Consiglio di Stato sez. VI 7/3/2008 n. 1005; Pres. Varrone, Rel. Giovagnoli

Redazione 07/03/08
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Fatto

1. Oggetto del presente giudizio è la sentenza del T.a.r. Toscana n. 8249/2005, che ha respinto l’impugnativa proposta da Telecom Italia s.p.a. avverso una serie di atti adottati dal Comune di Firenze, tra cui la delibera Cc n. 532/2001 recante "regolamento per la concessione del suolo, del sottosuolo e delle infrastrutture municipali per la sistemazione degli impianti tecnici", la delibera di Gm n. 789/2002, che aumentava l’indennità di civico ristoro, la nota n. 535/37 del 22.1.2004.
2. Con tali provvedimenti il Comune aveva stabilito che:
– gli operatori di Tlc sarebbero stati obbligati a versare una indennità a titolo di civico ristoro, per i maggiori oneri che verrebbero a gravare sull’ente ed i disagi che si determinerebbero sul regolare svolgimento delle attività e dei servizi della città, in conseguenza della realizzazione di scavi sul suolo pubblico, nonché a titolo di corrispettivo per il rilascio della concessione d’uso del suolo, del sottosuolo pubblico e delle infrastrutture comunali predisposte per il passaggio delle reti di Tlc;
– le somme avrebbero dovuto essere versate al momento del rilascio della concessione;
– in caso di utilizzazione di una infrastruttura comunale predisposta per il passaggio delle reti di Tlc, l’operatore avrebbe dovuto corrispondere, oltre a quanto dovuto ai sensi della vigente normativa per l’occupazione del sottosuolo pubblico, un canone annuo d’uso forfettario.
3. Il T.a.r. ******* ha respinto il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni:
– l’indennità di civico ristoro ed il canone d’uso non hanno natura tributaria, bensì indennitaria e risarcitoria; non costituiscono, quindi, prestazioni unilateralmente imposte e per questo non contrasterebbero con l’art. 23 Cost.;
– il loro fondamento normativo va ravvisato nell’art. 2041 c.c.
– sono infondate le censure avanzate avverso l’aumento dell’indennità di civico ristoro disposto nel 2003 (secondo il T.a.r. risulta plausibile l’assunto dei maggiori oneri manutentivi, mentre non sarebbe stato affatto dimostrato che l’andamento della tariffa sia dovuto soltanto a mere esigenze di bilancio).
– è inammissibile il ricorso con il quale si censurava la nota del Comune che stabiliva che non sarebbero stati rilasciati permessi di scavo in difetto di pagamento preventivo dell’indennità di civico ristoro (per il T.a.r. tale nota è carente di contenuti provvedimentali innovativi rispetto al thema decidendum, già introdotto, perché si limita a richiamare soltanto le disposizioni del regolamento in materia di civico ristoro).
4. Con l’appello in esame, Telecom Italia s.p.a. ha impugnato la sentenza del Tar ed ha chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia accolto.
5. Il Comune di Firenze si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del gravame, ed ha depositato memorie difensive, con cui ha illustrato le questioni controverse ed ha insistito nelle già formulate conclusioni.
6. All’udienza del 27 novembre 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.


Motivi della decisione

1. Nel presente giudizio, è contestata la legittimità:
a) della delibera del consiglio comunale di Firenze n. 532/75 del 2 luglio 2001, nella parte in cui esso ha istituito l’indennità di ristoro, che deve corrispondere l’operatore che intenda installare infrastrutture telefoniche nel territorio comunale, e il canone anno d’uso forfetario al metro/tubo qualora l’operatore utilizzi una infrastruttura comunale predisposta per il passaggio delle reti Tlc;
b) della delibera della Giunta comunale dell’11.8.2001, n. 789/602 con la quale l’indennità di civico ristoro veniva determinata in £ 120.000 per metro lineare di cavo;
c) della delibera della Giunta comunale n. 230/126 del 31 marzo 2003, con cui l’indennità di civico ristoro veniva aumentata da € 63 a € 83;
d) della nota n. 537/37 del 22.1.2004 con cui il Comune comunicava all’odierna appellante che, in difetto di pagamento dell’indennità, non sarebbero state più rilasciate le concessioni per lo scavo.
2. Le censure dell’appellante possono dividersi in due gruppi:
a) alcune si rivolgono direttamente avverso la delibera del consiglio comunale del 7 luglio 2001 e delle successive delibere di giunta che quantificano l’indennità di civico ristoro (di cui è lamentata l’illegittimità, per contrasto con l’art. 23 della Costituzione e della normativa sui tributi e sulla autonomia dei Comuni);
b) altre hanno rilevato come – a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 93 del decreto legislativo n. 259 del 2003 – il Comune non possa più previamente chiedere il pagamento dell’indennità di ristoro.
3. Come questa Sezione ha già avuto modo di precisare nella sentenza n. 1775/2006, le censure dell’appellante vanno respinte, nella parte in cui fanno riferimento al periodo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 259/2003.
Sul punto, è decisivo il richiamo alla giurisprudenza di questo Consiglio, per la quale – nel vigore dell’art. 238 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 – l’amministrazione comunale ben poteva istituire una indennità di ristoro, a carico di coloro che eseguano scavi nella sua sede stradale, per evitare che questi conseguano un arricchimento senza causa (Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1572; Sez. VI, 1° marzo 1995, n. 214).
Infatti, poiché i costi dei lavori devono restare a carico di chi realizza l’impianto (in base al principio generale dell’ordinamento cuius commoda, eius et incommoda), ben può l’amministrazione predeterminare i criteri per liquidare ciò che le spetta, ai sensi dell’art. 2041, ferma restando – peraltro – la possibilità per il debitore di contestare l’atto di liquidazione e la previsione regolamentare, ove in concreto non sia rispettato il canone della congruità.
3.1. Sotto tale aspetto, come si legge nella citata sentenza n. 1775/2006, non risulta violato il principio della riserva di legge, sancito dall’art. 23 della Costituzione, poiché:
– la pretesa dell’amministrazione ha la finalità di ripristinare il suo patrimonio, ai sensi dell’art. 2041 del codice civile, ed è comunque azionabile innanzi al giudice civile, nei confronti di chi abbia causato le spese di riparazione;
– l’art. 4, comma 3, della legge 31 luglio 1997, n. 249, aveva espressamente ammesso che i Comuni potessero "prevedere obblighi di natura civile", per esigenze di razionale utilizzo del sottosuolo e della tutela dell’interesse collettivo.
4. Sennonché, come ha evidenziato l’appellante, rileva in materia l’art. 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, per il quale, oltre alla tassa, al canone e al contributo una tantum ivi elencati, "nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto, in base all’articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al presente decreto".
Tale disposizione ha fatto dunque perdere efficacia alle disposizioni regolamentari, emesse dai Comuni – con riferimento a tali opere – sulla base della previgente normativa (l’art. 238 del d.P.R. n. 156 del 1973, ovvero l’art. 4 della legge n. 259 del 1997), e dunque preclude all’amministrazione di subordinare il rilascio delle autorizzazioni al pagamento di importi riferibili al periodo successivo alla data di entrata in vigore del medesimo art. 93.
4.1. Sotto tale aspetto, non è condivisibile l’osservazione del Comune appellato, secondo cui le contestate disposizioni del regolamento del 2001 continuerebbero ad avere un proprio fondamento nell’art. 2041 del codice civile:
– il testo dell’art. 93, comma 2, è univoco nel disporre che non può essere più "imposto" dall’amministrazione alcun altro onere, oltre quelli espressamente previsti dalla legge, e cioè che non può essere subordinato il rilascio dell’autorizzazione al pagamento di altri importi, né può essere imposto un pagamento sulla base di determinazioni unilaterali;
– l’art. 2041 conserva il suo rilievo di carattere generale, poiché consente all’amministrazione – una volta constatata la spesa pubblica con cui i luoghi sono stati ripristinati, in assenza di corrispondenti lavori di ripristino a regola d’arte da parte del gestore – di formulare la relativa richiesta e di agire in giudizio, conseguentemente, per la condanna del debitore.
4.2. In altri termini, l’art. 93, comma 2, ha precluso che il rilascio dell’autorizzazione e la gestione dell’impianto siano subordinati al pagamento di importi ulteriori rispetto a quelli ivi espressamente previsti (poiché non può essere determinata ex ante alcuna spesa per il ripristino a regola d’arte), ma non preclude che l’amministrazione ex post chieda al gestore il pagamento dell’importo che abbia effettivamente speso per il ripristino, che il medesimo gestore abbia omesso di realizzare.
Ciò comporta che, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 259/2003, il Comune non può più subordinare il rilascio di concessioni per lo scavo al pagamento dell’indennità. Deve, quindi, dichiararsi l’illegittimità degli atti impugnati, nella parte in cui impongono, in contrasto con l’art. 93 D.lgs. n. 259/2003, il pagamento preventivo di oneri aggiuntivi (quali l’ "indennità di civico ristoro" ed il "canone metro/ tubo") a carico degli operatori di Tlc che devono eseguire scavi sul territorio comunale
4.3. Sussistono giusti motivi, anche in considerazione del parziale accoglimento del ricorso, per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello n. 920 del 2007 nei sensi specificati in motivazione. Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

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