Contributo per il c.d. bonus bebè: solo una sanzione amministrativa per la falsa attestazione dell’immigrato (Cass. pen. n. 40688/2012)

Redazione 17/10/12
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Cass. pen. V Sez. 17 ottobre 2012, n. 40688

Legge penale e reati – Concorso apparente di norme – Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull’identità o su qualità personali proprie o di altri – Falsa attestazione dell’immigrato per ottenere bonus bebè

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Procuratore ******** presso la corte di appello di Brescia
avverso la sentenza pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Crema il 6.12.20111,
nei confronti di Ch.P., nato a (omissis), il (omissis);
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. *****************;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto Procuratore Generale dott.ssa *************************, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Ritenuto in fatto

Con sentenza pronunciata il 6.12.2011 in sede di udienza preliminare, il G.I.P. presso il tribunale di Crema dichiarava non doversi procedere nei confronti di Ch.P. con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ordine ai reati originariamente ascrittigli ai capi A) (art. 640 bis, c.p.) e B) (artt. 61, n. 2, e 495, c.p.), previa diversa qualificazione del fatto di cui al capo A) nel delitto di cui all’art. 316 ter, c.p., in esso assorbito il fatto-reato contestato nel capo B), in quanto la somma indebitamente percepita dall’imputato a titolo di bonus bebè dall’Ufficio Postale di Crema sulla base della falsa attestazione, contenuta nell’autocertificazione prodotta all’uopo, di essere cittadino italiano, pari a 1000,00 euro, non raggiunge la soglia di punibilità prevista dal secondo comma della menzionata disposizione normativa, dando vita, dunque, ad una semplice violazione amministrativa.
Ha proposto ricorso il procuratore generale presso la corte di appello di Brescia, deducendo un unico motivo di ricorso, consistente nella erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 84, 316 ter e 495, c.p., in quanto il delitto di cui all’art. 316 ter, c.p., secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, concorre con i delitti di falso commessi per ottenere le indebite erogazioni, con la sola esclusione di quelli di cui agli artt. 483 e 489, c.p., laddove nel caso in esame, come si è detto, all’imputato è stato contestato il delitto di cui all’art. 495 c.p..

 

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e non può essere accolto.
Ed invero, contrariamente a quanto sostenuto dal procuratore generale presso la corte di appello di Brescia, la decisione del G.I.P. presso il tribunale di Crema, che ha ritenuto assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter, c.p., quella di cui all’art. 495, c.p., pronunciando, di conseguenza, in applicazione del principio di specialità di cui all’art. 9, co. 1, L. 24 novembre 1981, n. 689 sentenza di non doversi procedere nei confronti dell’imputato, trattandosi, ai sensi del secondo comma del citato art. 316 ter, c.p., di un fatto privo di rilevanza penale, punito con una sanzione amministrativa pecuniaria (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 17/05/2011, n. 30117, C.), non si discosta dai principi di diritto affermati al riguardo dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza del 19.4.2007, n. 16568, C..
Come è noto, infatti, in tale decisione le Sezioni Unite, nel definire i rapporti tra i reati di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.), hanno, tra l’altro, riconosciuto la fondatezza del prevalente orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il reato previsto dall’art. 316 ter c.p., assorbe quello di falso previsto dall’art. 483 c.p., in quanto l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elemento essenziale per la sua configurazione, chiarendo, al tempo stesso, “che solo la falsa dichiarazione rilevante ai sensi dell’art. 483 c.p. ovvero l’uso di un atto falso costituiscono modalità tipiche di consumazione del delitto di cui all’art. 316 ter c.p., mentre è solo eventuale che l’utilizzatore degli atti o documenti falsi sia anche autore della falsificazione. Deve perciò ritenersi che solo i delitti di cui all’art. 483 c.p. e all’art. 489 c.p. rimangono assorbiti ai sensi dell’art. 84 c.p. nel delitto previsto dall’art. 316 ter c.p., che concorre invece con gli altri delitti di falso eventualmente commessi al fine di ottenere le indebite erogazioni”.
Se, dunque, l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi possono costituire elemento essenziale per la configurazione del delitto di cui all’art. 316 ter, c.p., determinando l’assorbimento in esso, giusta la previsione dell’art. 84, co. 1, c.p., dei delitti la cui condotta materiale è costituita dalla falsa attestazione al pubblico ufficiale in un atto pubblico di fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità (art. 483, co. 1, c.p.) ovvero dall’uso di un atto falso da parte di chi non ha concorso nella falsità (art. 489, co. 1, c.p.), non vi è ragione (ed anzi sarebbe irrazionale sostenere il contrario) perché lo stesso principio non trovi applicazione nel caso in cui il fatto oggetto della falsa attestazione (o dichiarazione) resa al pubblico ufficiale abbia lo specifico contenuto previsto dall’art. 495, co. 1, c.p., vale a dire l’identità, lo stato ovvero altre qualità della propria o dell’altri persona.
In altri termini, dovendosi individuare l’elemento differenziale tra il delitto di cui all’art. 483, c.p. e quello di cui all’art. 495, c.p., non in una struttura ontologicamente diversa (in entrambi i casi, infatti, il legislatore prende in considerazione le false dichiarazioni dei soggetti privati, asseverate per il tramite dell’atto redatto dal pubblico ufficiale), ma nella diversa estensione della condotta di falso oggetto del paradigma normativo, volta a ricomprendere, nel caso dell’art. 483, c.p., in generale, i fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, in quello dell’art. 495, c.p., solo le dichiarazioni inerenti all’identità, allo stato o ad altra qualità della propria o altrui persona (cfr. Cass., sez. VI, 28.6.1994, Zungoli), appare evidente che quando, come nel caso in esame, il falso consista nella falsa attestazione di essere cittadino italiano, contenuta nella dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata dall’imputato ai fini della richiesta del contributo relativo al cd. bonus bebè, previsto dalla legge finanziaria del 2006, in relazione al quale la cittadinanza italiana rappresenta uno dei requisiti necessari per la riscossione del relativo assegno previsto dall’art. 1, co. 331, della suddetta legge finanziaria, l’assorbimento del reato di cui all’art. 495, c.p. in quello di cui all’art. 316 ter, c.p., risponde alla stessa logica che ha indotto le Sezioni Unite del Supremo Collegio a ritenere il delitto di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico assorbito nella fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, rappresentando, nel caso concreto, tale falsa dichiarazione elemento essenziale per la configurazione del delitto di cui all’art. 316 ter, c.p..
Sulla base di tali considerazioni, dunque, il ricorso del procuratore generale va rigettato.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito.

Così deciso in Roma il 3 luglio 2012.

Redazione