Consiglio di Stato 18/3/2008 n. 1363; Pres. Vacirca G., Rel. Romeo G.

Redazione 18/03/08
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Fatto e Diritto

Il TAR Piemonte, con la sentenza di cui si chiede la riforma, ha respinto il ricorso dell’istante avverso il provvedimento di rigetto della sua domanda di accesso del 20.7.2007 e il silenzio rifiuto, formatosi sulla successiva domanda del 14.9.2007.

In particolare, il TAR ha indicato i motivi di ricorso (con il primo e il secondo sono stati denunciati vizi procedurali, quali l’irrituale comunicazione di avvio del procedimento e l’omesso preavviso di diniego; con il terzo, il quarto e il quinto sono state contestate le ragioni ostative all’accesso, come formulate nel provvedimento impugnato; con il sesto si lamenta l’illegittimità del silenzio rifiuto), ha specificato il carattere della tutela offerta dal rito camerale disciplinato dall’art. 25 L. n. 241/1990 (costitutiva e di condanna all’esibizione dei documenti richiesti per la visione), ed ha precisato che l’assenza "dei presupposti per l’esercizio dell’accesso" comporta l’inutilità dell’esame delle censure dedotte.

Su questa premessa, il primo giudice, previa definizione dell’oggetto del diritto di accesso secondo il comma 1 dell’art. 22 della legge n. 241/1990 ("documento amministrativo, cioè rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale"), ha statuito che, nella specie, il diritto di accesso non può essere riconosciuto, giacché esso è stato esercitato per la visione (e la successiva estrazione di copia) di sentenze della Commissione Tributaria, che non sono riconducibili alla categoria dei documenti amministrativi. Conseguentemente è stata respinta anche la censura avverso il silenzio rifiuto, formatosi sulla domanda per la visione della documentazione attestante l’invio delle sentenze all’ufficio del massimario (la domanda era volta "a dimostrare l’inefficacia dell’ufficio massimario").

2. Appella l’interessata, la quale richiama le varie fasi della vicenda, a cominciare dalla proposizione delle due istanze (ambedue non accolte), e reitera le censure originarie in forma strettamente embricata con le statuizioni del primo giudice (si insiste molto sul fatto che "la sentenza tributaria" è un documento amministrativo, di cui possiede i requisiti, soggettivo ed oggettivo; si lamenta la violazione dell’art. 743 cpc, applicabile nel giudizio tributario, che, nella sua generalità, permette il rilascio di copie delle sentenze "non autentiche" alle parti che non hanno partecipato al processo tributario, art. 38, comma 1, d. lgs. n. 546/1992).

3. Resiste l’Amministrazione intimata, chiedendo la reiezione del gravame, siccome infondato.

4. Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla camera di Consiglio del 19 febbraio 2007.

5. L’associazione appellante ha chiesto (con una prima istanza) alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino di "prendere visione di tutte le sentenze formate negli anni 2002, 2003, 2004, e 2005, e 2007", limitatamente al secondo semestre, e di estrarne copia successivamente, e, a seguito del rigetto di questa istanza, ha reiterato una seconda istanza (senza esito) per "estrarre copia della documentazione attestante l’avvenuto invio all’ufficio del Massimario, negli anni 2002, 2003, 2004, 2005, e secondo semestre 2007, delle sentenze già oggetto di richiesta".

La Commissione Tributaria Provinciale di Torino, a seguito di "richiesta di chiarimenti" dell’interessata, fatta dopo la comunicazione del diniego del 6 agosto 2007, ha precisato (con nota del 20 settembre 2007) che "le sentenze pronunciate dalla Commissione sono pubbliche a norma di legge", riconoscendo ("fermo") "il diritto della associazione istante di accedere, visionare ed estrarre copie delle sentenze presso le relative segreterie competenti, nei limiti di legge".

Precisato l’oggetto delle richiesta della istante, la quale ha attivato il rito speciale ex art. 25 della legge n. 241/1990, e richiamato il contenuto della citata nota della Commissione Tributaria del 20 settembre 2007, deve convenirsi, con il primo giudice, sulla inammissibilità dell’originario ricorso, perché il diritto rivendicato dalla istante non è riconosciuto dall’art. 22 della legge n. 241/1990.

Essa, invero, invoca il diritto di accesso con riferimento alle sentenze emesse dalla Commissione Tributaria, che non possono essere ricondotte al genere dei "documenti amministrativi", formati dalla amministrazione.

Qualunque possa essere l’accezione di "documento amministrativo" (ogni rappresentazione di un "contenuto" di atti che siano formati dalla pubblica amministrazione, ovvero di atti che, sebbene di diritto privato, siano finalizzati alla cura di interessi pubblici) e quale che sia la latitudine della tutela che si vuole garantire al (e con il ) diritto di accesso, al fine di "assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale" (art. 22, comma 2, della legge n. 241/1990), le "sentenze" (peraltro pubbliche) non possono essere ricomprese tra gli atti nei cui confronti sia esercitabile il diritto di accesso.

Sono di ostacolo sia la formulazione letterale dell’art. 22, che si riferisce ad "atti, anche interni, formati, dalla pubblica amministrazione", che siano espressione di una "attività amministrativa", sia la finalità della previsione che vuole garantire la imparzialità e la trasparenza della pubblica amministrazione.

Altro ostacolo di ordine positivo è dato rinvenire nella dizione dell’art. 23 della legge n. 241/1990, che specifica i soggetti passivi dell’accesso, tra i quali non sono previsti gli organi giurisdizionali, che emettono atti con un regime definito (anche di pubblicità), che è completamente estraneo e non assimilabile alla disciplina in tema di accesso amministrativo.

In questo senso, non merita di essere assecondato il tentativo della appellante di assimilare "la sentenza tributaria" al "documento amministrativo", al fine di includere la prima nella sfera di applicabilità degli artt. 22 e segg. della legge n. 241/1990 (la sentenza tributaria possiederebbe sia "il requisito soggettivo" sia quello "oggettivo" del documento amministrativo).

L’assimilazione della "sentenza" (tributaria o altra) al "documento amministrativo" deve arrestarsi al primo termine, cioè al "documento", non potendo mettersi in dubbio che anche la sentenza sia un documento, nel senso che è qualcosa che rappresenta "un contenuto", rendendolo utilizzabile; non è possibile procedere oltre nella identificazione dei due "documenti", giacché la qualifica di "amministrativo" del documento, in relazione al quale è previsto l’accesso, non può in alcun modo essere assegnata alla "sentenza", che conclude il processo, e non il procedimento (in questo senso, C.S. sez. IV, n. 1043/1996, secondo la quale il diritto di accesso riguarda i documenti amministrativi, formati dalla pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa, e non quelli che riguardano attività e organi giurisdizionali).

L’infondatezza dell’originario ricorso (meglio l’inammissibilità per carenza dei presupposti che ne legittimano la proposizione, la cui verifica spetta d’ufficio al giudice investito della questione, a prescindere dal fatto che la stessa sia stata eccepita o meno) esime il Collegio dall’esame della problematica (non esaminata dal TAR) relativa alla applicabilità nella specie dell’art. 743 c.p.c., non avendo richiesto l’istante copie autentiche delle sentenze, come anche dell’esame della censura avverso il silenzio rifiuto, strettamente connesso al primo provvedimento di rigetto dell’istanza di accesso. In ogni caso, la dedotta violazione dell’art. 743 c.p.c. che consentirebbe il rilascio di copie non autentiche di sentenze anche a chi non ha partecipato al processo, conferma che nella specie l’interessata ha fatto valere un diritto che è estraneo alla disciplina dell’accesso ex lege n. 241/1990, e che trova la sua specifica disciplina nella apposita normativa processuale.

L’appello va, pertanto, respinto.

Sussistono motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, respinge il ricorso in epigrafe. Compensa le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Redazione