Consiglio di Stato sez. VI 5/10/2010 n. 7286

Redazione 05/10/10
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FATTO
Il Ministero dell’interno riferisce che il signor (omissis), cittadino tunisino, ebbe a patteggiare nel corso del 2001 una condanna per lesioni personali (per fatto commesso nel corso del 1997).
Risulta agli atti che in data 28 novembre 2002 lo straniero in questione (il quale era in possesso del permesso di soggiorno già da alcuni anni) ebbe a chiedere il rilascio della carta di soggiorno ai sensi dell’art. 9, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e che la Questura provvide effettivamente a rilasciare in suo favore la carta n. (omissis).
Con provvedimento in data 28 ottobre 2003, tuttavia (provvedimento fatto oggetto di impugnativa in primo grado), la Questura di Firenze disponeva la revoca della carta di soggiorno rilasciata allo straniero, osservando che la condanna patteggiata nel 2001 "rientrando nella fattispecie dei reati previsti dall’art. 381 del c.p.p., costituisce motivo ostativo al rilascio della carta di soggiorno, così come stabilito dall’art. 9 del d.lvo 286/98";
Il provvedimento in questione veniva impugnato dallo straniero in questione innanzi al T.A.R. della Toscana il quale, con la pronuncia oggetto del presente gravame, accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento impugnato osservando che "la sentenza [penale di condanna] è stata emessa prima dell’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002 (che ha espressamente qualificato come sentenze di condanna quelle emesse ex art. 444 c.p.p.), allorché il ricorrente, nel richiedere l’applicazione della pena, poteva fare affidamento sui soli effetti previsti dall’art. 445 c.p.p.".
La pronuncia in epigrafe veniva gravata in sede di appello dal Ministero dell’interno il quale ne lamentava l’erroneità e ne chiedeva l’integrale riforma articolando plurimi motivi di doglianza.
All’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2010 la difesa erariale rassegnava le proprie conclusioni e il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dell’interno avverso la sentenza del T.A.R. della Toscana con cui è stato accolto il ricorso proposto da un cittadino tunisino e, per l’effetto, è stato annullato il provvedimento di revoca della carta di soggiorno adottata in considerazione di una condanna ritenuta ostativa, la quale non ne avrebbe in radice consentito il rilascio.
2. Con un primo motivo di appello, il Ministero dell’interno lamenta che i primi giudici abbiano omesso di considerare il carattere obiettivamente ostativo della condanna in sede penale a suo tempo riportata dallo straniero, atteso che il reato per il quale egli era stato condannato comportava l’arresto (facoltativo) in flagranza ex art. 381 c.p.p., in tal modo giustificando la revoca della carta di soggiorno ai sensi dell’art. 9, co. 3, d.lgs. 286 del 1998.
Né rileverebbe ai fini della presente decisione la circostanza per cui la pronuncia penale di condanna sia stata resa a seguito di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p., atteso che il richiamato comma 3 dell’art. 9 (la cui formulazione, peraltro, è rimasta invariata all’indomani della l. 30 luglio 2002, n. 189) connette in modo automatico la preclusione al rilascio del titolo alla sola circostanza per cui a carico dello straniero ‘sia stato disposto il giudizio’, irrilevanti essendo ai fini della fattispecie le modalità di conclusione del giudizio medesimo (pronuncia all’esito di dibattimento o applicazione della pena su richiesta ex art. 444, c.p.p.).
La difesa erariale soggiunge che il motivo di ricorso proposto in primo grado (e non espressamente affrontato dal T.A.R., in quanto ritenuto assorbito) relativo alla mancata comunicazione di avvio del procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento di ritiro, non sarebbe comunque risultato fondato, trattandosi di procedimento iniziato su istanza di parte.
2.1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Al riguardo, il Collegio osserva che l’intero impianto argomentativo su cui si fonda il ricorso in appello è volto ad attestare che la pertinente normativa (e, segnatamente, il comma 3 dell’art. 9 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 in relazione dell’art. 381, c.p.p.) non consentisse ab initio il rilascio della carta di soggiorno in favore del cittadino straniero.
Si osserva, altresì, che la difesa erariale si limita a tracciare una sorta di automatico parallelismo fra le ragioni di diritto che avrebbero a suo tempo consentito di negare il rilascio della carta di soggiorno e le ragioni che avrebbero consentito di disporne la revoca in sede di autotutela (rectius: l’annullamento, per carenza originaria di presupposti legittimanti al rilascio del titolo in parola).
L’approccio in questione viene trasfuso dalla difesa erariale nell’argomento secondo cui "la sentenza impugnata ha errato nel ritenere che l’applicazione della pena su richiesta delle parti non possa costituire il presupposto per il diniego o, come nel caso di specie, per la revoca della carta di soggiorno".
Tuttavia, l’argomento in questione non può essere condiviso in quanto prende le mosse dalla pretesa sussistenza di una sorta di automatico (quanto inammissibile) parallelismo fra – da un lato – i presupposti e le condizioni i quali governano l’esercizio dell’attività amministrativa in sede di rilascio del titolo (in tale fase, la carenza di un presupposto ex lege impone all’Amministrazione di negare il rilascio, senza alcun margine di discrezionalità) e – dall’altro – i presupposti e le condizioni che consentono l’adozione del ritiro in autotutela del titolo stesso (in tale fase, l’Amministrazione deve procedere nell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale, essendo in via generale esclusa qualunque forma di automatismo nell’adozione dei relativi provvedimenti).
Ne consegue che, in coerenza con i generali principi che presiedono all’esercizio del potere di cui trattasi, in tanto l’Amministrazione avrebbe potuto legittimamente esercitare il potere di autotutela decisoria sul titolo medio tempore rilasciato allo straniero, in quanto avesse proceduto a valutare in modo puntuale il complesso delle circostanze nella specie rilevanti e, in particolare, la sussistenza di effettive ragioni di pubblico interesse alla rimozione del titolo richiesto (ed ottenuto dal cittadino straniero).
Ora, il Collegio ritiene che debbano trovare nel caso di specie puntuale conferma le conclusioni cui il Consigliodi Stato è giunto con la recente decisione 15 giugno 2010, n. 3760, con cui si è affrontata in via generale la questione relativa ai presupposti per l’esercizio del potere di autotutela in materia di titoli abilitanti lo straniero alla permanenza sul territorio nazionale (si osserva al riguardo che la pronuncia in parola è stata resa in relazione ad un’ipotesi di revoca – implicita – di permesso di soggiorno a suo tempo ottenuto in sede di regolarizzazione ex art. 33, l. 30 luglio 2002, n. 189, ma le relative conclusioni – attesa la vasta portata sistematica degli argomenti svolti – risultano certamente applicabili anche alla vicenda per cui è causa).
Nell’occasione il Consigliodi Stato ha avuto modo di osservare che mentre in sede di rilascio del titolo (nel caso di specie: la carta di soggiorno) occorre applicare rigidamente le previsioni ostative previste dalla pertinente disciplina (nel caso di specie: l’art. 9 del d.lgs. 286 del 1998), al contrario il procedimento di autotutela volto a rimuovere il titolo per vizi di legittimità (ad es.: per essere emerse cause ostative in precedenza non rilevate) ha carattere discrezionale e deve tener conto di tutte le circostanze rilevanti nel caso di specie, con particolare riguardo all’effettiva sussistenza di un interesse pubblico alla rimozione del titolo stesso (non potendo ritenersi sussistente un interesse in re ipsa al mero ripristino della legittimità violata).
Non avendo l’Amministrazione appellante proceduto a svolgere le richiamate valutazioni, essa ha posto in essere un’illegittimità idonea a compromettere insanabilmente la validità del provvedimento impugnato in prime cure, in tal modo giustificandone l’annullamento in sede giurisdizionale.
In base a quanto sin qui esposto, restano assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità dedotti dal ricorrente in primo grado ed in relazione ai quali la difesa erariale ha comunque svolto puntuali deduzioni.
3. Per le considerazioni che precedono l’appello in epigrafe deve essere respinto.
Nulla è dovuto per le spese di lite non essendosi costituito l’appellato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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