Corte di Cassazione Civile sez. II 20/7/2009 n. 16841

Redazione 20/07/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 21.11.91 in cancelleria presso la Pretura Circondariale di Siracusa – sez. distac. di *******, M.R.F., premesso di essere proprietaria di un immobile urbano a più piani sito in (omissis), sul cui muro di levante (del corpo scale interno) si apriva una finestra di luce prospettante sul limitrofo immobile di proprietà dei coniugi Si.Am. e C.C. e che tale finestra era stata oggetto del regolamento di servitù con atto pubblico stipulato con danti causa dei convenuti (rogito notaio ********** del (omissis)), esponeva che questi ultimi, in occasione della sopraelevazione del loro limitrofo edificio, avevano chiuso, con un muro di contorno del nuovo terrazzo, la predetta finestra lucifera, in violazione del disposto di cui all’art. 904 c.c.. Chiedeva quindi la ricorrente al Pretore adito la manutenzione del possesso, con l’ordine ai convenuti di cessazione di ogni turbativa e di ripristino dello stato dei luoghi mediante rimozione dell’occlusione della finestra in questione. Resistevano i convenuti rilevando che la lamentata chiusura della finestre era stata dai medesimi attuata iure proprietatis, sia con riguardo all’art. 904 c.c., sia con riferimento alla menzionata convenzione di regolamento di servitù, in forza della quale era consentita la chiusura immediata della finestra stessa nel caso di sopraelevazione dell’attuale confinante loro casa.

Il giudice adito, all’esito dell’esperita istruttoria, con sentenza depos. in data 21.9.2001, ritenendo illegittima l’occlusione della finestra conseguente alla costruzione in aderenza del muro perimetrale esterno alla terrazza, che non poteva considerarsi quale sopraelevazione del proprio edificio, condannava i convenuti a ripristinare lo stato dei luoghi, eliminando l’occlusione in parola.

La sentenza in questione era appellata dal S. e dalla C. che proponevano numerose censure; si costituiva la M. chiedendo il rigetto dell’impugnazione. L’adita Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 3324 depos. in data 19.4.2004, rigettava l’appello e confermava la decisione impugnata, argomentando che il muro di contorno de terrazzo costruito in aderenza alla finestra lucifera, non era giustificato – con riguardo, in specie, alla sua eccessiva altezza in corrispondenza dei confine con l’edificio dell’appellata – ai fini della sopraelevazione dell’edificio degli appellanti, da ragioni tecniche, nè da motivi estetici, di talchè la sua costruzione integrava una turbativa del possesso dell’appellata.

Avverso la predetta sentenza, C.C., nonchè S. C. e S.A., quali eredi di Si.Am. propongono ricorso per cassazione, fondato su 3 censure. Resiste l’intimata con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione al contratto di servitù volontaria ex art. 1058 c.c., in quanto il regolamento pattizio di servitù, secondo il rogito ********** del (omissis), consentirebbe il mantenimento solo temporaneo della finestra luce, fino a quando cioè non si sarebbe proceduto alla sopraelevazione dell’edifico confinante.

La doglianza non è fondata. Invero l’accertamento relativo alla qualifica di sopraelevazione del muro di contorno di cui trattasi è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, come tale incensurabile in Cassazione ove adeguatamente motivato. In proposito il giudice a quo in effetti ha correttamente ritenuto che l’edificazione di tale muro, costruito in aderenza della preesistente finestra lucifera, in considerazione tra l’altro della sua eccessiva altezza (m. 2,50) non era giustificato ai fini della sopraelevazione dell’edificio, nè da ragioni estetiche nè da necessità tecniche o funzionali, in modo tale che la sua costruzione poteva integrare un vera e propria turbativa del possesso della luce, in sostanza ha correttamente rilevato il giudice a quo, che "dagli elementi probatori acquisiti, risulta che la sopraelevazione dei convenuti (con la costruzione del relativo terrazzo di copertura) ben avrebbe potuto essere realizzata senza occludere la finestra dell’attrice, ossia mediante la costruzione di un muro di delimitazione dello terrazza di altezza inferiore alla detta finestra (e ciò soprattutto in corrispondenza del confini con l’attrice, ove la presenza della parete perimetrale dell’edificio di costei svolge già la funzione di parapetto protettivo)".

Al riguardo giova altresì ribadire che, secondo la normativa vigente, il sacrifico de vicino di tenere luci nel muro è subordinato all’effettiva erezione di una costruzione in appoggio o in aderenza del muro stesso, che però apporti una concreta utilità a chi l’ha costruita: è questa la sola condizione richiesta dall’art. 904 c.c., comma 2, per sacrificare il diritto del vicino di tener le luci nel muro (Cass. n. 126 del 1.07.2004, Cass. 15442 del 4.12.2000).

Con il secondo motivo del ricorso, si denunzia a violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 191 c.p.c., per la mancata ammissione della CTU ai fini dell’accertamento "del carattere di continuità morfologico – strutturale o comunque operativo – funzionale" del muro perimetrale di contorno della terrazza rispetto al corpo edificatorio risultante dall’avvenuta sopraelevazione della casa dei ricorrenti.

Anche tale doglianza è priva di pregio dal momento che tali richieste istruttorie sono state rigettate dal giudice con motivata ordinanza, trattandosi di valutazione di merito rimesse al suo prudente apprezzamento, come tale incensurabile in Cassazione in quanto adeguatamente motivato.

Con l’ulteriore motivo de ricorso, si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 904 c.c., comma 1, e la falsa applicazione degli artt. 1168, 1170 e 1171 c.c., deducendo che la tutela possessoria delle luci non può essere invocata nel caso di specie in cui la loro chiusura è consentita iure proprietatis ex art. 904 c.c., u.c., e in forza del regolamento pattizio della servitù stessa in caso di sopraelevazione.

Tale censura è certamente priva di pregio e si richiamano a tal fine le considerazioni svolte con riferimento al primo motivo circa la possibilità di esercitare in concreto il diritto di chiudere le luci. Invero l’esercizio della facoltà di erigere la costruzione in aderenza o in appoggio al muro su cui si apre la luce è comunque subordinata all’accertamento (di mero fatto) che l’opera realizzata abbia comunque un’effettiva utilità che escluda finalità meramente emulative (v. Cass. n. 12016 del 2004).

Il ricorso è dunque infondato e come tale dev’essere disatteso. Le spese processuali seguono la soccombenza sono poste a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

la Corte, rigetta ricorso e condanna i ricorrenti ai pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorario, oltre spese ed accessori come per legge.

Redazione