Conversione del contratto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato e indennità omnicomprensiva di cui al “collegato lavoro” (Cass. n. 6933/2012)

Redazione 08/05/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Milano pubblicata il 22 luglio 2009.

La controversia fu introdotta da A.G. e concerne una serie di contratti di somministrazione. Vennero stipulati due contratti di somministrazione tra la impresa somministratrice E-Work spa e l’impresa utilizzatrice Poste italiane spa. In relazione al primo di tali contratti, la lavoratrice venne assunta per due giorni il 18 maggio 2005 e poi per tre giorni il 7 giugno 2005. In relazione al secondo contratto venne assunta ed avviata al lavoro sempre presso Poste italiane spa il 1 luglio 2005 sino al 30 settembre 2005.

La A. assumeva la illegittimità di tutti e tre i contratti e chiedeva, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato direttamente con l’impresa utilizzatrice Poste italiane spa a decorrere dalla data di inizio del primo rapporto.

Il Tribunale rigettò la domanda. La Corte d’appello ha in parte riformato la decisione di primo grado, convenendo sulla legittimità dei primi due contratti, ma giudicando invece illegittimo il terzo.

Ha quindi dichiarato la illegittimità di quest’ultimo contratto e costituito un rapporto di lavoro alle dipendenze della impresa utilizzatrice con effetto dall’inizio del lavoro relativo a tale contratto.

Contro questa decisione è stato proposto ricorso principale da Poste italiane spa, articolato in quattro motivi, nonchè un ricorso incidentale della lavoratrice basato su di un unico motivo. Entrambe la parti hanno depositato una memoria per l’udienza. I due ricorsi devono essere riuniti e deve essere esaminato per primo quello incidentale, concernente i primi due contratti. L’ A., critica la sentenza per aver ritenuto conformi alla legge i due contratti di lavoro somministrato intercorsi tra la lavoratrice e la E-Work il 18 maggio 2005 (per due giorni di lavoro) e il 7 giugno 2005 (per tre giorni). Denunzia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20, 21 e 27 e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

La Corte di merito ha ritenuto che la causale di tali assunzioni sia stata individuata in modo adeguato e sia risultata corrispondente all’effettiva utilizzazione della lavoratrice. La motivazione che, peraltro, fa corpo con la motivazione a sostegno di identica soluzione fornita dal Tribunale sul punto, non può ritenersi nè omessa, nè insufficiente, nè contraddittoria ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Le molteplici affermazioni critiche del ricorrente incidentale non vanno al di là di una diversa valutazione nel merito dei due giudizi sulla specificità della causale e sulla sua corrispondenza alla attività effettivamente svolta; sono pertanto inammissibili in sede di giudizio di legittimità, in assenza di inadeguatezze o contraddizioni della motivazione. Il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato. Il ricorso principale verte sul terzo contratto, dichiarato illegittimo dalla Corte d’appello.

Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, art. 21 e dell’art. 25 del ccnl 11 luglio 2003. Si censura l’affermazione della sentenza per la quale l’illegittimità deriva dal fatto che la causale del contratto di somministrazione stipulato tra Poste italiane e la E-Work è individuata in ragioni sostitutive e precisamente nell’esigenza di sostituire personale con diritto alla conservazione del posto nel CMC di (omissis), mentre la A., assunta in relazione a tale contratto, è stata utilizzata nel CMP di (omissis). E’ di tutta evidenza, conclude la Corte di merito, che la lavoratrice non è stata impiegata da Poste italiane spa per sostituire lavoratori assenti nella sede indicata nel contratto di somministrazione.

La società ricorrente assume che per smentire tale affermazione è sufficiente esaminare la lettera di assunzione del 1 luglio 2005 laddove nello spazio riservato al luogo di lavoro è indicato il CMP di (omissis) che corrisponde a (omissis) e non a (omissis). Ma la difformità rilevata dalla Corte non riguarda la lettera di assunzione e il relativo contratto di lavoro (che la società riporta), bensì il contratto commerciale di somministrazione stipulato tra somministratrice e utilizzatrice, che la società omette di riportare.

Con una seconda censura si assume che la Corte avrebbe errato nel l’interpretare l’art. 20, comma 4 per il quale è sufficiente che sussista una ragione di carattere oggettivo, effettiva e comprovabile, anche se riferibile all’ordinaria attività dell’utilizzatore. Ma il problema controverso in questa causa, sul quale la Corte d’appello si è espressa, non è quello del carattere ordinario o meno dell’attività, bensì quello della effettività della ragione indicata come causale della somministrazione.

Un’ulteriore censura è basata sulla disposizione per cui il controllo giudiziale non può riguardare il merito delle scelte imprenditoriali. Ma la sentenza non entra nel merito della scelta imprenditoriale, limitandosi a controllare la corrispondenza tra ragione enunciata e ragione effettiva.

Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 112 e 414 c.p.c. perchè la Corte nel dichiarare la non conformità tra la causale della somministrazione e l’utilizzazione effettiva della lavoratrice “ha omesso di prendere in considerazione gli atti difensivi depositati da controparte”, che riguardano tutti il contratto di lavoro disciplinato dal D.Lgs. n. 276, art. 22 e dunque il rapporto tra somministratore e prestatore. La censura è generica, concerne il merito e, comunque, non è fondata considerata l’adeguatezza e compiutezza della motivazione. Si assume poi che la ricorrente non avrebbe contestato la violazione artt. 20 e 21, ma solo dell’art. 22. Anche questo motivo non è fondato poichè la domanda è stata formulata ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27.

Con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20 perchè la sentenza avrebbe pretermesso circostanze di fatto esposte dalla società in sede di costituzione in primo grado che devono ritenersi pacifiche perchè non contestate. Il tema è di merito ed esula dal giudizio di cassazione, in presenza di una motivazione adeguata e priva di contraddizioni.

Con il quarto motivo (indicato come quinto) la società denunzia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 perchè non sussistevano i presupposti per considerare irregolare il contratto di somministrazione, e perchè le conseguenze previste dall’art. 27 sono la costituzione di un rapporto con l’utilizzatore ma non anche la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto.

La prima parte del motivo è infondata, perchè, come si è visto, la Corte ha spiegato la ragione della irregolarità con argomenti chiari e convincenti di cui si è già detto.

Sul secondo tema, questa Corte si è già espressa, affermando il principio di diritto per cui il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione che, in forza del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 si costituisce quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti di cui agli artt. 20 e 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), è un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Le ragioni di tale scelta ermeneutica sono state esposte in Cass. 15 luglio 2011, n. 15610. Nel farvi rinvio, deve aggiungersi una considerazione di ordine generale; se un contratto di lavoro viene stipulato utilizzando un tipo contrattuale particolare in assenza dei requisiti specifici richiesti dal legislatore e la legge prevede come conseguenza dell’utilizzazione irregolare del tipo la costituzione di un rapporto di lavoro, senza precisare se a termine o a tempo indeterminato, nel silenzio del legislatore non può che valere la regola per cui quel rapporto di lavoro è a tempo indeterminato.

Poste italiane, infine, con la memoria per l’udienza, ha chiesto l’applicazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5.

Questa Corte, con riferimento all’applicazione di tale norma, ha affermato il seguente principio di diritto “In tema di rapporto di lavoro a termine, l’applicazione retroattiva della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, – il quale ha stabilito che, in caso di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una “indennità onnicomprensiva” compresa tra 2, 5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5 -, prevista dal successivo comma 7 del medesimo articolo in relazione a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge, trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria a seguito dell’impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine, e non anche della ulteriore statuizione relativa alla condanna al risarcimento del danno, essendo quest’ultima una statuizione avente individualità, specificità ed autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti la natura del rapporto” (Cass. 3 gennaio 2011, n. 65; 4 gennaio 2011, n. 80; 2 febbraio 2011, n. 2452. Orientamento poi costantemente ribadito in numerose altre decisioni). Nel caso in esame, il capo della decisione relativo al risarcimento del danno non è stato oggetto d’impugnazione ed è pertanto passato in giudicato.

In conclusione, tutti i motivi, tanto del ricorso principale, che di quello incidentale, sono infondati e devono essere rigettati. Tale soluzione della controversia impone di compensare integralmente le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi principale e incidentale, rigettandoli entrambi. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Redazione