Corte di Cassazione Civile sez. III 11/2/2008 n. 3248; Pres. Di Nanni L.

Redazione 11/02/08
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IN FATTO

Con sentenza depositata il 25.7.2 001, il tribunale di Roma condannò C.P.G. (d’ora in avanti, il C.) e la società a responsabilità limitata "Agorà Servizi" al pagamento della somma di circa L. 280 milioni, in favore di D.O.D. **** (d’ora innanzi, il D.O.) – che, in atto di citazione, aveva dedotto la propria qualità di creditore ex mutuo a fondamento dell’invocato pagamento della maggior somma di L. 350 milioni, dichiarando altresì la simulazione assoluta della vendita di alcuni terreni appartenenti al C..

Il Giudice di primo grado, accertata la pregressa esistenza di un rapporto di finanziamento per L. 275 milioni, tra il D.O. (mutuante) e la società di servizi Agorà (beneficiarla), e predicata, del C., la qualità di fideiussore della mutuataria, avrebbe così condannato entrambi alla restituzione di tale somma, previa detrazione di L. 135 milioni, (già versati dal C. al D.O.), imputati in parte agli interessi, in parte alla sorte capitale.

Investita dell’impugnazione principale proposta avverso tale sentenza dal C. e dalla società Agorà, e di quella incidentale (in ragione della proposizione di successivo, autonomo atto di citazione in appello) delle società Cà ******** e ***** – nella veste, rispettivamente, di acquirente e di subacquirente degli immobili del C., la corte di appello di Roma accoglierà il gravame principale nella sola parte relativa all’invocata riduzione del quantum dovuto in restituzione all’appellato, respingendo tutti gli altri motivi di impugnazione e osservando, per quanto ancora di rilievo nel presente giudizio di legittimità:

– che l’eccezione di incompetenza territoriale (di cui all’appello incidentale) era infondata, essendo la domanda proposta dal D. O. diretta a far dichiarare la simulazione dell’atto di compravendita posto in essere dal C. con le due società Adest e Cà ******** (sicchè, funzionale l’azione così esercitata a tutelare l’obbligazione vantata dall’attore, la competenza andava determinata con riferimento al foro competente per tale obbligazione:

avendo il D.O. richiesto la restituzione della somma mutuata, ed essendo certo il relativo ammontare, luogo dell’adempimento era il domicilio del creditore, e cioè Roma);

– che, nel merito, il rapporto in contestazione si configurava come normale rapporto di prestito, in attuazione di un’operazione di acquisto e restituzione di titoli del Tesoro garantita dal C. in guisa di fideiussore;

– che il riferimento all’acquisto dei CCT risultava nella specie funzionale a giustificare e individuare l’entità degli interessi da corrispondere ex latere debitoris, atteso che "il sinallagma contrattuale era rappresentato dallo scambio della somma di L. 275 milioni, con quella, da restituire alla scadenza, di L. 375 milioni";

– che, quanto alla garanzia prestata dal C., questi nutriva indiscusso interesse all’operazione de qua, essendo all’epoca amministratore della Agorà Servizi (successivamente, anche il suo liquidatore), e il suo impegno di garante risultava inequivocamente dal contenuto di una missiva inviata al creditore su carta intestata della Agorà;

– che, quanto alla dedotta decadenza del creditore dalla garanzia fideiussoria ex art. 1957 c.c., la richiesta di sequestro da quegli tempestivamente avanzata era idonea nella specie ad escluderne ogni legittima configurabilità;

– che, quanto alla ritenuta simulazione degli atti di vendita degli immobili del C., la qualità di terzo del creditore del simulato alienante rivestita dal D.O. gli consentiva di avvalersi (anche) di mezzi di prova di natura indiziaria, ciò che doveva ritenersi esaustivamente avvenuto (gli univoci indizi deponenti tutti in favore della consumata simulazione dei negozi di compravendita verranno puntualmente elencati dalla corte territoriale, al 9^ e 10^ folio della sentenza, in numero di 8, e contrassegnati con le lettera dalla a alla h);

– che il motivo di appello relativo alla somma di danaro da restituirsi effettivamente al creditore era in parte fondato, atteso che, all’esito dei ripetuti movimenti di dare/avere intercorsi tra le parti, il credito residuo dell’appellato ammontava a L. 160 milioni.

Avverso tale sentenza, hanno coevamente proposto ricorso per cassazione, da un canto (proc. 901/04), la Adest srl e la Cà ******** srl, sostenuto da motivi 3 di gravame – dei quali due comuni, ed un terzo relativo alla sola posizione della seconda società;

dall’altro (proc. 903/04) C.G. e la sua società di servizi, anch’esso volto a rappresentare tre motivi di doglianza.

Resiste con controricorso in entrambi i procedimenti D.O. F..

IN DIRITTO

I ricorsi, aventi ad oggetto la medesima sentenza, devono essere riuniti.

Essi sono entrambi infondati.

A) IL RICORSO ADEST – CA’ DE LUPIS Con il primo motivo, si dolgono le società ricorrenti della erronea interpretazione e falsa applicazione della legge processuale; in particolare, della violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 18, 19, 20 c.p.c., con riferimento all’art. 1182 c.c..

Esse sostengono che forum destinatae solutionis riferibile ai restituendi titoli del debito pubblico italiano fosse quello del luogo dove si trovava la cosa al momento della nascita del rapporto obbligatorio (id est, Milano, luogo ove i titoli furono dati in pegno, ovvero Asti, luogo dove la Agorà aveva, nel luglio del 1992, trasferito la propria sede).

Il motivo non ha pregio.

L’art. 20 c.p.c., prevede, come foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione, anche quello "del luogo ove è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio":

trattandosi di obbligazione relativa a somma di danaro ricevuta a titolo di mutuo, come espressamente indicato in citazione di primo grado (e come rettamente ritenuto dal Giudice del merito), e non (come oggi, per la prima volta, del tutto inammissibilmente, sostenuto dalle ricorrenti, afferente a titoli di Stato, non emergendo tale circostanza da nessuno degli atti di causa che questa Corte è legittimata ad esaminare, e non essendo indicato neppure in quale fase del processi di merito tale questione sarebbe stata tempestivamente sollevata) di restituzione di certificati del tesoro, l’obbligazione in questione doveva essere adempiuta al domicilio del creditore.

Parimenti infondata risulta l’eccezione sollevata con riferimento al foro delle cause di simulazione, avendo anche su tale questione il giudice del merito fatto buon governo dei principi processuali che regolano la materia, in ottemperanza a principi di diritto già da questa stessa corte affermati in passato, a mente dei quali, "ai fini della determinazione della competenza per territorio in ordine all’azione di simulazione di un negozio di trasferimento immobiliare, data la natura personale di tale azione, trova applicazione l’art. 20 c.p.c., con la conseguenza che l’eccezione di competenza per territorio del Giudice adito va proposta, oltre che con riferimento al "forum rei" di cui all’art. 18 c.p.c., anche al forum contractus e al forum destinatae solutionis. (così Cass. n. 847 del 1985 e n. 780 del 1982).

Con il secondo motivo, lamentano ancora le ricorrenti la erronea. interpretazione e applicazione dell’art. 1957 c.c.; la omessa, insufficiente motivazione con riferimento alla eccepita decadenza. dell’obbligazione fideiussoria del C..

La richiesta di sequestro conservativo del 30.6.1995, cui il Giudice territoriale aveva annesso efficacia impeditivi della decadenza di cui all’art. 1957, difatti, non poteva a loro dire legittimamente spiegare tale effetto quoad tempus, poichè già nel novembre dell’anno precedente l’attore aveva invitato il C. alla restituzione della somma mutuata nonostante che il termine di adempimento (2.2.1995) non fosse ancora scaduto (nel motivo si specifica che l’eccezione di decadenza viene proposta "anche in via surrogatoria ex art. 2900 c.c."), così attivando il meccanismo ex lege della decadenza dal beneficio del termine, nella specie retrodatato al giorno di ricezione dell’istanza di adempimento anticipato. Inoltre, la domanda di sequestro era stata avanzata nei confronti del solo C. (fideiussore) e non dell’Agorà Servizi (debitore principale), contro la quale la citazione introduttiva del giudizio risaliva addirittura al marzo del 1996.

Il motivo non merita accoglimento.

Nonostante la predicata natura "surrogatoria" dell’eccezione de qua (e a prescindere dalla fondatezza nel merito delle doglianze ora ricordate), è del tutto evidente come entrambe le società (aventi, tra l’altro, personalità giuridica) siano assolutamente sfornite di legittimazione a contraddire sul punto, essendo prive di qualsiasi interesse processuale (irrilevanti risultando quelli economico – sostanziali) a sentir in ipotesi affermata la decadenza dell’azione verso il fideiussore di altro soggetto in seno ad un rapporto obbligatorio che, per entrambe ricorrenti, assume le evidenti vesti della res inter alios acta, riguardando il dedotto rapporto di garanzia esclusivamente le parti del contratto di fideiussione (e cioè il C. e il creditore D.O.).

Con il terzo motivo, si duole ancora la (sola) società Adest della omessa pronuncia, da parte della corte di appello capitolina, in ordine alla pur denunciata violazione della L. n. 1 del 1991, art. 1, contestandosi altresì la qualificazione giuridica in termini di mutuo del rapporto obbligatorio C. – D.O..

Il motivo è del tutto infondato.

In punto di interpretazione adottata dai Giudici di merito con riferimento al contenuto del complesso tessuto negoziale per il quale è processo, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice va in questa sede ribadito che, in tema di ermeneutica contrattuale, il sindacato di legittimità della corte stessa non può in alcun modo e sotto alcun profilo investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito delle valutazioni di fatto riservate al Giudice di merito, potendosi di converso esaminare esclusivamente il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e la coerenza e logicità della motivazione addotta (tra le tante, cfr. Cass. n. 2074 del 2002, anche in motivazione; Cass. n. 14982 del 2002): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al Giudice territoriale, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di in-terpretazione, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal Giudice di merito che si traduca (come nella specie) nella sola prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati, più consone alle aspettative e ai desiderata del ricorrente.

Nella specie, l’iter logico – giuridico seguito dai Giudici romani nel configurare come "un normale rapporto di prestito" (id est, come contratto di mutuo assistito da garanzia personale di tipo fideiussorio) la vicenda obbligatoria che legava il C. al D.O., del quale va in questa sede predicata la assoluta correttezza sotto ogni suo profilo argomentativo, risulta del tutto esente da censure, mentre del tutto infondata si appalesa, anche in punto di diritto, la opposta ricostruzione della vicenda negoziale, sì come auspicata dal ricorrente, in termini di rapporto obbligatorio avente titolo in atti di sollecitazione al pubblico risparmio ex lege n. 1 del 1991. B) IL RICORSO C. – AGORA’ SERVIZI IN LIQUIDAZIONE Con il primo motivo, si dolgono i ricorrenti dell’erroneo apprezzamento delle risultanza di causa e difetto di motivazione ; della violazione delle norme di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con riferimento all’art. 1915 c.c..

Si lamenta, da un canto, la mancata statuizione di risoluzione del contratto, dall’altro, che il meccanismo posto in essere tra le parti per la determinazione degli interessi in misura ultralegale doveva considerarsi nulla ai sensi del novellato art. 1815 c.c..

Al di là della sua manifesta infondatezza (pacifica, da un canto, la configurabilità, nella specie, di un ulteriore debito da interessi tra le parti; indiscussa, dall’altro, la circostanza che la L. 24 del 2001, interpretativa della L. n. 108 del 1996 – a sua volta modificativa dell’art. 644 c.p., e art. 1815 c.c., ricollega chiaramente la usurarietà del tasso convenuto al superamento del limite ex lege al momento della convenzione di mutuo, sì che la stipula di un contratto in epoca anteriore – nella specie, nel 1992 – non soggiace all’applicazione della normativa de qua), esso è ancor prima inammissibile, svolgendo questioni del tutto nuova rispetto al contenuto della sentenza impugnata: quanto alla prima, non risultando essa mai coltivata (senza che i ricorrenti, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, indichi gli atti del giudizio di merito in cui ciò sarebbe tempestivamente avvenuto: Cass. n. 1552 del 2002), quanto, alla seconda, indicando i ricorrenti come primo atto del giudizio in cui la doglianza sarebbe stata tempestivamente sollevata e coltivata la sola citazione in appello (folio 12 del ricorso).

Con il secondo motivo, si dolgono poi le due società della omessa pronuncia, da parte della corte di appello capitolina, in ordine alla, denunciata violazione della L. n. 1 del 1991, contestandosi nuovamente la qualificazione giuridica in termini di mutuo del rapporto obbligatorio C. – D.O..

Il motivo in esame ripete il suo contenuto da quello già in precedenza esaminato in punto di giuridica configurabilità del rapporto negoziale in contestazione: al rigetto della doglianza svolta, in proposito, nel ricorso Adest/Cà de ***** deve ritenersi conseguente, in parte qua, quello del motivo ora esaminato.

Con il terzo motivo, infine, si dolgono i ricorrenti di una ulteriore erronea applicazione della legge e delle risultanza processuali;

della violazione degli artt. 1414, 1415, 1416, 1417 c.c..

La doglianza è destituita di giuridico fondamento.

Nel lamentare la erroneità della statuizione di merito in punto di ritenuta simulazione dell’atto di compravendita intercorso tra il C. e la società Adest e del successivo contratto preliminare intervenuto tra le stesse parti, nonchè della nomina, quale terzo acquirente ex art. 1402 c.c., della società Cà ********, i ricorrenti omettono nuovamente di considerare, ancora, quanto già osservato in precedenza in sede di esame del 3^ motivo del ricorso Adest, e cioè che, quanto all’interpretazione adottata dai Giudici capitolini con riferimento al contenuto dell’atto negoziale di cui si contesta il carattere fittizio, il sindacato di legittimità del collegio oggi chiamato a decidere non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al Giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e la coerenza e logicità della motivazione addotta, che, nella specie, risulta ampia, esaustiva, immune da censure sul piano logico giuridico nella parte in cui ha puntualmente enumerato e valutato tutti gli "indici" simulatori della fattispecie negoziale in esame. Il motivo, sì come articolato, pur lamentando formalmente un difetto di motivazione, si risolve, pertanto, nella (non più ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito, dacchè i ricorrenti, difatti, lungi dal prospettare un vizio della sentenza gravata rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, appare in realtà funzionale al conseguimento di una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte di merito, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili perchè la valutazione delle risultanze probatorie (non meno che il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri) così come la scelta, fra esse, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al Giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e ipoteticamente verosimili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove ed. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita una nuova valutazione delle (ormai cristallizzate quoad effectum) risultanze fattuali del processo ad opera di questa Corte, onde trasformare surrettiziamente il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi che la fungibilità nella ricostruzione di un fatto fosse ancora legittimamente invocatile in seno al giudizio di Cassazione.

I ricorsi sono pertanto rigettati.

La disciplina delle spese segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte riunisce il ricorso a quello di cui al procedimento 903/2004 e rigetta entrambi. Spese del giudizio di cassazione interamente compensate tra le parti.

Redazione