Corte di Cassazione Civile sez. V 16/2/2007 n. 3674

Redazione 16/02/07
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Svolgimento del processo
1. Con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Brescia, la signora ******, esercente l’attivita’ di medico pediatra in convenzione con l’Asl, impugno’ il silenzio rifiuto opposto dal competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate alla sua richiesta di rimborso della somma di euro 15.533,19, versata a titolo di Irap per gli anni 1998-2002, asseritamente non dovuta per non avere ella esercitato abitualmente un’attivita’ autonomamente organizzata.
2. La sentenza n. 226 del 2003, con cui la Commissione adita aveva accolto il ricorso sulla ritenuta inesistenza del presupposto impositivo nel caso del prestatore d’opera intellettuale, il cui personale apporto prevarrebbe sempre sull’organizzazione dei fattori produttivi, impugnata dall’ufficio che denunziava il difetto di motivazione del provvedimento e sosteneva l’applicabilita’ dell’Irap a tutti gli esercenti un’attivita’ professionale autonoma, oltre a rilevare l’impiego, nel caso specifico, di beni strumentali, fu confermata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, Sezione staccata di Brescia, che respinse il gravame (e l’appello incidentale della contribuente, relativo alle spese di lite) avendo giudicato che l’appellata non era assoggettabile ad Irap per difetto del presupposto impositivo ravvisabile, "in assenza dell’impiego rilevante di capitali e di risorse umane", allorche’ l’opera del professionista risulti, come nel caso, prevalente sul valore degli altri fattori produttivi impiegati.
3. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’Agenzia delle Entrate, con un solo motivo, cui non resiste l’intimata contribuente.

Motivi della decisione
4. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate – denunziando, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5), del codice di procedura civile, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 144, della L. 23 dicembre 1996, n. 662; 2, 3, 8, 27 e 36 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, nonche’ omessa, illogica ed incoerente motivazione – censura la sentenza impugnata per avere ritenuto soggetti ad Irap, dando cosi’ alla norma una lettura molto riduttiva, solo gli esercenti di arti e professioni che si avvalgono di strutture organizzative costituite mediante il "rilevante" impiego di capitali e di risorse umane, rispetto ai quali l’apporto personale del titolare non risulti prevalente.
4.1. Sostiene, in particolare, la ricorrente che simile lettura della norma, formalmente ispirata alla sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale, sarebbe in contrasto coi risultati di un’esegesi storico-sistematica sulle origini e la funzione del tributo in esame, oltre che con la stessa interpretazione fornita dal giudice delle leggi, il quale ammette (nella sentenza di rigetto citata e, ancor piu’, nell’ordinanza n.426/2002) che l’Irap, imposta reale gravante non sul reddito, ma sul valore aggiunto prodotto, colpirebbe indifferentemente sia le attivita’ imprenditoriali sia quelle professionali; e che il requisito dell’autonoma organizzazione, non definito nei suoi elementi costitutivi, ma comunque identificabile, per quanto riguarda gli esercenti di arti o professioni, nella loro comune attitudine ad organizzarsi autonomamente per produrre un qualsiasi reddito, li renderebbe tutti ed indistintamente soggetti ad Irap;
che, al contrario, ridurre il concetto di organizzazione autonoma – come mostra di ritenere il giudice a quo – al caso di impiego di capitali e risorse umane in misura cosi’ rilevante da prevalere sull’apporto personale del professionista, produrrebbe "un vero e proprio snaturamento dell’imposta ed un effetto di sostanziale abrogazione" di essa.
4.2. Sotto l’angolo visuale della ricorrente, la locuzione "autonomamente organizzata" – aggiunta all’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 dall’art. 1, comma 1, del D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137 -, esaminata alla luce della relazione parlamentare a tale ultimo testo di legge, qualificherebbe l’attivita’ tipica del professionista autonomo, svolta al di fuori del controllo o delle direttive altrui, e tenderebbe ad escludere dall’incidenza dell’Irap solo l’attivita’ del dipendente o del collaboratore; infatti, il gettito di tale imposta non potrebbe essere significativamente inferiore a quello dell’abolita imposta comunale per l’esercizio di imprese, arti e professioni (Iciap), gia’ ugualmente gravante su imprenditori, artigiani e professionisti.
4.3. Il ricorso deve essere rigettato, per le ragioni di seguito espresse.
4.3.1. L’argomentazione esposta dalla ricorrente parte dal principio che l’Irap, affrancata dal sospetto di incostituzionalita’ grazie alla sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale, sia inapplicabile solo ai prestatori d’opera subordinati ed ai collaboratori, la cui organizzazione produttiva manca del carattere di "autonomia"; che, infatti, l’elemento discriminante dell’autonoma organizzazione sarebbe interpretabile in senso soggettivo – come autoorganizzazione, creata e gestita senza vincoli di subordinazione dal professionista, che quasi si identifica con essa – anziche’ in senso oggettivo – come apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, frutto dell’organizzazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui -; che quindi dovrebbero essere assoggettati a questo tributo tutti gli esercenti arti o professioni.
4.3.2. In realta’, l’espressione "autonomamente organizzata", assunto dalla legge quale connotato indefettibile dell’attivita’ abituale tassabile, e’ da interpretare necessariamente in senso oggettivo, non solo perche’ l’elemento dell’autonomia, se inteso in senso soggettivo, si risolve in una mera tautologia (il professionista e’ autonomamente organizzato perche’ e’ un soggetto capace di organizzazione autonoma), che non avrebbe richiesto un apposito intervento legislativo, di precisazione; ma soprattutto perche’ e’ l’unica interpretazione "costituzionalmente orientata", quindi obbligatoria, per l’interprete (Corte Costituzionale, ord. n. 452/2005, n. 361/2005, n. 283/2005, n. 433/2004; sent. n. 198/2003, n. 107/2003, n. 316/2001, n. 113/2000), essendo stato implicitamente evidenziato dal giudice delle leggi, con la sentenza citata al paragrafo 4.1, e non certamente smentito dalla successiva ordinanza n. 426/2002 (di manifesta infondatezza delle identiche eccezioni gia’ rigettate con detta sentenza), che, se la norma fosse accolta nel senso di ritenere applicabile l’imposta anche nel caso di inesistenza del suddetto elemento oggettivo, risulterebbero violati i principi di eguaglianza e di capacita’ contributiva, garantiti appunto dall’equiparazione dell’attivita’ professionale a quella imprenditoriale sul filo dell’autonoma organizzazione, connaturata a quest’ultima e soggetta ad accertamento nella prima; e che, pertanto, "nel caso di una attivita’ professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione… risultera’ mancante il presupposto stesso dell’imposta".
4.3.3. Discende da questa premessa che l’esatto senso da attribuire all’espressione "autonomamente organizzata" non quello di carattere soggettivo, sostenuto dalla ricorrente (paragrafo 4.3.1), in virtu’ del quale tutti gli esercenti arti e professioni, indistintamente, sarebbero assoggettati all’imposta.
4.3.4. D’altra parte, la sentenza impugnata – pur assumendo giustamente l’organizzazione autonoma in senso oggettivo – erra (e per questo deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384, comma 2, del codice di procedura civile) laddove, definendo i limiti di tale oggettivita’, alla ricerca di una demarcazione fra attivita’ professionali soggette e non soggette ad Irap, afferma che "l’elemento organizzativo viene meno quando… l’opera del professionista sia… prevalente" su capitali e lavoro altrui.
Seguendo tale criterio, l’Irap sarebbe infatti dovuta solo quando l’apparato organizzativo raggiunga un grado di autonomia tale da eclissare la figura e l’opera dell’esercente arti o professioni, responsabile e titolare dell’organizzazione produttiva: ipotesi improbabile, se non impossibile, date le caratteristiche intrinseche del lavoro professionale o artigianale, e peraltro non riconducibile ad alcuna specifica disposizione normativa.
4.3.5. La rilevanza riconosciuta all’aspetto oggettivo della organizzazione autonoma – al fine di individuare gli esercenti di arti e professioni soggetti ad imposta – comporta, d’altronde, la necessita’ di accertare la presenza o l’assenza degli elementi di organizzazione attuati per svolgere l’attivita’ professionale.
Tale accertamento – come pure rileva la sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale – "in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto", indagabile dal giudice tributario di merito e non soggetta a controllo di legittimita’, se non per vizi logici della motivazione.
4.3.6. Su questo punto, la sentenza della Commissione tributaria regionale – che ha ritenuto non assoggettabile ad Irap l’attivita’ professionale della contribuente, perche’ condotta "senza l’ausilio di un dipendente e mediante l’impiego di beni strumentali limitati" – non e’ stata utilmente criticata nel merito dalla ricorrente, limitatasi a confutare genericamente l’erronea equiparazione delle "ridotte dimensioni di strutture all’assenza di organizzazione".
5. Per questa ragione, il ricorso deve essere rigettato. Nulla devesi disporre in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione, perche’ la parte intimata non vi ha svolto difese.

P.Q.M.

la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

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