Corte di Cassazione Civile sez. III 16/5/2008 n. 12342

Redazione 16/05/08
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RITENUTO IN FATTO

Quanto segue:

1. Il Ministero dell’Interno – per quello che in punto di vicenda processuale si desume dalla sentenza impugnata – ha proposto ricorso per cassazione contro P.D. avverso la sentenza del 20 aprile 2007, con la quale il Tribunale di Potenza ha dichiarato inammissibile l’appello da esso ricorrente proposto avverso la sentenza, con la quale il Giudice di pace di *****:

a) in accoglimento della domanda proposta dall’intimato, l’aveva condannato al pagamento della somma di E uro 863,35, oltre interessi legali dalla domanda, quale corrispettivo per la consegna (nella qualità di dipendente del Comune di Muro Lucano) di una serie di certificati elettorali relativi alle elezioni per il referendum popolare dell’11 giugno 1995;

b) e nel contempo aveva dichiarato inammissibile per carenza di connessione con la domanda principale la domanda riconvenzionale svolta dallo stesso Ministero per l’accertamento della insussistenza di qualsiasi rapporto inter partes in relazione a consegna di certificati elettorali per qualsiasi consultazione (politica, europea, amministrativa, referendaria) che avesse interessato il territorio comunale di competenza dell’attore.

Al ricorso la parte intimata non ha resistito.

2. Il ricorso è soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del d.lgs. (art. 27, comma 2 di tale d.lgs.).

Essendosi ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. anche per gli effetti di cui al secondo inciso dell’art. 374 c.p.c., comma 1, nel testo sostituito dall’art. 8 del citato d.lgs., è stata predisposta relazione ai sensi dello stesso art. 380 bis, che è stata ritualmente notificata alla parte costituita e comunicata al Pubblico Ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Quanto segue:

1. La relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ha il seguente tenore:

" … 3. – Il ricorso propone quattro motivi ed osserva l’art. 366 bis c.p.c..

Con il primo motivo il ricorrente deduce "erronea declaratoria di inesistenza della costituzione del ministero in primo grado e della riconvenzionale ivi proposta" e si duole che erroneamente sia stata ritenuta inesistente la sua costituzione in primo grado, in quanto avvenuta a mezzo posta.

Il quesito di diritto proposto chiede alla Corte di accertare "se la costituzione davanti al giudice di pace tramite deposito a mezzo spedizione del fascicolo con raccomandata a.r. debba considerarsi inesistente, ovvero possa ritenersi valida, o al più affetta da nullità sanabile per mancata tempestiva eccezione da parte dell’interessato (art. 157 c.p.c.) ovvero per raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3)".

Il secondo motivo deduce "erronea declaratoria di inammissibilità dell’appello: violazione degli artt. 10, 36, 40 c.p.c., comma 6, art. 113 c.p.c., comma 2, e art. 339 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c", sotto il profilo che il giudice di pace, avendo considerato il ricorrente costituito, aveva deciso, sia pure con una pronuncia di inammissibilità per mancanza di connessione, sulla domanda riconvenzionale e, pertanto, essendo essa di valore indeterminato ed esulando dalla competenza per valore del giudice di pace e non avendo questi applicato l’art. 40, comma 6, che avrebbe dovuto comportare la rimessione di tutta la controversia al tribunale, il mezzo di impugnazione esperibile, avuto riguardo alle statuizioni di cui alla sentenza n. 13917 del 2006 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione e non potendo, d’altro canto, esso ricorrente autoriconoscersi contumace, non avrebbe potuto che essere l’appello, in quanto la riconvenzionale era soggetta a regola di decisione secondo diritto e la sua regola di decisione attraeva quella sulla domanda principale, stante la connessione.

Il quesito di diritto proposto è il seguente: "se la domanda riconvenzionale, da decidersi secondo diritto, di accertamento dell’infondatezza della pretesa del diritto al compenso a favore dei messi comunali per la notifica dei certificati elettorali effettuata durante l’intero arco del rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune possa considerarsi connessa ex art. 36 c.p.c. alla domanda principale, proposta secondo equità, relativa alle notifiche limitate ad un solo turno di elezioni, e quindi della stessa riconvenzionale debba tenersi conto ai fini dell’appellabilità della sentenza del giudice di pace, ancorchè da quest’ultimo dichiarata inammissibile".

Il terzo motivo deduce "difetto di giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia in materia di pubblico impiego relativa a questioni attinenti al periodo anteriore al 1 luglio 1998, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1. Vi si deduce che la domanda principale proposta dalla parte intimata, in quanto afferente a prestazioni effettuate prima del 30 giugno 1998, sarebbe soggetta alla giurisdizione del giudice amministrativo, sulla base del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte nella sentenza n. 6416 del 2005, che viene prospettato come quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (e riferito anche alle seguenti decisioni delle Sezioni Unite: Cass. sez. un. nn. 6329, 6409, 6410, 6411, 6412, 6413, 6414, 6415, 6416 e 6417).

Tale principio è esposto nei termini seguenti. "Ove una P.A. (a ciò autorizzata dalla legge) scelga di richiedere al Comune la notificazione di propri atti e si avvalga, a tal fine, dei messi comunali (personale dipendente del Comune), l’attività notificatoria esplicata da costoro non è riconducibile alla nozione di pubblico servizio recepita nel D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, comma 2, lett. f), dovendo escludersi da tale nozione le prestazioni che rivestono un rilievo soltanto strumentale all’erogazione del servizio e che restano, comunque, interne alla struttura organizzativa del gestore del medesimo. All’opposto, i messi comunali agiscono nell’adempimento degli obblighi di prestazione che derivano dal rapporto d’impiego pubblico che li lega all’ente territoriale, nella cui struttura sono inseriti, e in questo stesso rapporto trova titolo e giuridico fondamento ogni loro pretesa – comprese quelle di carattere patrimoniale – connessa con l’esercizio dell’attività notificatoria, ancorchè svolta nell’interesse e per conto d’altra Amministrazione. Ne consegue che, considerato che il rapporto di cui trattasi rientra tra quelli cosiddetti contrattualizzati, la questione di giurisdizione, in relazione a controversia avente ad oggetto il pagamento di somme reclamate come corrispettivo dell’attività di notificazione di certificati elettorali richiesto al Comune d’appartenenza dal Ministero dell’interno in occasione delle elezioni del 1995, va risolta alla stregua della disciplina transitoria di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7, (già D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17), il quale, nel richiamare il trasferimento alla giurisdizione ordinaria delle controversie in tale materia (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63; già D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 68, come novellato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 29), conserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie che, sebbene introdotte successivamente al 30 giugno 1998, abbiano ad oggetto questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data".

Si tratta di principio che riproduce un passo di Cass. sez. un. n. 6409 del 2005.

Il quarto motivo deduce "omissione di pronuncia, in conseguenza dell’erronea dichiarazione di contumacia del Ministero dell’Interno, sul difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione:

violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4", sotto il profilo che, in ragione della ritenuta contumacia in primo grado del Ministero, non vi sarebbe stata pronuncia sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva ai sensi della L. n. 202 del 1991, art. 4, che era stata invocata dalla parte intimata a sostegno della propria domanda. Il motivo viene sostenuto invocandosi l’interpretazione autentica di tale norma da parte della norma del D.L. n. 80 del 2004, art. 1 quinquies, convertito nella L. n. 140 del 2004 ed invocando i principi di cui a Cass. sez. un n. 8091 del 2006 e 6409 del 2005, per come richiamati da Cass. sez. lav. n. 25571 del 2006.

L’illustrazione del motivo si conclude con la proposizione del principio di diritto di cui a quest’ultima decisione, che viene prospettato espressamente come quesito di diritto: "ove una p.a. (a ciò autorizzata dalla legge) scelga di richiedere al Comune la notificazione di propri atti e si avvalga, a tal fine, dei messi comunali (personale dipendente del Comune), l’attività notificatoria è esplicata da costoro nell’adempimento degli obblighi di prestazione che derivano dal rapporto d’impiego che li lega all’ente territoriale, nella cui struttura sono inseriti, e in questo stesso rapporto trova titolo e giuridico fondamento ogni loro pretesa – comprese quelle di carattere patrimoniale – connessa con l’esercizio dell’attività notificatoria, ancorchè svolta nell’interesse e per conto di altra amministrazione, con la conseguenza che la relativa pretesa deve essere fatta valere dagli interessati (dinanzi al Giudice del lavoro, competente per materia) nei confronti del Comune".

4. – Deve preliminarmente rilevarsi che sia il primo che il secondo motivo sono funzionali alla censura della correttezza della dichiarazione di inammissibilità dell’appello da parte del Tribunale. Nell’ambito di tali motivi, la Corte, costituendo la questione dell’ammissibilità dell’appello sotto il profilo della non esperibilità contro la sentenza impugnata questione rilevabile d’ufficio ove non preclusa da giudicato interno, ha poteri di individuazione dell’esatta disciplina giuridica applicabile: che, al di fuori dell’operatività di detto limite, prescindono dalla prospettazione in diritto del ricorrente.

Ciò premesso, si deve ritenere che sia logicamente preliminare il secondo motivo, con cui si vuole in sostanza sostenere che – al contrario di quanto aveva ritenuto il giudice di pace – esisteva una ragione di connessione fra la domanda principale e la riconvenzionale e che, essendo quest’ultima di competenza per valore eccedente non solo il limite equitativo, ma anche la stessa competenza per valore del giudice di pace, e, pertanto, automaticamente soggetta a regola di decisione secondo diritto, ne sarebbe seguita l’estensione di tale regola anche alla domanda principale, di modo che l’intera controversia era rimasta soggetta a regola di decisione secondo diritto e come tale si sarebbe dovuta apprezzare dal Tribunale ai fini dell’ammissibilità dell’appello.

Effettivamente la ragione di connessione sussisteva, poichè il Ministero nel richiedere l’accertamento negativo di qualsiasi rapporto di debito per le notificazioni di certificati elettorali in relazione a qualsiasi consultazione elettorale aveva svolto " una domanda di accertamento negativo del diritto al rimborso, che si presentava in rapporto di continenza con la pretesa oggetto della domanda principale, nel senso che nell’oggetto dell’accertamento negativo richiesto (relativo ad ogni consultazione elettorale) era compreso anche quello della pretesa di rimborso azionata con azione di condanna (e, quindi, di accertamento positivo) dal messo notificatore con specifico riferimento ad una determinata consultazione, cioè l’oggetto della domanda principale.

Il rapporto di connessione risulta, dunque, negato erroneamente dal Giudice di Pace.

Ora, v’è da chiedersi se questa negazione avesse determinato, per espressa risoluzione della relativa questione da parte del giudice di pace, il venir meno della regola di decisione unitaria connessa al cumulo della cause, di modo che sulla riconvenzionale la decisione del giudice di pace dovesse intendevi resa secondo diritto e sulla domanda principale resa secondo equità. Questa conseguenza deve escludersi e deve ritenersi che la sentenza con cui il giudice di pace neghi la connessione fra le due cause sia stata resa secondo una regola unitaria e, particolarmente – per essere la decisione secondo diritto la regola e quella secondo equità l’eccezione – secondo diritto.

Ne consegue che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere l’appello ammissibile già per il fatto che investiva la decisione su un cumulo di cause da intendersi decise secondo diritto.

4.1. – Alla stessa soluzione, d’altro canto, si dovrebbe pervenire ove non si condividessero le svolte considerazioni e si reputasse che ognuna della cause cumulate avesse conservato la propria regola di decisione: è sufficiente osservare – ed è questione che la Corte può rilevare d’ufficio nell’ambito dei poteri di valutazione dell’ammissibilità dell’appello – che anche la domanda principale proposta dalla parte qui intimata, per come emergerà dalle considerazioni che si verranno svolgendo in punto di individuazione della giurisdizione, era domanda non decidibile secondo equità, per l’assorbente ragione che – come si dirà – esulava dalla giurisdizione ordinaria.

Peraltro – ma lo si rileva ad abundantiam e sempre nel presupposto che il punto relativo all’affermazione della riconducibilità del valore della domanda alla giurisdizione equitativa sia stato come si è appena detto censurato – la stessa valutazione del valore della domanda principale come equitativa era erronea, atteso che, come si rileva dalla citazione introduttiva dinanzi al giudice di pace, accanto alla richiesta della somma specifica era stata domandata una somma nel limite della competenza del giudice adito.

4.2. – Ma, in aggiunta ai rilievi svolti, deve in fine osservarsi che la decisione del Tribunale, nel punto in cui ha ritenuto l’inappellabilità su tutta la decisione si presenta erronea anche al di là di quanto emerge dalle svolte considerazioni, cioè perchè il Tribunale, per porsi il problema della ritualità della costituzione del Ministero ha sostanzialmente prima considerato ammissibile l’appello e poi del tutto contraddittoriamente, risolta nel senso della inesistenza la questione della costituzione, ha considerato inammissibile l’appello dando rilievo all’esito dello scrutinio compiuto sulla ritualità della costituzione in primo grado.

5. – Una volta ritenuta l’ammissibilità dell’appello, può essere scrutinato (altrimenti non avrebbe potuto esaminarsi) il terzo motivo con cui si deduce il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. e la sussistenza della giurisdizione del G.A., per essere la pretesa oggetto della domanda principale relativa a fatti anteriori al 30 giugno 1998. Tale questione di giurisdizione è decidibile dalla Sezione Semplice ai sensi dell’art. 374 c.p.c. nel testo novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, giacchè le Sezioni Unite si sono su di essa pronunciate più volte e la Sezione, del resto, ha già proceduto in tal senso in controversie analoghe (per tutte, ex multis, si veda Cass. n. 13520 del 2007).

La questione di giurisdizione va ritenuta fondata, come appunto si da conto nella decisione ora citata ed il relativo quesito di diritto deve ricevere, dunque, risposta positiva.

Ne consegue la declaratoria del difetto di giurisdizione nei termini ora detti sulla domanda principale.

6. – Riguardo alla riconvenzionale del Ministero perdura l’interesse del ricorrente alla decisione sulla questione della inesistenza della costituzione in primo grado dedotta con il primo motivo, perchè questa Corte, ove effettivamente la costituzione fosse stata correttamente ritenuta inesistente, dovrebbe, una volta acclarata l’ammissibilità dell’appello, dare rilievo alla inammissibilità della riconvenzionale in ragione della inesistenza della costituzione e cassare sul punto la sentenza. Non essendovi alcun accertamento da fare su tale inammissibilità la Corte potrebbe decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nuovo testo e dichiarare senz’altro inammissibile la riconvenzionale.

Ora, la violazione consistita nell’inosservanza dello schema normativo che identifica il deposito con la consegna dell’atto al cancelliere (consegna che, come considera la stessa sentenza, richiamando giurisprudenza di questa Corte, può avvenire anche da parte di un nuncius del procuratore) è stata erroneamente ricondotta alla categoria della inesistenza, perchè l’attività compiuta non presenta uno scostamene tale dall’attività che sarebbe stata da compiere da impedire d’essere ricondotta al profilo funzionale di quest’ultima.

Nè ricorre un’ipotesi di nullità, che dipenderebbe – non essendovi previsione espressa di nullità – dalla insussistenza della idoneità al raggiungimento dello scopo: essa deve escludersi.

Ritenuto, dunque, che la riconvenzionale, non essendovi stato alcun vizio della costituzione in primo grado, si deve considerare ritualmente formulata, una volta considerato che essa venne proposta senza conchiudere il chiesto accertamento negativo in un ambito collocatesi prima del 30 giugno 1998, il difetto di giurisdizione dev’essere rilevato anche su di essa per quanto attiene al periodo fino alla data del 30 giugno 1998, mentre, quanto al periodo successivo (cui pure si deve ritenere estesa), essa rientra nella giurisdizione dell’A.G.O., come emerge chiaramente dai precedenti invocati dal ricorrente nell’esposizione del quarto motivo.

Riguardo a questa parte della riconvenzionale, peraltro, la Corte dovrà rilevare la sussistenza delle condizioni per la decisione nel merito, poichè, come ritenuto dal precedente citato dal ricorrente ed anche da altri precedenti di questa sezione, la legittimazione passiva avverso la pretesa di rimborso per prestazioni successive alla data indicata compete al comune di cui è dipendente il messo comunale e non al Ministero dell’Interno e, pertanto, la domanda in parte qua andrà dichiarata fondata, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Conclusivamente, andrà dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. sulla domanda principale dell’intimato e sulla domanda riconvenzionale del Ministero per prestazioni eseguire fino al 30 giugno 1998, mentre per le prestazioni eseguite dopo tale data la riconvenzionale andrà accolta.

Quanto alla parte di controversia devoluta al G.A. sarà opportuno fissare termine per la riassunzione a somiglianzà di quanto prevede per il caso di rinvio l’art. 393 c.p.c.".

2. Il Collegio condivide le argomentazioni della relazione, alle quali non sarebbe necessario aggiungere ulteriori considerazioni esplicative, posto che riguardo ad essa non sono stati formulati rilievi.

Peraltro, per ragioni di completezza, si ritiene opportuno formulare queste precisazioni:

a) ad esplicitazione di quanto sostenuto nella relazione al punto 4. va rilevato quanto segue.

Allorquando il giudice di pace venga investito di una domanda da decidesi secondo equità ed il convenuto proponga domanda riconvenzionale soggetta a regola di decisione secondo diritto, la decisione con cui il giudice di pace neghi la sussistenza della connessione e, quindi, implicitamente neghi che per effetto di essa il cumulo di cause debba essere deciso secondo diritto, si connota come decisione che ha riguardato sul punto entrambe le cause cumulate e, poichè il regime di impugnazione esperibile su questo punto, per denunciare l’eventuale erronea decisione sulla connessione e postulare che essa esisteva, non può che concernere entrambe le cause, non essendo immaginabile che la relativa questione venga proposta a due giudici separati quali sarebbero quelli avanti ai quali l’impugnazione dovrebbe essere portata con riferimento alle cause considerate distintamente, è necessario ritenere che il mezzo di impugnazione debba essere uno solo. Invero, se si ipotizzasse che la questione venga prospettata al giudice avanti al quale sarebbero separatamente impugnabili le due cause secondo la regola di decisione loro propria, si avrebbe la paradossale conseguenza che ognuno dei due diversi giudici dovrebbe giudicare della stessa questione, quella della sussistenza della connessione, senza possibilità di coordinamento fra le due decisioni, non essendo previsto alcun meccanismo attraverso il quale la connessione erroneamente disattesa possa realizzarsi: infatti, immaginare che il giudice dell’impugnazione della causa a decisione secondo equità sospenda la decisione in attesa della definizione della impugnazione della causa da decidersi secondo diritto, una volta che il giudice di quest’ultima ritenga esistente la connessione, non consentirebbe alcuna forma di ripristino della connessione nel suo significato di trattazione simultanea, essendo ipotizzabile solo che il giudice dell’impugnazione della causa a decisione secondo equità debba decidere la propria causa conformandosi alla decisione sui punti comuni presa dall’altro giudice.

Una simile soluzione sarebbe non solo contraria al principio di economia processuale, ma renderebbe anche canzonatoria la censurabilità dell’errore sulla valutazione di connessione.

E’ necessario allora considerare – come si è sopra adombrato – che la sentenza con cui il giudice di pace neghi la connessione fra le due cause, in quanto decide su entrambe, non può essere considerata come una decisione che quanto a questa questione risente del regime che avrebbe ciascuna delle cause cumulate ove decisa da sola, bensì come decisione che ha avuto luogo secondo una regola unitaria. E, poichè la regola di decisione corrispondente alla norma nel nostro ordinamento è quella secondo diritto, mentre è eccezionale la regola decisoria secondo equità, ed inoltre la regolamentazione della connessione fra giudice togato e giudice di pace, quando sussiste un problema di competenza, comporta (come emerge dalla disciplina dell’art. 40 c.p.c., comma 6 e 7) lo spostamento del cumulo dinanzi al giudice togato e la conseguente preferenza per la regola di decisione secondo diritto (quando la causa di competenza del giudice di pace è a decisione secondo equità), è ragionevole ritenere che la regola di decisione sulle cause cumulate in riferimento sia quella secondo diritto, per modo che la decisione che ha negato la connessione deve intendersi assunta secondo diritto, facendo aggio la regola della causa da decidersi secondo diritto su quella che si sarebbe dovuta decidere secondo equità.

Ne consegue che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere l’appello ammissibile già per il fatto che investiva la decisione su un cumulo di cause da intendersi decise secondo diritto. E, va rilevato, la espressa negazione della connessione da parte del giudice di pace non può essere in alcun modo interpretata come risoluzione di una questione in ordine alla regola decisoria nel senso di affermare una diversa regola decisoria per le due cause cumulate, sì da imporre separati mezzi di impugnazione (sulla falsariga del criterio adombrato da Cass. sez. un. n. 13917 del 2006 a proposito del caso in cui il giudice di pace nel decidere una sola causa risolva la questione della regola di decisione su cui sia insorta contestazione). b) riguardo all’affermazione di cui alla prima proposizione del punto 4.1. della relazione si rileva che l’essere la domanda principale soggetta a regola di decisione secondo diritto costituisce questione rilevabile d’ufficio da questa Corte perchè non coperto da giudicato interno e particolarmente dall’espressa affermazione da parte del Tribunale che la domanda principale era riconducibile ratione valoris alla competenza equitativa. In tanto questa affermazione è stata impugnata dal ricorrente con le deduzioni che sostengono il secondo motivo, perchè lamentare che sia stata negata la connessione implica la critica di quella valutazione del Tribunale. In secondo luogo, in sè e per sè considerata l’affermazione del Tribunale è relativa solo alla regola di decisione in quanto correlata al valore della domanda, ma non ha comportato alcuna decisione implicita sulla giurisdizione e comunque, anche se essa vi fosse stata sarebbe stata oggetto di ricorso con il terzo motivo. c) relativamente all’affermazione di cui al punto 4.2. della relazione si precisa che essa è giustificata, perchè il Tribunale, in tanto ha potuto esaminare una questione afferente al rito relativa al giudizio di primo grado, in quanto si è implicitamente considerato investito correttamente dell’appello. Per valutare l’ammissibilità del mezzo di impugnazione il Tribunale non poteva, viceversa, che esaminare solo se il provvedimento impugnato era una sentenza appellabile e ciò prescindendo da errori di rito in cui il giudice di pace fosse incorso per arrivare alla decisione. Esaminando una questione relativa allo svolgimento del processo di primo grado il Tribunale ha, invece, considerato un problema che supponeva l’ammissibilità dell’appello, in quanto il controllo – cui a suo dire era legittimato d’ufficio per la configurazione di una questione di inesistenza – della ritualità della costituzione del Ministero in primo grado poteva essere effettuato solo dando per ammessa l’appellabilità della sentenza e, quindi, al fine di una sua riforma. Ne deriva che la questione dell’ammissibilità dell’appello non poteva essere rimessa in discussione dall’esito del controllo su quella questione di rito. In definitiva, tale esito, una volta risoltosi nel considerare inesistente la costituzione del Ministero e, quindi, inesistente la riconvenzionale, avrebbe dovuto comportare soltanto la declaratoria della inammissibilità della riconvenzionale e non dell’appello nella sua interezza (e nemmeno dell’appello sulla sola riconvenzionale). d) riguardo alla questione esaminata dalla relazione al punto 5. si formulano i seguenti rilievi esplicativi.

La sentenza impugnata da atto che il cancelliere dell’ufficio del giudice di pace appose sul plico contenente il fascicolo ricevuto a mezzo posta attestazione di visto e lo inserì nel fascicolo d’ufficio.

A norma dell’art. 57 c.p.c., comma 1, il cancelliere documenta a tutti gli effetti nei casi e nei modi previsti dalla legge le attività proprie e quelle degli organi giudiziali e delle parti. Nel caso della costituzione avanti al giudice di pace l’art. 319 c.p.c. prevede, accanto alla possibilità di costituzione mediante presentazione della citazione (o del processo verbale di cui all’art. 316 c.p.c.) con la relata di – notificazione e la procura quando occorre, la costituzione mediante deposito di tali atti in cancelleria. L’attività di deposito è un’operazione materiale che implica certamente che chi deve effettuare il deposito si rechi in cancelleria e presenti gli atti al cancelliere che li riceve e la ricezione del deposito è un’attività propria del cancelliere (in relazione alla norma suindicata). A seguito di tale presentazione il cancelliere compie l’attività (sempre sua propria) di documentazione del deposito nelle forme di legge cui allude la norma sopra citata, cioè ne attesta la verificazione. Nella specie il cancelliere, con l’apposizione del visto ha compiuto un’attività di documentazione riferita ad un atto, il pervenimento a mezzo posta, diverso da quello previsto dalla legge, che è la consegna a sue mani degli atti di costituzione. In tal modo ha compiuto un’attività in violazione della regola formale prevista, ma per l’inosservanza di tale regola la legge in tanto non prevede alcuna sanzione. La violazione della regola formale va valutata in base alla seguente considerazione: la formalità del deposito in cancelleria consiste nella consegna al cancelliere degli atti inerenti la costituzione ed il pervenimento a mezzo posta, come osserva la sentenza impugnata, si presenta difforme dal modello processuale, perchè non realizza tale consegna, giacchè il plico rimesso dall’ufficiale postale non viene ricevuto dal cancelliere, ma perviene all’apposito ufficio preposto alla ricezione della posta, che -evidentemente – poi lo rimette al cancelliere.

Ebbene, siffatta inosservanza delle forme non appare di entità tale da far considerare – come invece ha ritenuto il Tribunale – il fatto del pervenimento del plico al cancelliere in questo modo come talmente difforme dallo schema formale previsto dalla legge da doversi esso considerare del tutto improduttivo di effetti e, quindi, come atto inesistente. Ciò, per la ragione che alla fine di questo procedimento si realizza pur sempre l’effetto del pervenimento al cancelliere del fascicolo. Ed il cancelliere ben può compiere tutte le attività che gli competono in ordine al controllo della ritualità della documentazione.

Ne deriva che la violazione consistita nell’inosservanza dello schema normativo che identifica il deposito con la consegna dell’atto al cancelliere (consegna che, come considera la stessa sentenza, richiamando giurisprudenza di questa Corte, può avvenire anche da parte di un nuncius del procuratore) è stata erroneamente ricondotta alla categoria della inesistenza, perchè l’attività compiuta non presenta uno scostamento tale dall’attività che sarebbe stata da compiere da impedire d’essere ricondotta al profilo funzionale di quest’ultima.

Non a caso la sentenza impugnata afferma l’inesistenza facendo leva sulla mera circostanza che l’invio degli atti per la costituzione a mezzo posta non rientra fra le formalità previste dall’art. 319 c.p.c., con ciò non considerando che ogni nullità formale presenta (come suggerisce lo stesso art. 156 c.p.c.) per definizione uno scostamento dell’atto dalla forma prevista dalla legge e, quindi, la sua connotazione con una forma diversa, mentre l’inesistenza si può configurare quando l’attività che si vorrebbe espressiva dell’atto si presenti per le sue caratteristiche formali del tutto inidonea ad evocare in qualche modo lo schema formale previsto. Nella specie il carattere evocativo di quest’ultimo, come ha osservato il Ministero, si sarebbe dovuto ritenere anche per il fatto che la fattispecie del deposito a mezzo posta non è sconosciuta al processo civile, come dimostrano gli esempi richiamati nel ricorso e, del resto, avuti ben presenti dallo stesso Tribunale.

Negata, dunque, la riconducibilità del deposito a mezzo posta avvenuto nella fattispecie alla categoria della inesistenza v’è da domandarsi se esso possa essere ricondotto alla categoria della nullità: tale riconduzione, non essendo prevista dalla legge una nullità, dipenderebbe dalla valutazione di sussistenza o meno della idoneità al raggiungimento dello scopo.

All’uopo occorre considerare che nella sequenza processuale al deposito nel senso indicato, da intendersi come operazione materiale finalizzata alla realizzazione "presa di contatto" fra la parte ed il giudice nel che consiste la costituzione in giudizio, segue, perchè la formalità del deposito si trasformi in costituzione, l’attività – sempre del cancelliere – di inserimento degli atti nel fascicolo d’ufficio ed è in questo modo che il contatto effettivamente si realizza.

Ebbene, nella specie questa attività successiva (che il cancelliere, rilevando l’irritualità del pervenimento avrebbe potuto, in ipotesi, rifiutarsi di compiere), è stata compiuta: il cancelliere ha non solo attestato il ricevimento degli atti per la costituzione ma li ha anche inseriti nel fascicolo, con il che la costituzione, nel suo significato di presa di contatto fra la parte e l’ufficio giudiziario, si può dire compiuta. Entrambe queste attività dimostrano che lo scopo cui doveva assolvere la presentazione nelle forme di cui all’art. 319 c.p.c. si è potuto in concreto realizzare nonostante la diversa forma seguita e, quindi, l’ipotetica nullità non avrebbe impedito il raggiungimento dello scopo dell’operazione di deposito.

A ben vedere, in sostanza, un invio degli atti di costituzione a mezzo posta dove non è consentito può raggiungere comunque lo scopo che è proprio del deposito mediante presentazione al cancelliere, se questi, una volta ricevuto il plico dall’apposito ufficio preposto alla ricezione della posta, non si rifiuta di procedere all’inserimento nel fascicolo (riscontrando che naturalmente vi sono gli atti prescritti dall’art. 319 c.p.c.) e vi procede.

In questo caso, anzi, la circostanza che non vi sia stato un deposito mediante diretto contatto fra il depositante ed il cancelliere degrada ad una mera irregolarità, priva di effetti sui successivi atti processuali e, particolarmente sull’inserimento nel fascicolo, onde la costituzione deve ritenersi pienamente valida (in una prospettiva favorevole alla irregolarità si veda Cass. n. 9580 del 2006).

E’ quanto accaduto nella specie, donde la manifesta erroneità delle conseguenze ritenute dal Tribunale.

Altrettanto infondato era l’appello incidentale (peraltro dichiarato inammissibile con statuizione non oggetto di ricorso incidentale) che prospettava la nullità della costituzione (e ciò a prescindere da ogni rilievo che, se una nullità vi fosse stata, si sarebbe dovuto dare alla circostanza che essa – non certo rilevabile d’ufficio – non era stata dedotta nel corso del giudizio di primo grado).

3. Conclusivamente va provveduto nei termini indicati nella relazione.

Venendo la sentenza cassata senza rinvio dinanzi alla giurisdizione ordinaria per quanto attiene alla domanda principale dell’intimato e per la riconvenzionale del ricorrente fino all’indicato discrimine temporale e cassata sempre senza rinvio e decisa nel merito per la riconvenzionale successivamente a tale discrimine, è necessario provvedere sulle spese dell’intero svolgimento processuale e la Corte ritiene al riguardo che ricorrano giusti motivi per la compensazione delle spese sia dei gradi di giudizio di merito, sia di questo giudizio di cassazione: i giusti motivi si ravvisano nell’incertezza della questione di giurisdizione e di quella di legittimazione all’epoca di svolgimento dei giudizi di merito, per quanto attiene alle spese di tali fasi e nella particolarità delle questioni oggetto dei primi due motivi di ricorso per cassazione per quanto attiene alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte cassa la sentenza impugnata. Dichiara la giurisdizione del Giudice Amministrativo Ordinario quanto alla domanda principale dell’intimato e quanto alla domanda riconvenzionale del ricorrente, riguardo alle prestazioni rese dall’intimato fino al 30 giugno 1998, disponendo la prosecuzione del giudizio. Dichiara la giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria quanto alla domanda riconvenzionale del ricorrente riguardo alle prestazioni rese dall’intimato dopo il 30 giugno 1998 e, decidendo nel merito su tale parte della domanda, la accoglie e dichiara insussistente alcun rapporto fra l’intimato ed il ricorrente relativamente a tali prestazioni. Compensa per giusti motivi le spese dei due gradi di merito e quelle del giudizio di Cassazione.

Redazione