Corte di Cassazione Civile sez. II 20/7/2009 n. 16838; Pres. Rovelli L. A.

Redazione 20/07/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.S. e la Generoso srl, proponevano opposizione avverso il decreto d’ingiunzione n. 109490 emesso in data 9.05.2002 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la quale era stata irrogata a carico del G., in solido con menzionata società, la sanzione pecuniaria di Euro 123.484,00 per la violazione del D.L. n. 167 del 1990, art. 3, conv. in L. n. 227 del 1990. L’atto impugnato traeva origine dal verbale con il quale la GdF aveva contestato agli opponenti la violazione di norme valutarie in tema di trasferimenti all’estero, al seguito, di somme di danaro eccedenti la franchigia consentita ai sensi della L. n. 227 del 1990, art. 3. Secondo tale verbale (che a sua volta faceva riferimento ad altro precedente della stessa GdF) la società Generoso a rl aveva acquistato autovetture usate, per lo più in (omissis), per un importo complessivo di circa L. 900.000.000 nell’anno 1997 e di circa 5.500.000.000 nell’anno 1998, con la successiva annotazione, nella contabilità obbligatoria, delle transazioni effettuate con la causale "pagamento in contante, ciò che aveva fatto ritenere ai verbalizzanti che gli acquisti eseguiti in (omissis) erano stati effettuati con danaro e valori custoditi nella "cassa", quindi senza il ricorso ad intermediar abilitati. Più precisamente i militari, attraverso l’esame dei vari contratti sottoscritti relativi all’acquisto dei veicoli, raggruppandoli per periodi consecutivi e sommando gli importi di riferimento, avevano ritenuto che le somme di danaro fossero state trasferite all’estero in un’unica circostanza e che le stesse ammontassero in L. 956.394.400, ciò che aveva comportato l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al decreto impugnato.

A sostegno dell’opposizione i ricorrenti eccepivano: il difetto di motivazione del provvedimento impugnato (motivazione per relationem: violazione D.P.R. n. 148 del 1988, art. 32, comma 1); la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, e art. 7, comma 1, (Statuto diritti del contribuente: motivazione dell’atto e diritti e garanzia del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni riportate nel pvc del 14.02.10; la violazione del D.P.R. n. 148 del 1988, art. 31, comma 2; l’illegittimità del pvc di illecito valutario perchè fondato su presunzioni sfornite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; l’erronea valutazione della sanzione in concreto applicata e la mancata applicazione della c.d. continuazione.

Nel corso del giudizio l’Amministrazione era rappresentata e difesa in un primo tempo da un funzionario dell’Agenzia delle Entrate e successivamente dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato. Infine, l’adito Tribunale di Agrigento con la sentenza n. 346 del 2004 accoglieva il ricorso ed annullava il decreto di ingiunzione impugnato.

Avverso la predetta sentenza, il Ministero dell’Economia e delle Finanze propone ricorso per cassazione; l’intimato G.S. resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso l’Amministrazione denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, e dell’art. 106 c.p.c.; deduce che il giudice di merito era caduto in errore allorchè aveva ritenuto come non avvenuta la costituzione in giudizio del Dipartimento del Tesoro; tale costituzione invero poteva avvenire anche con scritti difensivi trasmessi a mezzo del servizio postale presso la cancelleria del giudice competente, mentre la rappresentanza in giudizio poteva essere affidata anche ad un funzionario dell’Agenzia delle Entrate. In ogni caso, la successiva costituzione in giudizio del procuratore designato dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato aveva effetto sanante di ogni eventuale pregressa nullità processuale.

La doglianza è fondata anche se la questione sollevata non ha alcun rilevo nella fattispecie in esame, atteso che, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 4, l’Amministrazione che ha emesso l’ordinanza può stare in giudizio avvalendosi di funzionari appositamente delegati, non essendo dunque necessario che si avvalga del patrocinio erariale. Con il secondo motivo la ricorrente amministrazione denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 18, e del D.P.R. n. 148 del 1988, art. 13, e della L. n. 121 del 2000, art. 12; deduce che erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto il decreto d’ingiunzione impugnato carente di motivazione; invero il provvedimento sanzionatorio conteneva tutti gli elementi necessari per consentire la difesa del contravventore, facendo riferimento – quanto alla motivazione – sia alla relazione illustrativa allegata (ove sono dettagliatamente analizzati gli elementi che hanno portato ad affermare fa responsabilità del ricorrente e viene evidenziata tutta l’attività istruttoria compiuta), sia al verbale di accertamento della polizia tributaria. L’ingiunzione comunque è correttamente motivata per relationem facendo esplicito riguardo ai parere espresso dalla Commissione consultiva per le infrazioni valutarie.

La doglianza è fondata.

Intanto va sottolineato in premessa che l’opinione del primo giudice circa l’avvenuta violazioni di norme del c.d. Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000) è certamente erronea e non pertinente in quanto tale normativa non riguarda la materia valutaria ai sensi della quale è stato sanzionato il comportamento illecito del G.. Ciò emerge chiaramente dal tenore letterale delle disposizioni della stessa L. n. 212 del 2002, ed in particolare dall’art. 1 secondo il quale "le disposizioni della presente legge …. costituiscono principio generale dell’ordinamento tributario .. "Tali considerazioni valgono anche con riguardo alla doglianza relativa al punto della sentenza in cui erroneamente si è ritenuto violato la stessa L. n. 212 del 2000, art. 12.

Ciò posto, non v’è dubbio che il decreto opposto è motivato per relationem ai parere della commissione che, a sua volta è motivato per relationem al verbale d’accertamento. Il giudice a quo ritiene erroneamente che la motivazione per relationem non è valida quando il documento richiamato a sua volta è motivato per relationem ad altro, senza però motivare in qualche modo tale sua affermazione. Si tratta invero di un assunto privo di fondamento normativo e logico: ai fini della validità e sufficienza della motivazione del provvedimento sanzionatorio è soltanto necessario che i documenti compresi nella catena dei richiami siano tutti riconoscibili e che i richiami stessi siano precisi e congrui, in modo tale che il cittadino venga posto in condizioni di conoscere le ragioni dell’amministrazione e di esser dunque in grado di esercitare il suo diritto di difesa.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte " il contenuto dell’obbligo imposto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18, comma 2, di motivare l’atto applicativo della sanzione amministrativa, va individuato in funzione dello scopo della motivazione stessa, che è quello di consentire all’ingiunto la tutela dei suoi diritti mediante l’opposizione. Pertanto, il suddetto obbligo deve considerarsi soddisfatto quando dall’ingiunzione risulti la violazione addebitata, in modo che l’ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo giurisdizionale, con la conseguenza che è ammissibile la motivazione "per relationem" mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo e, in particolare, del verbale di accertamento, già noto al trasgressore in virtù della obbligatoria preventiva contestazione". (Cass. n. 20189 del 22/07/2008; con specifico riguardo all’infrazioni valutarie v. Cass. n. 13254 del 27711/1999).

La sentenza impugnata afferma ancora che il Ministero avrebbe determinato la sanzione da irrogare senza considerare i criteri di determinazione prescritti dalla legge. Si tratta di censura generica, posto che la sentenza impugnata non da conto dei profili per cui sarebbe da considerare non correttamente esercitato il potere discrezionale di determinazione della sanzione inflitta, attribuito dalla legge all’amministrazione (L. n. 689 del 1981, art. 11). Invero, alla luce di tali considerazioni, doveva ritenersi congrua la sanzione comminata, inferiore al 35% dell’importo illegittimamente trasferito all’estero, avuto riguardo a tal fine al disposto normativo di cui alla L. n. 227 del 1990, art. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 125 del 1997, art. 2. Con il successivo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 227 del 1990, art. 3, e dell’art. 2729 c.c., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione, nel punto in cui la sentenza impugnata ha ritenuto insufficienti gli elementi probatori utilizzati per l’accertamento dell’infrazione valutaria.

Il giudice di merito ha censurato il metodo di quantificazione della somma complessivamente trasferita al seguito, in violazione del D.L. n. 167 del 1990, art. 3, sostenendo che ogni singolo acquisto di autoveicoli usati in (omissis) dal G. per conto della sua società, avrebbe potuto integrare una operazione commerciale a sè stante, che quindi poteva essere contenuta nei limiti della franchigia di L. 20.000.000 consentita dalla legge. Invece secondo il Ministero deve ritenersi corretta la metodologia seguita dai verbalizzanti, per cui le somme da prendere in considerazione erano quelle relative all’importo complessivamente trasferito al seguito delle varie operazioni indicate nel pvc del 14.2.02, tutte eccedenti la soglia prevista dalla normativa allora in vigore.

La censura è chiaramente fondata essendo la statuizione in questione inficiata da manifesta illogicità. I giudice a quo, seguendo pedissequamente ed acriticamente l’impostazione difensiva degli opponenti, ha rilevato che le risultanze delle scritture contabili – secondo cui i prezzi delle auto acquistate in (omissis) erano pagati in contanti – non potevano essere utilizzati come prova dato che la stessa amministrazione aveva constato la presenza di irregolarità in tali scritture. Va ricordato al riguardo, che a norma dell’art. 2709 c.c., le scritture contabili, anche se irregolari, fanno sempre prova contro l’imprenditore e che l’eventuale falsità di esse non può essere da questi utilizzata a proprio vantaggio per negare tale valore di prova a suo danno. La sentenza impugnata afferma poi l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal sig. G. in ragione della mancanza di un’autorizzazione del Capo reparto della GdF di Agrigento: si tratta di affermazione priva di motivazione e di fondamento normativo.

Infine, la circostanza affermata dal primo giudice secondo cui vi sarebbero stati viaggi all’estero per l’acquisto di autovetture per importi inferiori alla franchigia, si pone al di fuori dei confini di una sensata considerazioni delle provabilità, sulla base delle stesse dichiarazioni del G.: la sentenza è sul punto non motivata o motivata in modo illogico, posto che si ritiene non raggiunta la prova indiziaria solo in ragione della sussistenza di una possibilità meramente teorica di un evento contrario a quello presumibile.

In conclusione ed in sintesi il ricorso va accolto per quanto di ragione, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata; il rinvio della causa anche per le spese, al Tribunale di Agrigento in diversa composizione, che dovrà giudicare secondo i principi sopra espressi, con riguardo in specie alla questione relativa alla quantificazione della somma trasferita all’estero oltre i limiti della franchigia.

P.Q.M.

accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia della causa anche per le spese, al Tribunale di Agrigento in diversa composizione.

Redazione