a prescindere da ogni altra considerazione circa l’interesse alla proposizione di simile doglianza, deve escludersi che la sentenza impugnata sia viziata, come erroneamente ritenuto dal ricorrente, per non avere i giudici della C.T.R., dopo la presentazione della querela, accertato l’intenzione della parte che aveva prodotto il documento di avvalersene in giudizio (previsione contenuta nell’art. 222 c.p.c., peraltro con riguardo alla sola ipotesi di querela di falso proposta in via incidentale).

Accertato quindi che la decisione in ordine alla sospensione o meno del processo tributario in caso di proposizione di querela di falso va assunta sulla base della sola previsione del citato D.Lgs. n. 56 del 1992, art. 39, occorre subito chiarire che, come già rilevato, la norma in questione si limita a prevedere che "il processo è sospeso quando è presentata querela di falso", senza tuttavia che la mancanza di ogni riferimento alla pregiudizialità della decisione, richiamata invece dalla medesima norma con riguardo alle questioni sullo stato o la capacità delle persone, possa assumere particolare rilievo interpretativo, posto che il requisito della pregiudizialità è da ritenersi sicuramente assorbito da quello della rilevanza, nell’ambito della controversia tributaria della cui sospensione si discute, dell’atto impugnato con la querela di falso.

Da una rigorosa interpretazione della norma in esame, anche in ragione della lapidarietà e completezza della previsione, è pertanto da ritenersi che i soli presupposti per la sospensione del processo tributario in caso di proposizione di querela di falso siano la presentazione di (rituale) querela e la rilevanza (per la decisione della controversia che dovrebbe essere sospesa) dell’atto colpito dalla suddetta querela.

In particolare, occorre ulteriormente specificare che la valutazione circa la ritualità deve essere estrinseca e formale e limitarsi alla considerazione della riconoscibilità o meno della proposta querela come atto di impulso processuale del tipo ipotizzato (rilevando in proposito, ad esempio, casi di querela mancante di sottoscrizione o rivolta a soggetto diverso dall’autorità giudiziaria), dovendo escludersi che il giudice tributario possa compiere una valutazione più pregnante (ad esempio con riguardo alla competenza territoriale del giudice adito o all’integrità del contraddittorio), sia perchè un tale sindacato non è previsto dalla norma in questione, sia perchè tale tipo di valutazione spetta, nella specie, ad un giudice non solo diverso ma anche appartenente a diversa giurisdizione.

Nella stessa ottica e per le medesime ragioni deve inoltre escludersi che il giudice tributario ai fini della sospensione del processo possa (o debba) compiere un giudizio sommario e prognostico circa la validità e fondatezza della querela (quasi una sorta di accertamento del relativo "fumus boni iuris") e, in particolare, che possa (o debba) valutare l’idoneità dei mezzi di prova offerti, astrattamente considerati – ossia indipendentemente dal loro esito -, a privare di efficacia probatoria il documento impugnato.

Quanto all’ulteriore presupposto della rilevanza del documento impugnato con querela di falso ai fini della decisione della controversia che dovrebbe essere sospesa (ossia della sua potenziale attitudine ad incidere sulla statuizione nel merito – v. Cass. n. 4310 del 2002), occorre precisare che quando, come nella specie, la querela non colpisca il documento nella sua interezza, il giudizio di rilevanza deve essere effettuato specificamente e analiticamente per ciascun passaggio di ciascun atto denunciato di falso.

Nella specie, dalla sentenza impugnata non risulta che i giudici della C.T.R. abbiano espressamente e specificamente effettuato una analitica valutazione della rilevanza, ai fini del decidere, delle singole parti dei diversi atti colpite dalla querela, avendo i suddetti giudici effettuato piuttosto e soprattutto una operazione logica differente (pur se in parte, e indirettamente, incidente anche sulla rilevanza) consistente nell’esaminare (peraltro in maniera non esplicitamente esaustiva, e in ogni caso sommaria), la natura dei singoli dati emergenti dalle specifiche parti dei vari atti colpite dalla querela per valutare se essi siano assistiti da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., e perciò denunciabili con querela di falso.

Come è evidente, trattasi di operazione logica diversa dalla valutazione di rilevanza dell’atto (o della parte di esso) denunciato di falso, pur potendo un giudizio di irrilevanza ricavarsi anche da tale operazione, benchè solo in parte, indirettamente e a posteriori.

Peraltro, considerato che il falso può attuarsi attraverso differenti modalità – anche di tipo omissivo -, deve precisarsi che quando, come nella specie, la querela riguardi più atti pubblici, ciascuno dei quali composito ed articolato, senza investire i suddetti atti nella loro totalità (ad esempio con riguardo alla provenienza da pubblico ufficiale ovvero all’identità e/o alla sottoscrizione delle parti comparenti), ma singoli passaggi dei medesimi, l’individuazione della natura dei dati emergenti dalle parti di atto colpite dalla querela comporta un’attenta e spesso complessa attività interpretativa sia degli atti impugnati che della stessa querela, attività non prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, e in ogni caso spettante solo al giudice competente a decidere sulla querela.

Deve infatti evidenziarsi che la giurisprudenza prevedente un più intenso sindacato in ordine alla proposta querela (e al suo contenuto) da parte del giudice che deve decidere sulla sospensione si è formata inizialmente con riguardo, nella maggior parte dei casi, a querele proposte in via incidentale, ossia dinanzi al medesimo giudice cui è devoluta la decisione sulla sospensione e disciplinate da norme di tenore ben diverso dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39 (cfr. l’art. 222 c.p.c., che, ad esempio, fa esplicito riferimento a mezzi istruttori idonei); tale giurisprudenza è stata poi estesa, in maniera tralaticia, alle diverse ipotesi di querela proposta in via principale (ma comunque concernenti atti rilevanti in procedimenti proposti dinanzi al giudice ordinario), e non può certamente essere ulteriormente estesa ad ipotesi, esaustivamente disciplinate da diversa normativa, in cui, attesa la devoluzione della decisione sulla querela non solo ad un giudice diverso da quello della sospensione ma anche appartenente a diversa giurisdizione, non troverebbe alcuna giustificazione un sindacato sulla querela da parte del giudice della sospensione che si configuri come più incisivo di un semplice controllo ab externo, di carattere meramente formale ed estrinseco e giammai tracimante nel merito, giacchè, diversamente opinando, si finirebbe per negare in radice la stessa ragion d’essere della prevista sospensione necessaria, in quanto, pur affermandosi che il giudice del processo nel quale rilevi un atto impugnato di falso non può conoscere neppure incidentalmente della relativa querela ma deve necessariamente sospendere il processo in attesa della decisione assunta da altro giudice, si autorizzerebbe pur sempre una sorta di decisione incidentale – dagli ampi ed incerti confini – sulla querela stessa (sia pure a carattere preventivo e sommario) da parte di un giudice diverso da quello chiamato a decidere sulla medesima, lasciando quindi che la sospensione, prevista come necessaria, resti condizionata dagli esiti di tale decisione.

In tali termini e limiti, pertanto, il motivo in esame deve essere accolto, restando conseguentemente assorbiti gli ulteriori otto motivi di ricorso.

In relazione all’accoglimento del suddetto motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che provvederà a decidere la controversia facendo applicazione del seguente principio di diritto: "I presupposti per disporre la sospensione del processo tributario in relazione alla proposizione di querela di falso sono desumibili esclusivamente dall’esegesi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, e vanno identificati nella presentazione di rituale querela di falso e nell’accertata rilevanza dell’atto impugnato con tale querela ai fini della decisione della controversia che dovrebbe essere sospesa; quanto al primo presupposto, la valutazione della ritualità deve essere di tipo estrinseco e formale, limitata alla riconoscibilità o meno della querela proposta quale atto di impulso processuale del tipo ipotizzato, dovendo escludersi che il giudice tributario possa o debba compiere una valutazione della validità della querela ovvero un giudizio sommario e prognostico circa la fondatezza della medesima (quasi una sorta di accertamento del "fumus boni iuris") e, in particolare, che possa o debba valutare l’idoneità dei mezzi di prova offerti a privare di efficacia probatoria il documento impugnato, sia perchè tale pregnante sindacato non è previsto dalla norma in questione, sia perchè esso spetta al giudice competente a decidere sulla querela, che è giudice non solo diverso, ma anche appartenente a diversa giurisdizione; quanto al secondo presupposto, la rilevanza, nel giudizio da sospendere, del documento o delle parti di esso impugnate con querela di falso va accertata in maniera analitica e specifica, dovendo escludersi che una simile valutazione possa essere condotta in maniera sommaria ovvero possa essere surrogata dalla valutazione (ontologicamente diversa) concernente la "natura" dello specifico dato del quale si denunci la falsità (per escludere che si tratti di circostanza assistita da fede privilegiata e perciò denunciabile con querela di falso), essendo peraltro da rilevare che tale diversa valutazione potrebbe comportare (in relazione alle differenti modalità anche di tipo omissivo – attuative del falso ed alla possibilità che la querela riguardi più atti pubblici, ciascuno dei quali composito ed articolato, senza investirli nella loro totalità) una complessa attività interpretativa sia degli atti impugnati che della stessa querela, non richiesta dall’art. 39 cit., in esame ed in ogni caso spettante solo al giudice competente a decidere sulla querela medesima".

Al giudice del rinvio è rimessa altresì la decisione in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie nei sensi di cui in motivazione il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Sicilia.

Redazione