Consiglio di Stato sez. V 11/5/2010 n. 2832

Redazione 11/05/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso davanti al TAR per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, la signora M.P.D., dipendente del Comune di Pescara di IV qualifica funzionale, premesso di aver espletato dal 1985 al 1995 mansioni tipiche del VI livello concernenti "uso informatico dei vari Uffici" e, specificamente dal 1° gennaio 1990, quelle di terminalista, essendo anche in possesso del relativo titolo di studio; tenuto conto che, pur deliberando l’Ente di dar applicazione all’art. 34 del recepito D.P.R. n. 333 del 1990, tali determinazioni non avevano avuto attuazione, ha chiesto che sia dichiarato il proprio diritto ad essere inquadrata nel V livello, giusta quanto previsto dal cit. art. 34 e dalla tabella 2 annessa allo stesso D.P.R., a far data dal 1° gennaio 1990, ed ogni pronuncia consequenziale in ordine alle maturate differenze retributive, interessi e rivalutazione, a decorrere dal 24 luglio 1987, avendo il Consiglio comunale stabilito con deliberazione n. 852/1989 di corrispondere le differenze retributive ai dipendenti svolgenti mansioni superiori fino al 31 dicembre 1990, ma in sede di controllo l’efficacia della relativa deliberazione è stata limitata appunto al 24 luglio 1987.
Con sentenza 30 dicembre 2000, n. 845, il TAR ha dichiarato in parte inammissibile il ricorso, laddove inteso ad ottenere sia l’inquadramento corrispondente alle mansioni svolte, sia, in carenza dell’instaurazione dell’apposita procedura di formazione del silenzio impugnabile, l’espletamento del concorso riservato di cui al ripetuto art. 34. Per la restante parte lo ha respinto, stante la mancanza dei presupposti per la retribuibilità delle mansioni superiori.
Di qui l’appello in epigrafe con cui, premesso che il concorso per la VI qualifica funzionale è stato svolto nell’anno 2000, che ne è risultata vincitrice e che è stata perciò inquadrata dal 1999 in detta qualifica, di cui continua tutt’oggi a svolgere le corrispondenti mansioni, la signora D. ha contestato il capo di sentenza relativo alla reiezione della domanda di corresponsione delle differenze retributive per il periodo decorrente dal 24 luglio 1987, sulla scorta dei seguenti motivi:
1.- Violazione di legge (artt. 40 e ss. del D.P.R. n. 347 del 1983; art. 72, co. 4, del D.P.R. n. 267 del 1987; art. 39 D.P.R. n. 494 del 1987 e 50 del D.P.R. n. 333 del 1990, nonché art. 36 Cost.).
2.- Omessa, erronea e/o contraddittoria motivazione su un punto della controversia.
In sintesi, l’appellante ha sostenuto che il TAR non abbia attentamente valutato le proprie richieste, intese ad ottenere la retribuzione di VI e non di V ex art. 122/123 del regolamento comunale in base alle mansioni espletate, riconosciute dallo stesso Comune che le aveva retribuite con deliberazione 27 dicembre 1989, n. 852, mentre il TAR non avrebbe motivato e neppure fatto riferimento alla domanda relativa alla retribuzione di VI livello. Inoltre, non si sarebbe premurato di disporre incombenti istruttori ai fini dell’accertamento del diritto vantato; incombenti peraltro non occorrenti, essendo stati prodotti in giudizio da parte del Comune un documento a firma dirigenziale che riconosceva l’avvenuto svolgimento delle mansioni in questione e da parte della ricorrente gli ordini di servizio, in base ai quali avrebbe dovuto esserle riconosciuto il compenso differenziale almeno fino al 31 dicembre 1990 come da delibera annullata e, comunque, fino alla data di proposizione del ricorso. Ne ricorrerebbero infatti tutti i presupposti richiesti da giurisprudenza: mansioni eseguite in forza di atti formali dell’Amministrazione, vacanza del relativo posto in pianta organica e riconoscimento con l’atto deliberativo del 1989, nonché protrazione oltre i termini fissati dalla legge.
L’appellante ha ulteriormente illustrato le proprie tesi e pretese con memoria del 15 gennaio 2010. In data 18 gennaio seguente il Comune di Pescara si è costituito in giudizio e, eccepita la sopravvenuta parziale carenza di interesse all’appello in ordine alle pretese concernenti l’inquadramento nel VI livello ed al rispettivo trattamento economico dal 1999, nonché ribadita l’eccezione di prescrizione quinquennale già formulata in primo grado, ha svolto controdeduzioni.
Ciò posto, la Sezione osserva, quanto alla domanda, avanzata in primo grado, di corresponsione delle differenze retributive dal 24 luglio 1987 per lo svolgimento di mansioni superiori di VI livello, come il TAR non abbia precisato che le mansioni in questione rientrassero nel V o nel VI livello, avendone escluso in radice la retribuibilità per insussistenza dei presupposti enucleati dalla giurisprudenza in materia.
Peraltro, la questione è irrilevante giacché la Sezione ritiene che la pronuncia di reiezione del primo giudice meriti comunque conferma, stante l’irrilevanza dello svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego anteriormente all’entrata in vigore del cit. d.lgs. n. 387 del 1998, il quale all’art. 15 ha espunto le parole "a differenze retributive o" dall’art. 56, co. 6, del d.lgs. n. 29 del 1993 (che, nel testo sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998, a sua volta negava il diritto appunto "a differenze retributive o" ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale fino all’entrata in vigore dei nuovi contratti collettivi), così rendendo operativa unicamente da allora la disciplina di cui allo stesso art. 56 per la parte economica.
Come infatti ha ribadito l’Adunanza plenaria con la nota decisione 24 marzo 2006, n. 3, prima dell’entrata in vigore del detto decreto legislativo e salva diversa disposizione di legge specifica, nel settore del pubblico impiego le mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica ricoperta formalmente erano del tutto ininfluenti sul piano giuridico e su quello economico e non consentivano, perciò, il pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico dipendente. Solo con la norma di cui al ripetuto art. 15 la retribuibilità di tali mansioni ha assunto carattere di generalità. Tanto anche nella considerazione, in primo luogo, che la stessa norma non può ritenersi interpretativa del combinato disposto dei pregressi artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29 del 1993, poiché la scelta con essa assunta non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale delle medesime disposizioni; pertanto, non può che disporre per il futuro; e, in secondo luogo, che il riconoscimento generalizzato del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 trova la sua ratio nell’introduzione da parte dell’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 (che ha sostituito l’art. 56 del d.lgs. n. 19 del 1993 ed abrogato il successivo art. 57) di un’organica disciplina delle mansioni, rispettosa dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 Cost..
L’Adunanza plenaria ha altresì rilevato come la norma non possa essere sospettata di illegittimità costituzionale perché sotto l’aspetto in parola il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell’ambito del primo concorrono col principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato, di cui all’art. 36 Cost., altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall’art. 98 e dall’art. 97, tenuto conto che l’esercizio delle mansioni di cui trattasi contrasta con i principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari. D’altro canto, proprio il detto 25 del d.lgs. n. 80/1998, una volta posta la disciplina in materia, ha consentito di recepire nell’ordinamento del pubblico impiego il valore, pur primario, di cui all’art. 36 Cost.; ma ciò non fa dubitare della costituzionalità della pregressa disciplina che, in assenza di un compiuto quadro di regolamentazione dell’istituto e in vista dell’equo contemperamento dei predetti principi costituzionali, tendeva ad a evitare che nel pubblico impiego le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico potessero essere oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari.
Da tali puntuali argomentazioni il Collegio non ha motivo di dissentire, anzi le condivide pienamente.
D’altro canto, alle stesse conclusioni si perviene anche in base all’orientamento giurisprudenziale a cui ha fatto riferimento il primo giudice, secondo cui la retribuibilità delle mansioni superiori dev’essere ancorata alla compresenza dei noti presupposti della esistenza e vacanza di specifico posto d’organico, dell’attribuzione delle funzioni mediante atto formale d’incarico dell’amministrazione e della continuità e prevalenza nello svolgimento delle stesse funzioni.
Nella specie, a prescindere sia dall’esistenza di posto d’organico vacante con riguardo alle mansioni di VI livello, sia dall’effettivo espletamento con i suddetti caratteri di quelle mansioni, in questa sede non può non rilevarsi come l’appellante non comprovi la sussistenza del secondo, ineludibile presupposto, ossia di provvedimento di attribuzione delle medesime mansioni adottato dall’organo competente dell’Amministrazione comunale di Pescara.
Non sono infatti tali gli ordini di servizio allegati dall’istante, i quali dispongono in ordine all’ufficio in cui la dipendente è assegnata e non alle relative mansioni. Né lo sono gli incarichi sindacali di autenticazione di firme e copie nell’ambito della Ripartizione Tributi, in quanto limitati sia nel tempo che con riguardo a tale specifica, occasionale attività, peraltro non riferibile in via esclusiva al VI livello. Ancora, non lo è la dichiarazione in data 12 dicembre 1989 del Capo della predetta Ripartizione Tributi (che peraltro esprime il "parere dello scrivente" sulla riconducibilità delle descritte mansioni al VI livello, nonché espone che le stesse mansioni sono state svolte "oltre al normale lavoro del livello di appartenenza", senza precisarne il carattere di continuità e prevalenza), poiché si tratta, se mai, di – informale – riconoscimento postumo e non di preposizione con preventivo provvedimento formale proveniente dall’organo competente a gestire le risorse umane ed a provvedere e a far fronte alle relative carenze, con assunzione della connessa responsabilità anche sul piano contabile.
Quanto al periodo decorrente dal 24 luglio 1987 e fino al 31 dicembre 1990 (rectius: 31 dicembre 1988), ossia alla data che sarebbe stata stabilita con la deliberazione 27 dicembre 1989, n. 852, che ne avrebbe disposto il pagamento fino alla stessa data del compenso differenziale, oggetto di provvedimento limitativo del Co.re.co che, però, sarebbe stato poi annullato in sede giurisdizionale, va rilevato che, in disparte il fatto che l’appellante, senza precisare di essere stata anch’essa ricorrente in quel giudizio, in sostanza ne chiede l’estensione dell’esito, va rilevato come il medesimo periodo ricada sicuramente nella prescrizione eccepita dall’Amministrazione resistente in primo grado (e qui ribadita), non essendo stati esibiti dalla signora D. idonei atti interruttivi nel quinquennio di legge.
Quanto sin qui esposto conduce alla reiezione dell’appello.
Tuttavia, avuto riguardo sia all’epoca in cui è insorta la controversia originaria, sia alla natura della stessa controversia, si ravvisano ragioni affinché possa essere disposta la compensazione tra le parti delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunziando sul ricorso meglio indicato in epigrafe, respinge l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione