Condominio: in mancanza di un titolo contrario i vani scantinati possono presumersi comuni (Cass. n. 18054/2013)

Redazione 25/07/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 18.3.1998 A.S., condomino di un fabbricato in (omissis), adì il Pretore di Rimini al fine di sentirsi reintegrare nel compossesso del sottosuolo dell’edificio e del muro perimetrale, nelle parti in cui erano state occupate da D.C., altra condomina, rispettivamente realizzando un vano interrato di notevoli dimensioni ed installando un gruppo termico – condizionatore.

Il ricorso, cui aveva resistito la C., deducendo di aver solo ripristinato un preesistente magazzino interrato di sua esclusiva proprietà e legittimamente utilizzato il muro perimetrale, fu respinto dal pretore all’esito della fase sommaria; tale rigetto venne poi confermato, sulla scorta dell’istruttoria orale, dal Tribunale di Rimini (subentrato ope legis al soppresso ufficio pretorile) con sentenza del 23.1.2002.

Detta decisione, appellata dall’attore, nella resistenza della convenuta, con sentenza della Corte di Bologna dell’8.11.2005, pubblicata il 30.3.2006,veniva confermata nel capo relativo all’utilizzazione del muro condominiale, e riformata nel rimanente, con totale compensazione delle spese di entrambi i gradi. Riteneva, in particolare, la corte felsinea che, a prescindere dalla questione della preesistenza in epoca remota di un vano cantina, poi oggetto di riempimento negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali, fosse comunque certa, all’esito delle prove raccolte, la circostanza che, all’epoca in cui erano stati intrapresi i lavori da parte della convenuta, detto spazio fosse inaccessibile per inesistenza di aperture. In siffatto contesto dei luoghi quella parte del sottosuolo, da considerarsi di proprietà comune, in quanto oggetto di compossesso da parte di tutti i condomini, non avrebbe potuto essere occupata da uno solo degli stessi a proprio esclusivo vantaggio, senza il consenso di tutti gli altri, poco o punto rilevandoci fini dell’elemento psicologico, l’assenso soltanto di alcuni condomini e l’autorizzazione comunale ottenuta, non incidente quest’ultima nei rapporti tra privati.

Contro tale sentenza la C. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, corredato da quesito ex art. 366 bis c.p.c..

Ha resistito il S. con rituale controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente deduce nell’unico motivo “insufficiente e contraddittoria motivazione” formulando il seguente quesito: “se debba ritenersi esercitabile l’azione di reintegra nel possesso promossa da un condomino relativamente ad una porzione di terreno sottostante il fabbricato condominiale ma al di sopra delle sue fondamenta nella quale da tempo immemorabile vi sia uno scantinato mai rimosso, mai entrato nel possesso degli altri condomini, e pertinenza della sovrastante proprietà privata dalla quale esclusivamente si ha accesso”.

Nella parte argomentativa si lamenta, anzitutto, malgoverno delle risultanze istruttorie, da cui sarebbe emersa la preesistenza, da epoca ancor più remota di quella ritenuta dalla corte territoriale, della cantina interrata, l’accessibilità della stessa soltanto dall’immobile di proprietà esclusiva della convenuta e le finalità perseguite dalla medesima nei lavori denunciati dall’attore, diretti a riportare alla luce e rendere di nuovo praticabile quel vano, nel cui possesso mai sarebbe entrato il condominio, mentre il suo precedente riempimento non avrebbe comportato dismissione dell’esclusivo possesso da parte dell’avente diritto.

Sotto un secondo profilo si critica la ritenuta sussistenza degli estremi di cui all’art. 1168 c.c., sia perché sarebbe mancata una relazione di fatto tra l’assunto spogliato ed il bene, sia per difetto dei connotati della violenza e/o clandestinità nell’azione dell’assunta spogliatrice, limitatasi a procedere ad una ristrutturazione di un vano, in precedenza mai oggetto di comune godimento e rimasto nella sua esclusiva sfera di possesso.

Le censure sono fondate.

La corte di merito, ritenendo irrilevante la circostanza che in un passato, più o meno remoto, il volume immediatamente sottostante al terraneo di proprietà della C. , fosse stato utilizzato da danti causa della medesima, ha ritenuto decisiva quella che tale possesso fosse stato comunque da tempo dismesso e che, pertanto, su quella parte dell’edificio (cantina o “vasca” interrata che fosse), si fosse ripristinato quello esercitato dal condominio – e dunque il compossesso di ciascuno dei condomini – con conseguente configurabilità dello spoglio nell’operato della convenuta, odierna ricorrente, diretto all’apertura di un varco per accedere a detto spazio dal proprio immobile di proprietà esclusiva e renderlo praticabile.

Tale impostazione della decisione, a parte ogni considerazione in ordine alla ravvisata sussistenza degli estremi di una concreta signoria di fatto sul bene, tutelabile ai sensi dell’art. 1168 c.c. (non essendo sufficiente in sede possessoria il solo ius possidendi, ma occorrendo anche l’effettivo e materiale esercizio dello stesso),si basa sulla premessa implicita dell’applicabilità alla fattispecie della presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c..

Ma a tal riguardo questa Corte, con sentenza n. 16315 del 26.7.2011 di questa sezionerà precisato,confermando un precedente indirizzo (di cui alle sent. nn. 8370/90 e 4934/93) che “in tema di condominio negli edifici, deve intendersi oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., la porzione di terreno su cui viene a poggiare l’intero stabile e, quindi, quella più profonda, esistente sotto il piano cantinato più basso, con la conseguenza che i vani scantinati possono presumersi comuni, in mancanza di un titolo contrario, non già in quanto facenti parte del suolo su cui sorge l’edificio, ma solo se ed in quanto risultino obbiettivamente destinati all’uso ed al godimento comune”.

Alla luce di tale principio, che il collegio pienamente condivide, dacché l’art. 1117 n. 1 c.c. elenca tra le parti che si presumono comuni il suolo e le fondazioni, ma non anche quelle parti del sottosuolo sovrastanti queste ultime ed il relativo piano di posa, tanto meno se costituenti autonomi volumi (nella specie la corte ha dato atto che il primo giudice aveva anche accertato che il “magazzino interrato” era censito in catasto), deve ritenersi che l’affermazione di condominialità del bene in contestazione, di cui non è stata dimostratane dedotta, alcuna destinazione alla fruizione comune da parte della collettività dei condomini, sia del tutto priva di fondamento, con la conseguenza che, a prescindere dall’appartenenza o meno dello stesso alla convenuta C. , il “compossesso” vantato dall’attore S. uti condominus era inesistente.

Il ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti i profili di censura relativi alla violenza dell’assunto spoglio ed al relativo elemento psicologico.

Da quanto precede consegue, non essendo necessari altri accertamenti di fatto, la diretta pronunzia nel merito ai sensi dell’art. 384 co. 1 c.p.c. rigettandosi anche tale capo di domanda.

Giusti motivi, tuttavia, comportano la compensazione totale delle spese del presente giudizio e di quelli di merito, tenuto conto della particolarità della vicenda e, soprattutto, della non univocità della giurisprudenza, anteriore alla citata ultima pronunzia di legittimità (successiva all’instaurazione della controversia), in tema di applicabilità al sottosuolo della presunzione di condominialità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda, compensando totalmente tra le parti le spese dell’intero processo.

Redazione