Corte di Cassazione Civile sez. V 16/2/2007 n. 3678; Pres. PRESTIPINO Giovanni, Est. SCUFFI Massimo; B.F. c. Ministero dell’Economia e delle Finanze

Redazione 16/02/07
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Svolgimento del processo
Avverso silenzio-rifiuto su istanze di rimborso Irap per le annualita’ 1998, 1999, 2000 proponeva ricorso F.B. allegando di esercitare la professione di avvocato nella sua abitazione senza dipendenti o collaboratori, utilizzando beni strumentali di uso comune indispensabili per la sua attivita’ e senza investimento di capitali.
Il ricorso veniva rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Modena con sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale di Bologna che respingeva l’appello della contribuente nonostante costei ribadisse di difettare di autonoma organizzazione con conseguente diritto al rimborso dell’Irap anche alla luce dei criteri indicati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 156/2001.
I giudici di secondo grado, peraltro, ritenevano che con l’utilizzo del concetto di autonoma organizzazione il legislatore avesse inteso escludere dall’ambito di applicazione dell’Irap solo quelle attivita’ svolte con coordinamento e controllo da parte di terzi quali le collaborazioni coordinate e continuative ed i lavori occasionali, nel mentre nel caso dell’avvocato l’attivita’ prestata a favore dei clienti veniva posta in essere con regolarita’, stabilita’, sistematicita’, ripetitivita’ di atti economici coordinati e finalizzati al conseguimento di uno scopo, in tal modo realizzandosi il requisito della autonoma organizzazione.
Ricorre per la cassazione della sentenza la contribuente denunziando – con motivo unico – violazione degli artt. 2 (presupposto di imposta) e 3 (soggetti passivi) del D.Lgs. n. 446/1997 relativamente alla ritenuta soggettivita’ passiva ai fini Irap della ricorrente, titolare di reddito autonomo ed esercente la professione di avvocato senza avvalersi ne’ di lavoro ne’ di capitale altrui.
Assume – innanzi tutto – l’errata impostazione della sentenza nel delineare l’ambito soggettivo di operativita’ dell’imposta posto che chi esercitava attivita’ lavorativa indirizzata, controllata e coordinata da altri non era fiscalmente un lavoratore autonomo ma un titolare di reddito di lavoro dipendente (art. 49 del Tuir) da sempre escluso dall’assogettamento al tributo.
Rileva che l’oggetto dell’Irap e’ costituito dal valore aggiunto costituito dalla differenza tra potenzialita’ produttiva del lavoratore autonomo che poteva contare solo su se stesso e potenzialita’ produttiva del lavoratore autonomo coadiuvato da prestazioni lavorative e/o disponibilita’ finanziarie altrui, occorrendo separare la capacita’ produttiva del singolo professionista dalla capacita’ produttiva della struttura (intesa come combinazione di uomini, macchine, materiali).
Richiama la sentenza della Corte Costituzionale (n. 156/2001) che aveva ipotizzato la possibilita’ di un’attivita’ professionale svolta – ancorche’ con abitualita’ – in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui rimettendone la verifica al giudice del merito e mette in luce l’equivoco in cui era caduta la risoluzione n. 32/E del 2002 dell’Agenzia centrale delle Entrate la quale aveva malamente interpretato la pronunzia della Consulta ritenendo che il giudice delle leggi avesse inteso esonerare dall’Irap solo i collaboratori coordinati e continuativi e le prestazioni di lavoro occasionali.
Ribadisce che l’imposta colpisce tendenzialmente non il reddito personale del contribuente ma quello realizzato con l’impiego di prestazioni lavorative e/o capitali altrui, cioe’ il VAP prodotto dall’autonoma organizzazione che nel caso di specie era completamente assente.
Resiste con controricorso l’Amministrazione finanziaria replicando che il fatto che il contribuente prestasse la propria attivita’ avvalendosi di beni strumentali minimi e/o non utilizzando l’opera di dipendenti o terzi collaboratori non escludeva il presupposto impositivo sussistente per la sola "autonomia" nell’organizzare tempi e modalita’ di svolgimento della propria attivita’.

Motivi della decisione
Il ricorso e’ fondato in tutte le sue articolazioni per le ragioni di seguito esposte che debbono prendere le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 21 maggio 2001.

1. Tale pronunzia – come e’ noto – ha affermato la conformita’ dell’Irap al principio di capacita’ contributiva (art. 53 della Costituzione) riconoscendo la non irragionevolezza della scelta del legislatore nell’individuare quale indice rilevatore di ricchezza tassabile il valore aggiunto prodotto (VAP) dalle attivita’ autonomamente organizzate, cioe’ la ricchezza novella creata dalla singola unita’ produttiva sia essa di carattere imprenditoriale che professionale.

2. La Consulta – nel respingere tutte le prospettate questioni di illegittimita’ costituzionale della normativa Irap (D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446) – ha peraltro precisato che, mentre l’elemento organizzativo e’ connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non poteva dirsi per l’attivita’ di lavoro autonomo, ancorche’ svolta con carattere di abitualita’, potendosi ipotizzare una attivita’ professionale esercitata in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui.
Ha cosi’ concluso che laddove difettassero tali elementi (accertamento questo di mero fatto rimesso al giudice del merito) veniva a mancare il presupposto stesso dell’imposta derivandone la sua inapplicabilita’.

3. Il passo della sentenza si riferisce alle attivita’ di lavoro autonomo svolte dai soggetti passivi che, ai sensi dell’art. 49, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986, esercitano l’attivita’ per professione abituale ancorche’ non esclusiva, essendo esentati dall’imposizione – alla luce dell’art. 3, lettera c), del D.Lgs. n. 446/1997 che non ne fa menzione – i produttori di redditi che ricadono nei commi 2 e 3 dell’art. 49, in particolare coloro che si impegnano in attivita’ di lavoro autonomo occasionale o saltuario ovvero che si inquadrano in rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

4. Il circoscrivere l’esenzione dall’Irap solo a queste ultime categorie – come vorrebbe l’Amministrazione finanziaria – non e’ dunque esatto, perche’ e’ lo stesso legislatore ad avere espressamente escluso tali attivita’ dal raggio di azione del tributo e dunque ad esse non certo poteva alludere la pronunzia costituzionale quando ha rimesso al giudice del merito la verifica fattuale del contenuto organizzativo delle attivita’ di lavoro autonomo evidentemente da ricollegare a quello unico o preso in considerazione dall’art. 49, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986.

5. L’inciso di motivazione con cui la Corte condiziona l’applicabilita’ dell’Irap – per i lavoratori autonomi – alla ricorrenza degli elementi organizzativi di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 ha una propria valenza ermeneutica ancorche’ non sia propriamente contenuto in una sentenza interpretativa di rigetto (la quale postula la reiezione della questione in conseguenza dell’attribuzione di un certo significato alla disposizione di legge censurata come il solo conforme ai principi della carta fondamentale).

6. La Corte Costituzionale non puo’, infatti, effettuare una lettura della norma non coerente con i principi costituzionali che entrano in gioco nella sua delibazione cosi’ come, di fronte alle possibili interpretazioni della disposizione legislativa, l’operatore giuridico e’ sempre tenuto a far prevalere quella che consente di adeguare la norma primaria alla regola costituzionale che ne rappresenta il parametro di validita’.

7. Vero e’ che l’interpretazione che, di una norma sottoposta a scrutinio di costituzionalita’, offre la Corte Costituzionale in una sentenza di non fondatezza non costituisce un vincolo per il giudice successivamente chiamato ad applicare quella norma; ma e’ altrettanto vero che quella interpretazione, se non altro per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, rappresenta un fondamentale contributo ermeneutico che non deve essere disconosciuto senza l’esistenza di una valida ragione.
Infatti, qualora una determinata materia venga sottoposta al vaglio sia della Corte Costituzionale che della Corte di Cassazione, "il fondamento comune delle due distinte attivita’, finalisticamente diverse, esige che, al fine dell’utile risultato della certezza del diritto oggettivo, le interpretazioni non vengano a divergere se non quando sussistano elementi sicuri per attribuire prevalenza alla tesi contraria a quella in precedenza affermata" (Cass., SS.UU.. n. 2175/1969; vd., pure, SS.UU., n. 22601/2004).

8. Che l’organizzazione autonoma sia requisito indefettibile per l’assoggettamento del reddito cosi’ prodotto all’Irap si evince ancora dall’inserimento postumo della corrispondente dizione nell’originario dettato normativo che in allora richiamava tra i soggetti passivi del tributo gli esercenti le professioni intellettuali che a sensi dell’art. 49, comma 1, del Tuir possedessero il requisito dell’abitualita’, senza operare alcuna distinzione tra attivita’ non organizzata ed attivita’ organizzata.
Il concetto di autonomia organizzativa e’ stato infatti introdotto con le disposizioni correttive ed integrative contenute nel D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137 che – nell’intento di assicurare maggior chiarezza ai contribuenti nella fase di prima applicazione del tributo e, al contempo, meglio precisarne la portata in rispondenza ai criteri indicati dal legislatore con la legge di delega (23 dicembre 1996, n. 662) prevedenti la tassazione solo in relazione "all’esercizio di un’attivita’ organizzata per la produzione di beni o servizi" (ivi comma 144) – ha inserito nel testo la specificazione che la attivita’ doveva essere "autonomamente organizzata".

9. Va segnalato che la relazione illustrativa al decreto correttivo, rispondendo alle osservazioni formulate nel parere della Commissione parlamentare, faceva rilevare che le modifiche apportate agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997, riguardanti il presupposto e i soggetti passivi Irap, intendevano rafforzare, dal punto di vista sistematico, la costruzione del tributo chiarendo che il presupposto andava ricercato nell’esercizio di attivita’ produttive "autonomamente organizzate" derivandone un piu’ stretto e organico collegamento con l’individuazione dei soggetti passivi, che pur restava quella gia’ formulata nell’art. 3.
Veniva altresi’ spiegato che il motivo dell’esclusione, dai soggetti passivi, dei collaboratori che svolgevano attivita’ coordinata e continuativa assimilabile a quella del lavoratore autonomo era spiegabile nel fatto che il prodotto di tale loro attivita’ era si’ da ricomprendere nella base imponibile, ma non in capo a loro, bensi’ in capo al soggetto che si avvaleva della loro opera e "organizzava" la loro attivita’.

10. Stante la natura di questi chiarimenti rivenienti la loro fonte nella legge delega e diretti a fornire maggiore aderenza delle disposizioni delegate a tale ratio, non vi ha dubbio che la suddetta interpolazione abbia voluto corroborare autenticamente la correlazione della tassazione Irap a quel connotato oggettivo ed autonomo che deve comunque coesistere con la figura del soggetto passivo per la produzione di materia imponibile.

11. Anche sotto questo aspetto perde cosi’ valore la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 31 gennaio 2002, n. 32/E il cui contenuto – ripreso dalla circolare n. 141/E del 4 giugno 1998 e spesso trasfuso negli scritti difensivi dell’Amministrazione davanti ai giudici tributari (come nel caso di specie) – intenderebbe ravvisare il presupposto impositivo in tutte le attivita’ di lavoro autonomo esercitate a sensi dell’art. 49, comma 1, del Tuir (cioe’ con abitualita’) con esclusione delle sole fattispecie assimilate che si inquadrano nell’organizzazione altrui, cioe’ i rapporti collaborativi (art. 49, comma 2, lettera a ovvero il lavoro occasionale, cioe’ quello non esercitato abitualmente (art. 81, comma 1, lettera l.
Inoltre, come gia’ si e’ detto, l’assumere che l’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione coincida solo con quella "mancanza di impiego di mezzi organizzati" cui allude il testo del Tuir nel riferirsi alle attivita’ professionali espletate a favore di terzi nell’ambito di un rapporto unitario e continuativo con retribuzione periodica prestabilita, significa ridurre la portata dell’espressione indicata nell’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 a mera evocazione di un principio gia’ dal legislatore specificato per quella tipologia.

12. Il criterio dell’autonomia organizzativa deve invece costituire regola generale da adottare al cospetto di ogni ipotesi di lavoro autonomo-professionale non esercitato in forma di impresa (poiche’ anche il professionista intellettuale o l’artista puo’ diventare imprenditore a sensi e nei limiti indicati dall’art. 2238 del codice civile) posto che – in coloro che quelle attivita’ abitualmente svolgono e gestiscono – il fattore organizzativo non e’ connaturato – come nell’impresa – alla persona fisica.

13. La Corte Costituzionale sul concetto di autonoma organizzazione – presupposto impositivo degradato a questione di fatto rimessa alla verifica del giudice del merito – non ha indicato cosa si debba realmente intendere con tale locuzione, in particolare nulla esprimendo sulla relazione che deve intercorrere con l’organizzatore e rinviando puramente alla nozione obiettiva di un "coinvolgimento coordinato" di capitale o lavoro altrui da accertare di volta in volta nelle singole fattispecie.

14. Le Commissioni tributarie provinciali e regionali, investite di un contenzioso imponente sull’interpretazione di questo dato suscettibile – secondo il suo atteggiarsi – di legittimare o negare la pretesa fiscale, hanno sul punto creato un vero e proprio diritto vivente ancorche’ non del tutto omogeneo.
Va premesso che la giurisprudenza elaborata negli ultimi anni dai giudici di secondo grado ha determinato una drastica contrazione dell’area di inapplicabilita’ dell’Irap nei primi tempi estesa dalle giurisdizioni di primo grado anche a categorie ontologicamente estranee a quelle di lavoro autonomo, uniche incise dal dictum della Consulta, quali gli agenti di commercio (rientranti nel paradigma dell’art. 2195 del codice civile richiamato dall’art. 51 del Tuir) e le societa’ di persone minime coinvolti nella diversa vicenda inerente all’Ilor che aveva portato la Corte Costituzionale (sent. n. 86/1986) e quindi il legislatore (L. n. 408/1990) ad escludere dalla tassazione i relativi redditi di impresa ove assimilabili a quelli di lavoro autonomo per prevalenza della componente lavoro (o familiare) su quella patrimoniale.

15. Invero per le imprese (nelle quali vanno fiscalmente inquadrati anche i soggetti che operano in contabilita’ semplificata redigendo il Quadro G della dichiarazione dei redditi) il requisito dell’autonoma organizzazione e’ intrinseco alla natura stessa dell’attivita’ svolta (art. 2082 del codice civile) e dunque sussiste sempre il presupposto impositivo idoneo a produrre VAP tassabile.
A maggior ragione per le societa’ per le quali l’attivita’ esercitata e’ dalla legge presunta iuris et de iure costituisce presupposto di imposta (art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997).
Del resto la stessa Corte Costituzionale, nella citata sentenza del 2001, non ha affatto ricollegato tale requisito alla sola realizzazione di ricchezza tramite un’organizzazione in forma imprenditoriale ma anzi ha riconosciuto – rispetto all’attivita’ di lavoro autonomo in cui la prestazione personale del contribuente e’ di norma essenziale – la possibile ricorrenza del requisito organizzativo in termini propri e distinti da quelli caratterizzanti l’impresa.

16. Tre sono gli orientamenti principali che – pur con qualche sfumatura – si fronteggiano nel panorama giurisprudenziale italiano.
A) Un primo orientamento – per cosi’ dire massimalista – ritiene che l’Irap sia sempre dovuta dal lavoratore autonomo (salvo nelle ipotesi espressamente escluse dal legislatore) perche’ l’autonomia dell’organizzazione si identifica con l’abitualita’ stessa della professione che non puo’ prescindere dalla stabilita’ e programmazione nel tempo delle energie intellettuali impiegate per acquisire clientela, ottenere credito, competere sul mercato con legittime iniziative frutto di una personale organizzazione che non puo’ mai mancare.
B) Un secondo orientamento – minimalista – esclude l’assogettabilita’ ad Irap per i professionisti esercenti una professione "protetta" che esige l’iscrizione all’albo e non puo’ mai spersonalizzarsi per il rapporto fiduciario (intuitus personae) che lega il prestatore al cliente ed impedisce che la predisposta struttura di risorse umane e materiali sia in grado di funzionare indipendentemente ed autonomamente dal suo intervento.
Per quanto valore e consistenza possa rivestire l’organizzazione dello studio nel potenziamento del lavoro professionale e dei profitti che ne conseguono, la prestazione d’opera intellettuale resterebbe – secondo questo indirizzo – infungibile ed insostituibile: dunque non si potrebbe mai parlare di autonomia organizzativa distinta dalla prestazione personale.
C) Un terzo orientamento – intermedio – ritiene che l’Irap vada applicata nei casi in cui il lavoro autonomo-professionale – quale esso sia – si avvalga di una significativa o non trascurabile organizzazione di mezzi od uomini in grado di ampliarne i risultati profittevoli, atteggiandosi come contesto potenzialmente autonomo rispetto all’apporto personale rivolto ad un ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo.
Lo svolgimento di una libera professione, come quella di medico, avvocato, commercialista, ragioniere, geometra, consulente, eccetera – secondo questa tesi – si collocherebbe al di fuori dell’area di applicazione dell’Irap a condizione che il professionista operi con un minimo di mezzi materiali ma senza l’ausilio di dipendenti, collaboratori e procuratori di ogni tipo, esterni od interni e consistenti beni strumentali.

17. Ritiene la Corte che sia quest’ultimo, in realta’, l’indirizzo che piu’ si attaglia alla ratio impositiva alla luce del ricordato intervento costituzionale.
Non la tesi della autoorganizzazione (A) fatta propria dall’Amministrazione finanziaria ed espressa nelle richiamate circolari e risoluzioni confutate nei precedenti paragrafi che vorrebbe assoggettabili ad Irap praticamente tutti i titolari di partita *** ad esclusione delle collaborazioni coordinate e continuative e dei lavoratori occasionali.
Neppure la tesi (B) che si basa su di un concetto "qualitativo" di autonoma organizzazione che prescinde dalla dimensione e natura del supporto strumentale del professionista incapace di funzionare autonomamente e di "sganciarsi" dalla sua figura ed intuitus personale: dal che deriverebbe una generalizzata esclusione dall’Irap per tutte le categorie professionali "protette", dotate o meno di organizzazione.
Invero la Consulta – con la piu’ volte citata sentenza n. 156/2001 – non ha affatto negato la sussistenza del presupposto impositivo in capo ai lavoratori autonomi ed ai professionisti per la presenza di un prevalente aspetto di intuitus personae o di rilevanza primaria della prestazione personale svolta, ma ha semplicemente affermato che il risultato produttivo di un professionista puo’ essere o meno influenzato dalla quantita’ e dalla qualita’ dei fattori (capitale e lavoro) che impiega a quello scopo.

18. Va invece condivisa la tesi (C) che legittima l’imposizione solo al cospetto di una struttura organizzativa "esterna" del lavoro autonomo e cioe’ quel complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera attivita’ intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how.
La ricchezza prodotta dall’impiego coordinato delle proprie facolta’ mentali, attitudini e spirito di iniziativa costituisce profitto esclusivamente derivante dalla capacita’ del professionista che come tale non puo’ essere ritassato dopo aver scontato l’Irpef quale reddito di lavoro autonomo.
E’ invece il surplus di attivita’ agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista nelle incombenze ordinarie ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttivita’ autoorganizzata del solo lavoro personale.
E’ questo il "differenziale" che rimanda ad un’organizzazione di capitali o lavoro altrui affiancata al lavoratore autonomo ma da lui distinta (sia sostituibile o meno) e che interagisce nella produzione del profitto riconducibile all’organizzazione in quanto tale e non al singolo suo componente.
Il presupposto impositivo avvince cosi’ con carattere di realita’ un fatto economico diverso dal reddito comunque espresso dalla capacita’ di contribuzione in capo a chi e’ autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta dai vari elementi che – in varia misura – concorrono alla sua formazione.
Il tributo – in altre parole – colpisce una capacita’ produttiva "impersonale ed aggiuntiva" rispetto a quella propria del professionista perche’, se e’ innegabile che l’esercente una professione intellettuale concepisce il proprio lavoro con il contributo determinante della propria cultura e preparazione professionale, producendo in tal modo la maggior parte del reddito di lavoro autonomo, e’ altresi’ vero che quel reddito complessivo spesso scaturisce anche dalla parte aggiuntiva di profitto che deriva dal lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto, eccetera.
Come del resto precisato nella relazione sul progetto di federalismo fiscale del marzo 1995 (richiamante al riguardo le fondamentali teorie economiche di Studenski) che ha preceduto la relazione al decreto legislativo sull’Irap del 1997, la potenzialita’ economica e’ espressa dal coordinamento, organizzazione e disponibilita’ dei fattori di produzione, sintomatica di una capacita’ contributiva, associata al business e dunque "separata ed autonoma" rispetto alla capacita’ contributiva personale del businessman.
Tanto e’ vero che le componenti passive della base imponibile sono computate nel calcolo del volume di affari assoggettato ad Irpef mentre restano irrilevanti quei costi (interessi passivi e spese per il personale dipendente ex art. 8 del D.Lgs. n. 446/1997) in relazione all’Irap, quale naturale conseguenza della scelta di un indice di commisurazione della capacita’ contributiva (VAP) diversificato da quello utilizzato per la determinazione del reddito.

19. Circa l’individuazione degli elementi destinati ad assumere in concreto rilevanza nella definizione del contesto organizzativo ai fini dell’imposizione Irap, essi andranno per lo piu’ rinvenuti in negativo escludendosi il requisito occorrente a far scattare la soggettivita’ passiva di imposta quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nella autoorganizzazione del professionista o comunque l’organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessita’ di coordinamento (in genere pochi mobili d’ufficio, fotocopiatrice, fax, computer, cellulare, materiale di cancelleria, vettura).
Esemplificativamente il giudice del merito potra’ ricercare i dati di riscontro del presupposto impositivo attraverso l’autodichiarazione del contribuente ovvero la certificazione dell’Anagrafe tributaria in possesso dell’Amministrazione finanziaria, soffermandosi sul dettaglio riportato nelle pertinenti sezioni del Quadro RE (riguardante la determinazione del reddito di lavoro autonomo ai fini Irpef) che specifica la composizione dei costi (righi da 6 a 18) riportando – tra gli altri – le quote di ammortamento dei beni strumentali (con tipologia ricavabile dal registro dei cespiti ammortizzabili o dal registro dei pagamenti), i canoni di locazione finanziaria e non, le spese relative agli immobili, le spese per prestazioni di lavoro dipendente, per le collaborazioni e di compensi comunque elargiti a terzi, gli interessi passivi.
Si tratta di regola empirica che facilita l’onere probatorio in un processo caratterizzato da limitazioni istruttorie, quale quello tributario, sostanzialmente incentrato sulle produzioni documentali e sugli eventuali poteri acquisitori riservati in via integrativa al giudice tributario (comma 1 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992).
Fermo restando che gravera’ sul contribuente che proponga domanda di ripetizione di indebito (contro il silenzio-rifiuto od il diniego espresso di rimborso) dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa, cioe’ la mancanza della causa (autonoma organizzazione) che giustifica il prelievo fiscale.

20. Di conseguenza, laddove non sia segnalata la presenza di dipendenti e/o collaboratori o l’impiego di beni strumentali al di la’ di quelli indispensabili alla professione e di normale corredo del lavoratore autonomo, potra’ essere ricavato dalla Commissione adita un quadro affidabile di esercizio della professione che – secondo una valutazione di natura non soltanto logica ma anche socio-economica – induca a riscontrare l’assenza di una "organizzazione produttiva" tassabile ai fini Irap.

21. Di questi criteri non sembra aver fatto buon governo la sentenza impugnata che, senza indagare sulle modalita’ di esercizio dell’attivita’ professionale del contribuente (avvocato privo di dipendenti, utilizzante una porzione (a quanto sembra esigua), della propria abitazione come studio professionale, non avvalentesi di collaboratori esterni per mansioni professionali ed esecutive, possedente beni strumentali di struttura semplice di uso comune e strettamente necessarie all’esercizio personale della professione, quali telefono, fax, computer e libri), l’ha ritenuta comunque assoggettabile ad Irap sul rilievo – del tutto astratto ed inconferente anche sul piano motivazionale – che una pluralita’ di atti economici coordinati e finalizzati ad uno scopo economico bastasse a realizzare il presupposto impositivo voluto dalla legge.

22. Sul punto dunque la decisione andra’ cassata e la causa rinviata – anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio – ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna che si atterra’ per le conseguenti determinazioni al seguente principio di diritto:
"L’esercizio per professione abituale, ancorche’ non esclusiva, di attivita’ di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce – secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata elaborata dalla Corte Costituzionale – presupposto dell’Irap qualora si tratti di attivita’ ‘autonomamente organizzata’.
Il requisito dell”autonoma organizzazione’ dell’attivita’ di lavoro autonomo il cui accertamento spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, sussiste tutte le volte in cui il contribuente che eserciti l’attivita’ di lavoro autonomo:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilita’ ed interesse;
b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantita’ che secondo l’id quod plerumque accidit costituiscono nell’attualita’ il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ anche in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta allegare la prova dell’assenza delle condizioni sopraelencate".

23. Il ricorso va pertanto in questi termini accolto e le spese – considerata la natura della lite – possono compensarsi per giusti motivi.

P.Q.M.

la Suprema Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese – ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna.
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