Corte di Cassazione Civile sez. III 26/3/2009 n. 7347; Pres. Vittoria P.

Redazione 26/03/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 4.7.97 C.I., premesso che V.G. le aveva locato, con decorrenza dal 13.2.93, un immobile sito in (omissis), da adibire al commercio di generi alimentari e che il Comune di (omissis) aveva subordinato la concessione della licenza all’espletamento di opere di adeguamento senza le quali non poteva essere riconosciuta l’agibilità commerciale (lavori che il locatore si era rifiutato di eseguire e che erano stati eseguiti dalla conduttrice con una spesa di L. 56.868.481, per cui l’immobile era stato pronto per l’uso pattuito solo nel (omissis), mentre il canone era stato corrisposto sin dal (omissis)), conveniva in giudizio il V. dinanzi al Tribunale di Pistoia per sentirlo condannare al pagamento dei lavori di ristrutturazione che gli facevano carico, nonchè delle somme versate come canone di locazione per il periodo in cui l’immobile non era agibile.

Il convenuto si costituiva, contestando l’avversa domanda ed eccependo che i lavori in questione non erano mai stati autorizzati da esso locatore e che la domanda era comunque infondata, trattandosi di migliorie ed addizioni per le quali l’attrice avrebbe rinunciato al rimborso.

Con sentenza 6 – 14.11.02 il Tribunale adito condannava il V. a pagare alla C. la somma di Euro 24.493,63 a titolo di rimborso delle spese di ristrutturazione, nonchè quella di Euro 4.131,66 a titolo di restituzione di canoni locatizi indebitamente percepiti, oltre interessi legali dalla domanda al 9.7.97.

Avverso tale sentenza proponeva appello il V., mentre la C., costituitasi in giudizio, contestava il gravame.

Con sentenza pubblicata il 16.8.04 la Corte d’appello di Firenze, accogliendo il gravame, rigettava la domanda della C..

Avverso detta sentenza ha, quindi, proposto ricorso per cassazione la C., affidandosi a tre motivi, mentre il V. ha resistito con controricorso.

La ricorrente ha depositato in atti anche una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta il vizio di omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo la Corte di merito tralasciato di esaminare un documento attestante l’inadempimento del locatore all’obbligo di consegnare alla conduttrice la cosa locata in buono stato di manutenzione.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 1575 c.c., derivando l’inadempimento del locatore dall’inosservanza degli obblighi di cui ai nn. 2) e 3) della norma anzidetta, per non avere il medesimo consegnato l’immobile in stato da servire all’uso convenuto nè garantito il suo pacifico godimento nel corso della locazione.

Con il terzo motivo denuncia infine la violazione dell’art. 1577 c.c., avendo la Corte di merito completamente omesso l’esame della doglianza riguardante il fatto che, avendo la cosa locata bisogno di lavori urgenti senza i quali non sarebbe stato rilasciato il nulla osta necessario per la sua destinazione ad uso commerciale, fosse in facoltà della conduttrice eseguire direttamente tali lavori, salvo l’obbligo di avviso al locatore ed il rimborso a suo favore.

1. Il primo motivo è infondato.

Esso risulta, infatti, privo del requisito dell’autosufficienza, in quanto "la parte che denunci con ricorso per cassazione la mancata o inadeguata valutazione, da parte del giudice di merito, di prove documentali ha l’onere di riprodurre nel ricorso il tenore esatto del documento il cui omesso o inadeguato esame è censurato; ciò al fine di rendere possibile al giudice di legittimità (al quale è istituzionalmente vietato di ricercare direttamente le prove negli atti di causa o di compiere indagini integrative rispetto ai fatti prospettati dalla parte) di valutare, anzitutto, la pertinenza e la decisività dei fatti medesimi" (Cass. Civ., Sez. lav., 26.9.2002, n. 13953; v. anche Sez. 3^, 10.8.2004, n. 15412).

2. Anche il secondo motivo non è fondato.

La Corte di merito ha correttamente evidenziato come l’inidoneità dell’immobile all’esercizio di una determinata attività commerciale o industriale per la quale è stato locato (che può consistere anche nella mancanza dei requisiti all’uopo prescritti dalla pubblica autorità) non comporta per il locatore l’obbligo di operare modificazioni o trasformazioni che non siano state poste a suo carico dal contratto, poichè al locatore incombe l’obbligo di conservare, non già di modificare, lo stato esistente al momento della stipula della locazione, che il conduttore ha riconosciuto idoneo all’uso pattuito (Cass. civ., sez. 3^, 7.3.2001, n. 3341), ed ha, quindi, riaffermato giustamente il principio che dalla sola specificazione dell’uso della cosa, contenuta nel contratto di locazione, non può ricavarsi l’obbligo del locatore di operare le adeguate modificazioni o trasformazioni, occorrendo che quest’ultime siano state espressamente poste a suo carico dal contratto stesso.

La sentenza impugnata ha pure rilevato che nel caso di specie non solo il contratto non accolla al locatore l’onere di tali modificazioni o trasformazioni, anzi contiene una clausola, quella n. (omissis), nella quale viene precisato che la conduttrice accetta l’immobile locato nello stato di fatto in cui viene consegnato, trovandolo di suo gradimento, ed ha, pertanto, concluso correttamente nel senso che la conduttrice ha in sostanza accettato, dopo aver preso visione dello stato dei locali, il rischio economico connesso alla possibile loro inidoneità all’uso pattuito.

Assolutamente corretta risulta, pertanto, la conclusione dei giudici d’appello secondo cui non era addebitabile al locatore alcun inadempimento ex art. 1575 c.c..

Tale conclusione va condivisa non solo in relazione all’ipotesi di cui all’art. 1575 c.c., n. 1), ma anche in relazione a quelle di cui ai successivi nn. 2) e 3) della stessa norma, non essendo configurabile nel caso di specie la violazione, da parte del locatore, degli obblighi di cui ai suddetti nn. 2) e 3).

Si imputa alla Corte di merito, con la censura in questione, l’aver omesso di verificare se l’immobile locato fosse idoneo all’uso convenuto e se potesse essere goduto.

Ma tali asserite violazioni non sono in realtà ravvisabili nel caso in esame.

Ed invero, l’astratta idoneità del bene locato all’uso pattuito non può essere ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 1575 c.c., n. 2), che ha per oggetto l’obbligo del locatore di provvedere alle riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione, in modo da mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso pattuito, e correttamente, quindi, essa è stata esaminata dalla Corte territoriale, come è stato in precedenza rilevato, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 1575 c.c., n. 1).

Così come l’obbligo del locatore di garantire il pacifico godimento della cosa locata durante la locazione, ove venga inteso nel senso di estendersi anche alla sua destinazione particolare (tale da richiedere che l’immobile stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative), non può essere ricondotto puramente e semplicemente all’ipotesi di cui all’art. 1575 c.c., n. 3), non potendosi prescindere dall’esigenza che in tanto tale destinazione può diventare rilevante quale contenuto di quell’obbligo solo in quanto, come ha correttamente ritenuto la sentenza gravata, abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione nel contratto che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento dell’idoneità dell’immobile da parte del conduttore (v. Cass. civ., sez. 3^, 11.4.2000, n. 4598).

3. Anche il terzo motivo è infondato.

Il richiamo alla normativa di cui all’art. 1577 c.c., è, infatti, del tutto fuori luogo nel caso di specie, in quanto tale norma fa espresso riferimento al caso in cui la cosa locata ha bisogno di riparazioni che non siano a carico del conduttore e viene così ad integrare le precedenti disposizioni di cui all’art. 1575 c.c., n. 2), e art. 1576 c.c., le quali sanciscono l’obbligo per il locatore di mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto e di eseguire conseguentemente le riparazioni che si rendessero a tal fine necessarie.

Del tutto diverso è, invece, il caso che qui ci occupa e che concerne un immobile locato per una particolare destinazione commerciale, tale da richiedere che esso sia dotato di determinate caratteristiche e che vengano altresì rilasciate apposite autorizzazioni amministrative.

In questo caso, come è stato già chiarito al punto 2, non basta la sola specificazione in contratto di tale particolare destinazione dell’immobile locato a far nascere l’obbligo del locatore di eseguire le adeguate modificazioni o trasformazioni, ma occorre invece che le stesse siano state poste espressamente a suo carico dal contratto di locazione.

Ciò che, come ha correttamente sottolineato la sentenza gravata, è stato decisamente escluso nella specie, non risultando dal contratto alcuna clausola che ponga a carico del locatore l’onere di siffatte modificazioni o trasformazioni ed anzi rinvenendosi in esso una clausola, nella quale si da atto che la conduttrice ha trovato di suo pieno gradimento l’immobile locato, accettando così il rischio economico della sua possibile inidoneità all’uso pattuito.

4. Il ricorso va, quindi, rigettato, con la conseguente condanna della C. alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore del V. delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.600,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Redazione