Corte di Cassazione Civile 1/2/2007 n. 2207

Redazione 01/02/07
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Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 5.11.1994, G., F. ed A.G. convenivano davanti al Tribunale di Trapani il Comune di Paceco, premettendo:

a) che, con ordinanza sindacale del 9.12.1987, era stata disposta per cinque anni, a decorrere dall’immissione in possesso, l’occupazione temporanea dei fondi di loro proprietà, agli effetti della realizzazione del prolungamento della (omissis);

b) che la delibera della Giunta Municipale del 31.12.1986, la quale aveva approvato il progetto dell’opera, non indicava i termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori e delle espropriazioni, onde era da ritenere radicalmente viziata.

Tanto premesso, gli attori chiedevano la condanna del convenuto al risarcimento dei danni derivanti dall’irreversibile trasformazione delle aree, avvenuta entro il 30.12.1989, nonchè al pagamento dell’indennità per l’occupazione legittima delle medesime, oltre agli accessori.

Costituitosi in giudizio, il Comune, in via preliminare, eccepiva la prescrizione del diritto vantato ex adverso e, nel merito, rilevava che i fondi degli istanti erano di modesta estensione ed interclusi.

Il Giudice adito, con sentenza del 3.5/14.9.2000, rilevata l’inesistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità e ravvisati, quindi, nella specie, gli estremi di un’occupazione usurpativa, ovvero di un illecito a carattere permanente, disattendeva la preliminare eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto e condannava quest’ultimo al pagamento in favore degli attori degli importi loro rispettivamente dovuti a titolo di risarcimento dei danni derivanti dalla perdita dei fondi, nonchè degli importi loro rispettivamente dovuti a titolo di indennizzo per l’occupazione illegittima, dalla data dell’immissione in possesso fino alla data della rinuncia al bene formulata con la domanda giudiziale.

Avverso la decisione, proponeva appello il Comune, lamentando che il primo Giudice avesse:

a) respinto l’eccezione di prescrizione, sebbene ai G. fosse stata nota fin dall’inizio l’esistenza del procedimento ablatorio;

b) attribuito ai fondi destinazione edificatoria, malgrado la destinazione a strada impressa dagli stessi proprietari;

c) riconosciuto a questi ultimi un indennizzo per l’occupazione di un bene assolutamente improduttivo.

Resistevano nel grado gli appellati, chiedendo, in via principale, il rigetto dell’impugnazione, nonchè, in via incidentale, l’ulteriore rivalutazione, fino alla data della pronuncia, degli importi liquidati a titolo di risarcimento del danno.

La Corte territoriale di Palermo, con sentenza del 5.4/25.9.2002, in parziale riforma della decisione appellata, determinava gli importi rispettivamente dovuti agli attori a titolo di risarcimento dei danni subiti per l’occupazione usurpativa dei fondi di loro proprietà, segnatamente assumendo:

a) che l’omessa indicazione dei termini di inizio e di completamento delle procedure ablatorie determinasse l’inesistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità e, dunque, il carattere di illecito permanente in capo all’occupazione, onde tale carattere impediva il decorso della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni;

b) che agli appellati, i quali con la citazione introduttiva del giudizio di primo grado avevano sostanzialmente abdicato al loro diritto di proprietà, dovesse riconoscersi il risarcimento dei danni derivanti dall’irreversibile trasformazione dei fondi, da correlarsi al valore di questi ultimi alla data di siffatta irreversibile trasformazione, nel senso esattamente che il risarcimento per il fatto illecito consistente nella trasformazione del fondo, senza la ricorrenza di una causa di pubblica utilità, non poteva che essere commisurato al valore pieno del terreno perduto, ovvero al valore di mercato del bene;

c) che, rilevata, quindi, in relazione all’abusività dell’occupazione, l’inapplicabilità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, i danni sopportati dagli attori non potessero, tuttavia, venire liquidati nella misura determinata dal Tribunale, sulla scorta delle conclusioni enunciate dal consulente tecnico d’ufficio (L. 150.000 al metro quadrato), in base ad una destinazione edificatoria, inequivocabilmente esclusa dalla destinazione a strada impressa dagli stessi proprietari;

d) che il danno dovesse, dunque, essere liquidato in una somma corrispondente al valore venale del bene nel momento in cui ricorreva il mutamento fisicogiuridico, con gli interessi legali al tasso vigente all’epoca per il lasso di tempo di progressiva trasformazione, ovvero in una somma unica, comprensiva della perdita del bene medesimo e degli interessi per il mancato godimento di quest’ultimo prima della perdita anzidetta, da rivalutarsi alla data della decisione costituendo obbligazione di valore, con gli interessi compensativi, a decorrere dalla data dell’illecita apprensione e fino alla data dell’effettivo soddisfacimento, sugli importi progressivamente rivalutati.

Avverso tale sentenza, ricorrono per cassazione G., F. ed A.G., deducendo due motivi di gravame ai quali non resiste il Comune di Paceco.

Ravvisandosi una delle ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c. e art. 138 disp. att. c.p.c., è stata fissata la trattazione del ricorso in camera di consiglio.

Motivi della decisione
Deve, innanzi tutto, essere ritenuta l’ininfluenza della contemporanea pendenza, davanti a questa Corte, del ricorso iscritto al numero di R.G. 21878/2003 (******/******* contro Comune di Paceco), avente per oggetto, secondo quanto segnalato dal difensore degli odierni ricorrenti attraverso la memoria in data 6.10.2006, l’occupazione in carenza di potere di altra area ricadente nella medesima zona edificatoria e destinata alla realizzazione della stessa strada nel Comune anzidetto.

Premesso, infatti, come non ricorra, nella specie, il caso previsto dall’art. 335 c.p.c., atteso che il ricorso sopraindicato (il cui esame, rimesso alle Sezioni Unite con ordinanza della Prima Sezione n. 10049/2006 in data 7.3/29.4.2006, è stato, peraltro, nuovamente demandato a tale Sezione con provvedimento del Presidente Aggiunto in data 18.10.2006) attiene all’impugnazione proposta contro una differente sentenza (la n. 847/2002, ancorchè resa, sotto la medesima data di pubblicazione, ovvero il 25.9.2002, dalla stessa Corte territoriale), si osserva che neppure è da ravvisare un’ipotesi di connessione assimilabile al caso di cui al predetto art. 335 c.p.c., dal momento che le due sentenze (quella, cioè, dianzi menzionata e quella – la n. 848/2002 – impugnata attraverso il ricorso odierno) nè si palesano tali, integrandosi reciprocamente, da avere definito un giudizio in realtà "unico", nè si palesano tali, comunque, che l’esito dell’impugnazione dell’una possa risultare determinante ai fini della decisione sull’impugnazione dell’altra.

Con il primo motivo di impugnazione, lamentano i ricorrenti insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo:

a) che la Corte territoriale, pur riconoscendo che nella fattispecie si è in presenza di una occupazione cosiddetta "usurpativa", attuata, cioè, in assenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità, pur riconoscendo che per tale comportamento illecito della Pubblica Amministrazione il risarcimento deve essere commisurato al valore pieno del terreno perduto non trovando applicazione i criteri di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65, e pur riconoscendo che le aree ricadevano in zona (omissis) del P.R.G. di Paceco, ha riformato integralmente sul punto la decisione di primo grado, addivenendo ad una valutazione riferibile ad un suolo di natura agricola in ragione del solo fatto che dette aree erano state destinate alla realizzazione della (omissis) e che su una parte delle aree attribuite a due eredi (proprio per la presenza di un vincolo urbanistico di destinazione a strada) era stato nell’atto di divisione concordato fra le parti, ed a titolo provvisorio, il riconoscimento di una servitù di passaggio in favore dell’altra coerede;

b) che detto Giudice non ha dato alcun peso alle risultanze della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio di primo grado nè a quelle del certificato di destinazione urbanistica (dalle quali si evince che le aree in oggetto, al momento dell’ordinanza di occupazione d’urgenza in data 9.12.1987 e del verbale di immissione in possesso redatto in data 23.1.1988, ricadevano in zona (omissis) del Programma di fabbricazione, con indice di edificabilità di 5,00 mc./mq.), avendo immotivatamente ritenuto che si trattava di aree libere e che la natura edificatoria di queste ultime veniva inequivocabilmente esclusa dalla destinazione a strada impressa dagli stessi propri ettari;

c) che le aree di proprietà degli odierni ricorrenti, ricadendo dunque interamente in zona (omissis), erano da considerare edificatorie a tutti gli effetti, considerato anche che la destinazione a prolungamento della strada comunale impressa dal Comune ad una parte di tali aree era un vincolo preordinato all’espropriazione;

d) che la Corte territoriale, invece, ha riconosciuto che si era in presenza di un’area la quale aveva avuto impressa una destinazione a strada anche dagli stessi proprietari, malgrado all’atto della divisione ereditaria tra i germani fosse stato fatto riferimento solamente all’obbligo di considerare esistente una provvisoria servitù di passaggio la quale sarebbe venuta meno con la realizzazione della (omissis), laddove la stessa derivava dall’accertamento contemplato nello strumento urbanistico del Comune occupante.

Il motivo è manifestamente fondato.

*****, al riguardo, premettere come la costante giurisprudenza di questa Corte (donde, appunto, la manifesta fondatezza del suddetto motivo) abbia affermato:

a) che, nell’ipotesi (come quella di specie) di occupazione cosiddetta "usurpativa", la valutazione dell’area che ne è stata oggetto deve essere operata con apprezzamento analogo a quello dettato dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis (di conversione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333) per le ipotesi di espropriazione sia formale sia sostanziale, ovvero con riferimento alla disciplina urbanistica vigente al tempo del compiuto illecito ed in base al criterio dell’edificabilità o meno dei suoli (Cass. 5 dicembre 2002, n. 17252; Cass. 9 giugno 2006, n. 13477);

b) che il sopra richiamato art. 5 bis, infatti, nel dettare nuovi criteri per la disciplina della stima dell’indennità di espropriazione, ha introdotto una rigida bipartizione (agricoli ed edificabili) dei suoli medesimi, derivante dal riconoscimento attribuito all’area in considerazione dallo strumento urbanistico, restando esclusa la configurabilità di un tertium genus che, agli effetti indennitari, consideri le potenzialità paraedificatorie del terreno ed i possibili sfruttamenti economici di questo in termini non strettamente agricoli, onde un’area va ritenuta edificabile quando (e per il solo fatto che) come tale essa risulti classificata appunto dagli strumenti urbanistici vigenti al momento del perfezionamento della vicenda ablatoria, secondo un criterio di prevalenza o di autosufficienza dell’edificabilità legale, laddove la cosiddetta edificabilità "di fatto", correlata alle peculiari circostanze del caso che rafforzano o comprimono l’edificabilità, rileva esclusivamente in via suppletiva (in carenza, cioè, di strumenti urbanistici), ovvero in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennità (Cass. 21 maggio 2003, n. 7950; Cass. 9 giugno 2004, n. 10889; Cass. 11 febbraio 2005, n. 2871);

c) che il piano regolatore generale o il piano di fabbricazione contengono, di regola, il programma generale di sviluppo urbanistico e le previsioni, necessariamente generiche, in esso contenute, sono condizionate dalle caratteristiche fisico-geografiche del territorio comunale, onde la destinazione di parti di quest’ultimo a determinati usi, pur preludendo ad una possibile acquisizione pubblica dei suoli necessari, resta normalmente estranea alla vicenda ablatoria, di modo che, pur non potendosi escludere, in particolari casi, che la destinazione di singole aree, in genere rimessa alle previsioni dello strumento di attuazione, sia direttamente indicata dallo strumento urbanistico generale, l’indicazione delle opere di viabilità nel piano medesimo (della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 7, comma 2, n. 1), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell’indennità di esproprio nel sistema del sopra citato della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis basato sull’edificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che non si tratti di destinazione assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone (della L. n. 1150 del 1942, art. 13), come tali riconducibili ad un vincolo imposto a titolo particolare, a carattere espropriativo, nel senso esattamente che i vincoli stabiliti in detto piano influiscono sulla qualificazione dei suoli espropriati, alla stregua delle possibilità legali, per via del contenuto conformativo della proprietà che ad essi deriva dalla funzione di operare scelte programmatorie di massima, potendo, tuttavia, avere, in via eccezionale, portata e contenuto direttamente ablatori ove si tratti di limitazioni particolari, incidenti su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare di un’opera pubblica, ravvisandosi in tal caso un vincolo sostanzialmente preordinato ad esproprio, dal quale deve prescindersi ai fini della qualificazione dell’area per gli effetti indennitari (Cass. 7 dicembre 2001, n. 15519; Cass. 24 novembre 2005, n. 24837; Cass. 5 aprile 2006, n. 7892; Cass. 5 giugno 2006, n. 13199).

Tanto premesso, si osserva come la Corte territoriale, con incensurato (di per se) apprezzamento, abbia riconosciuto agli appellati, i quali "con la citazione introduttiva del giudizio di primo grado hanno sostanzialmente abdicato al loro diritto di proprietà, … il diritto di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’irreversibile trasformazione dei fondi, da correlarsi al valore dei medesimi alla data di tale irreversibile trasformazione", non potendo il risarcimento per il fatto illecito consistente nella trasformazione del fondo, senza che ricorra una causa di pubblica utilità (ovvero, come nella specie, in base ad una dichiarazione di pubblica utilità inefficace per omessa indicazione dei termini di inizio e di completamento delle procedure espropriative), "che essere commisurato al valore pieno del terreno perduto", ovvero al valore di mercato dello stesso, stante l’inapplicabilità all’occupazione in oggetto (cosiddetta "usurpativa"), in relazione al carattere abusivo di questa, della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, il quale è da riferire esclusivamente alla figura della cosiddetta occupazione "appropriativa", intendendo il richiamo alle "occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilità" esprimere un collegamento teleologico con le finalità perseguite a mezzo della procedura espropriativa.

Detto Giudice, quindi, ha tuttavia ritenuto che i danni lamentati dagli attori "non possono essere liquidati nella misura determinata dal Tribunale, sulla scorta delle conclusioni enunciate dal consulente tecnico d’ufficio (L. 150.000 mq.), in base ad una destinazione edificatoria, inequivocabilmente esclusa dalla destinazione a strada impressa dagli stessi proprietari".

Così argomentando, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi dianzi enunciati, nel senso esattamente che ha preteso di escludere "inequivocabilmente" la destinazione edificatoria dei terreni di proprietà degli odierni ricorrenti sulla base della "destinazione a strada impressa dagli stessi proprietari", anzichè procedere all’esame delle previsioni dello strumento urbanistico generale vigente nel Comune di Paceco alla data in cui si è verificata l’irreversibile trasformazione dei fondi sopraindicati, accertando, quindi, la destinazione ad essi impressa dallo strumento medesimo ed apprezzando, in particolare, se quest’ultimo contenga (o meno) un’espressa classificazione edificatoria, ovvero, nel caso in cui la destinazione anzidetta abbia per oggetto la realizzazione di opere di viabilità, se il vincolo di inedificabilità in tal modo apposto sui suoli in questione rivesta carattere conformativo o non piuttosto espropriativo.

Pertanto, il motivo in esame merita accoglimento, onde, restando assorbito il secondo il quale attiene al dipendente profilo che riguarda la sorte delle spese del giudizio di merito, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, affinchè tale Giudice provveda a decidere la controversia demandata alla sua cognizione facendo applicazione dei principi sopra enunciati.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2006.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2007

Redazione