Corte di Cassazione Civile sez. III 10/7/2008 n. 18889; Pres. Fantacchiotti M.

Redazione 10/07/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 3 maggio 1995 la Essemme di ****************** & *********, premesso che S.E. le aveva affidato l’incarico di ricercare un acquirente per l’immobile sito in (omissis), che essa concludente aveva curato la ricerca del compratore, facendo visitare l’appartamento ai vari interessati tra i quali T.R. e che questo ultimo aveva acquistato l’immobile, senza, peraltro, che le venisse corrisposta la provvigione dal caso, ha convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Napoli S.E. nonchè T.R., chiedendone la condanna al pagamento del compenso professionale del caso.

Costituitosi in giudizio esclusivamente S.E. questo ultimo ha resistito alla avversa domanda deducendone la infondatezza, atteso che la società attrice non era iscritta nel ruolo degli agenti di affari di mediazione, che esso concludente non aveva mai conferito all’attrice l’incarico di vendere l’immobile descritto in atti e che, comunque, l’affare si era perfezionato senza l’intervento della società attrice.

Svoltasi la istruttoria del caso con sentenza 30 maggio 2000 il tribunale adito ha rigettato la domanda.

Gravata tale pronunzia dalla soccombente Essemme di ****************** & *********, nei confronti sia di S.E. che di T.R. si è costituito in giudizio, in appello, esclusivamente lo S. chiedendo il rigetto della impugnazione e la Corte di appello di Napoli con sentenza 17 settembre – 20 ottobre 2004 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a tre motivi la Essemme di ****************** & ********* con atto 8 gennaio 2005.

Resiste, con controricorso S.E..

Non ha svolto attività difensiva in questa sede T.R..

Il P.G. ha chiesto la trattazione della causa in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la sentenza impugnata lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 82 e 88 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3; omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, art. 360 c.p.c., comma 5", per non avere la corte di appello dichiarato che per tutto il giudizio di primo grado il convenuto S. era rimasto del tutto assente e che lo stesso si è costituito nella udienza del 23 settembre 1999 depositando una comparsa di risposta di pura forma riportandosi a precedenti asseriti ma i-nesistenti scritti difensivi, nonchè la procura.

2. La censura è inammissibile, per difetto di interesse.

Giusta quanto assolutamente pacifico, in dottrina come presso una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice – da cui totalmente e senza alcuna giustificazione prescinde la difesa del ricorrente – si osserva che l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, deve essere individuato in un interesse giuridicamente tutelato, identificabile nella possibilità di conseguire una concreta utilità o un risultato giuridicamente apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata, non prospettandosi, perciò, sufficiente al riguardo la configurabilità di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica non suscettibile di produrre riflessi pratici sulla soluzione adottata (tra le tantissime cfr. Cass. 4 giugno 2007, n. 12952).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie nessuna utilità concreta può derivare, al ricorrente, dall’eventuale accoglimento della censura:

– non risulta – nè la circostanza è stata neppure in tesi prospettata – che il convenuto S. ancorchè, per ipotesi, costituitosi tardivamente, abbia spiegato inammissibili domande riconvenzionali o svolto, comunque, attività difensive per le quali si era verificata a suo carico (anteriormente al deposito della procura e della memoria di costituzione) alcuna preclusione;

– la domanda attrice, in primo grado, è stata rigettata perchè ritenuta sfornita di prova e, quindi, a prescindere dalle difese svolte dal convenuto S.;

– il primo giudice, ancorchè abbia rigettato la domanda attrice ha compensato, tra le parti, le spese di lite. E’ palese, pertanto, che anche nell’eventualità – in contrasto con le risultanze obiettive di causa come ammesse dallo stesso ricorrente – dovesse pervenirsi alla conclusione che lo S. era in primo grado "contumace" e non costituito, giammai potrebbe pervenirsi a una riforma della sentenza di appello o di quella di primo grado.

2. I giudici di appello hanno escluso che nella specie si sia a fronte a un "mandato a procurare la vendita", con conseguente diritto della società appellante al compenso per l’attività svolta, anche in assenza della sua iscrizione nel ruolo previsto dalla L. n. 39 del 1989.

"Le chiare allegazioni svolte dall’istante a fondamento della pretesa esperita – hanno evidenziato quei giudici – escludono che la società in parola abbia assunto l’obbligo di compiere una attività negoziale quale cooperatore giuridico delle parti".

"Risulta, invece, prospettato con tutta evidenza, che ad essa Essemme venne richiesto un comportamento materiale diretto a mettere in contatto le parti della auspicata, vendita, al fine di far concludere tra le stesse il correlativo contratto".

"Emerge, quindi, dal fatto enunciato a fondamento della pretesa – hanno concluso quei giudici sul punto – il carattere essenziale della figura giuridica del mediatore, ovvero la sua imparzialità, intesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività di intermediario".

3. Con il secondo motivo la ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando "violazione dell’art. 1754 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; art. 360 c.p.c., n. 5", atteso che "se soltanto si volesse dare uno sguardo all’atto introduttivo del presente giudizio chiunque si accorgerebbe che già nella citazione era chiaramente enunciata la dinamica dei fatti, dall’ incarico conferito dal… S. alla ricorrente di ricercare un acquirente dell’immobile.. all’analisi dell’affare che prevedeva l’estinzione di un’ipoteca gravante sull’immobile…", "di tutte queste vicende esisteva ab origine una copiosa documentazione proveniente dall’attuale resistente e dalla Banca Popolare di Napoli".

4. Al pari del precedente il motivo è inammissibile.

L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione letterale nonchè del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla parte stessa (Cass. 26 giugno 2007, n. 14751).

L’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, sicchè deve escludersi il vizio di ultra petizione quando il giudice del merito si sia attenuto all’ambito di una tale interpretazione, senza ampliare la propria indagine oltre i limiti dei fatti prospettati dalla parte e senza omettere di considerarne alcuni. In tal caso il dedotto errore del giudice può concretizzare un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 31 gennaio 2007, n. 2096; Cass. 17 novembre 2006, n. 24495).

Pacifico quanto precede si osserva che la ricorrente, pur censurando la interpretazione data dai giudici del merito alla propria domanda si astiene dal denun-ziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. limitandosi a opporre alla interpretazione dei documenti di causa compiuta dai giudici del merito, una diversa lettura, delle stesse risultanze di causa preclusa in questa sede di legittimità.

Anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva che il motivo è inammissibile anche sotto un ulteriore, concorrente, profilo.

Si osserva, in particolare, in una con una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, che il ricorso per cassazione – in ragione del principio di cosiddetta autosufficienza dello stesso – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere – particolarmente nel caso in cui si tratti di interpretare il contenuto di una scrittura di parte – a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 13 giugno 2007, n. 13845; Cass. 18 aprile 2007, n. 9245; Cass. 9 gennaio 2006, n. 79, tra le tantissime).

Nella specie parte ricorrente pur affermando che nella citazione era chiaramente enunciata la dinamica dei fatti e che esiste in atti una copiosa documentazione proveniente dalla parte controricorso, si astiene dal trascrivere, in ricorso, sia l’una che l’altra, e non permette, così, a questa Corte di compiere alcuna valutazione al riguardo.

Quanto, da ultimo, alla circostanza che il ragionamento della Corte del merito sarebbe contraddittorio perchè afferma che "alla Essemme venne richiesto un comportamento materiale" conclude poi che si ravvisa nella attività della ricorrente il carattere essenziale della figura del mediatore, ovvero la sua imparzialità intesa come assenza di ogni vincoli di mandato e di prestazione d’opera, il rilievo è manifestamente infondato.

E’ palese, infatti, che tra le due espressioni non esiste alcuna contraddizione, nè logica, nè giuridica.

Mentre, in particolare, con la prima i giudici a quibus hanno inteso sottolineare la assenza delle condizioni per poter affermare che le parti avevano dato vita a un contratto di mandato (definito dall’art. 1703 c.c., come il contratto "col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’ altra) con la seconda hanno evidenziato che l’attività svolta, in concreto dalla Essemme era quella del mediatore (ex art. 1754 c.c., infatti, è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza).

5. La domanda attrice, sotto il profilo di cui all’art. 1754 c.c. e ss., è stata rigettata – dai giudici del merito – sul rilievo che in tema di mediazione la disciplina dettata dalla L. 2 marzo 1989, n. 39, nel porre in risalto la natura professionale dell’attività del mediatore, ne ha subordinato l’esercizio alla iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determina ti requisiti di cultura e di competenza e ha condizionato la spettanza del compenso alla iscrizione stessa.

Per le società – hanno evidenziato i giudici del merito – la ripetuta iscrizione non è affatto automatica, neppure nel caso il legale rappresentante fosse, quale persona fisica, già iscritto nei ruoli costituiti in base alla L. n. 253 del 1958, ed è noto che qualora l’attività di mediazione sia svolta in forma societaria l’obbligo di iscrizione nell’apposito ruolo grava in primo luogo sulla società in quanto tale e anche sui suoi legali rappresentanti, sul preposto a tale ramo di attività e sugli ausiliari che svolgano l’attività mediatoria per conto della società, i quali tutti devono possedere i requisiti previsti dalla L. n. 39 del 1989, e dal regolamento di attuazione approvato con D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, e nel caso di specie la Emesse è stata iscritta nel ruolo dei mediatori unicamente dal 16 giugno 1994, cioè da epoca successiva alla conclusione della vendita.

6. Con il terzo e ultimo motivo, la ricorrente cen-sura la sentenza impugnata nella parte de qua, denunziando "violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 39 del 1989: art. 360 c.p.c., n. 3; insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, art. 360 c.p.c., n. 5".

Si osserva, in particolare, da un lato, che risulta dagli atti di causa che essa concludente è stata costituita sin dal 6 maggio 1967, avendo, quale oggetto, tra le altre attività quella di "mediazione immobiliare e di affari in genere come previsto dall’art. 1742 c.c. e ss.", dall’altro, che la società ha nominato, già il 12 agosto 1993, quale proprio institore il rag. M.L., iscritto nell’ambito degli agenti in mediazione.

7. Il motivo è manifestamente infondato.

In conformità a quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, infatti, deve ribadirsi, ulteriormente che l’iscrizione nel vecchio ruolo di cui alla L. n. 253 del 1958, pur costituendo titolo per l’iscrizione automatica in quello istituito ex novo dalla L. n. 39 del 1989, e pur abilitando, nelle more di tale nuova iscrizione, le singole persone fisiche a svolgere l’attività di mediazione, non estende, per converso, i suoi effetti al di là della sfera giuridica del soggetto/persona fisica considerato, con la conseguenza che il soggetto stesso, se legale rappresentante di una società di mediazione, non può ritenersi ipso facto abilitato, anche in tale ulteriore qualità, a svolgere legittimamente l’attività predetta (svolgimento che postula, pertanto, l’adempimento di tutte le formalità di iscrizione previste della L. n. 39 del 1989, e dal relativo regolamento di attuazione), atteso che l’iscrizione nel ruolo dei mediatori della società non consegue automaticamente all’iscrizione (reale o virtuale) di una persona fisica che rivesta, nel contempo, la qualità di rappresentante legale della società stessa (Cass. 2 maggio 2001, n. 6160).

In altri termini, in tema di mediazione, qualora l’attività di intermediazione sia svolta in forma societaria, l’obbligo di iscrizione nell’apposito ruolo grava in primo luogo sulla società in quanto tale ed anche sui suoi legali rappresentanti, sul preposto a tale ramo d’attività e sugli ausiliari che svolgano l’attività mediatoria per conto della società, i quali tutti dovranno possedere i requisiti previsti dalla L. 3 febbraio 1989, n. 39, e dal regolamento di attuazione approvato con D.M. 21 dicembre 1990, n. 452.

Deriva, da quanto precede, quindi, che è insufficiente, al fine del sorgere del diritto alla provvigione in capo alla società non iscritta nell’apposito ruolo che abbia esercitato attività di mediazione, il fatto che il suo legale rappresentante sia iscritto nel ruolo dei mediatori come persona fisica, in quanto ciò lo abilita a svolgere l’attività di mediazione e a percepire la provvigione in nome proprio e non anche a nome della società, con conseguente obbligo di restituire la provvigione percepita in capo al soggetto non iscritto (in termini, ad esempio, Cass. 31 luglio 2002, n. 11372).

Certo quanto precede, pacifico che la società Essemme, ancorchè costituita con lo scopo, tra l’altro, di svolgere attività di mediazione immobiliare, è stata iscritta nel relativo ruolo esclusivamente in epoca successiva ai fatti per cui è controversia (cioè con decorrenza dal 16 giugno 1994) è di palmare evidenza che è irrilevante e non pertinente che la stessa avesse nominato un institore iscritto nell’albo degli agenti in mediazione.

8. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 100,00 per spese, Euro 3.000,00 per onorari, e oltre rimborso forfetario delle spese generali e accessori come per legge.

Redazione