Concussione e non indebita induzione al funzionario pubblico che riceve prestazioni sessuali sul posto di lavoro (Cass. pen. n. 18372/2013)

Redazione 22/04/13
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Svolgimento del processo

1.- Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Roma confermava la responsabilità (agli effetti penali e civili) di S.F. (rideterminandone la pena finale in anni quattro e mesi quattro di reclusione) per i delitti, avvinti ex art. 81 cpv. c.p., di cui:

A) – B) agli artt. 81, 317 e 609 bis c.p., per avere, mediante abuso dei poteri di impiegato all’ufficio provinciale del lavoro addetto al collocamento dei lavoratori appartenenti alle categorie protette, costretto V.E., assunta in prova presso la USL Roma (omissis), ad avere rapporti sessuali, prospettandole la possibilità di risolvere i problemi relativi alla documentazione che si sarebbero frapposti alla sua definitiva assunzione;

C) all’art. 317 c.p., per avere, mediante abuso dei poteri di impiegato all’ufficio provinciale del lavoro addetto al collocamento dei lavoratori appartenenti alle categorie protette, costretto V.E. (già assunta definitivamente presso la USL Roma (omissis)), a promettergli indebitamente la somma di Euro 20.000,00 (poi diminuita a Euro 15.000,00), da consegnare in rate da Euro 250,00, ovvero in equivalenti rapporti sessuali, prospettandole la possibilità di evitarle il pericolo di licenziamento derivante da controlli dell’avvocatura sulla idoneità della documentazione a suo tempo prodotta.

2.- Propone ricorso per cassazione il prevenuto a mezzo del difensore, deducendo:

a. – violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato vaglio sia dei numerosi elementi di dubbio afferenti all’attendibilità della persona offesa, sia della circostanza dell’assenza in capo al prevenuto, incaricato di pubblico servizio, di qualsiasi potere di influire sulla ormai acquisita posizione lavorativa della V., con quanto di conseguenza in relazione alla definizione dei reali rapporti intercorsi fra i due;

b. – c – violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prospettata riqualificabilità del fatto sub specie di truffa aggravata o millantato credito;

d. – violazione dell’art. 81 c.p., in relazione all’entità degli aumenti ex art. 81 c.p., per i reati di cui ai capi B e C;

e. – violazione di legge e vizio di motivazione sulla misura della pena.

3.- In data 11.01.2013 la causa è stata rinviata per consentire all’imputato di difendersi in ordine alle possibili alternative di definizione della qualifica da lui rivestita (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) e della natura della condotta ascrittagli (costrizione o induzione), suscettibili di produrre conseguenze penali diverse a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 190 del 2012.

4.- La difesa ha quindi depositato memoria in cui ha esaminato i problemi posti dalla nuova legge, argomentando nel senso dell’impossibilità di considerare la sua condotta come condotta costrittiva e di attribuirgli, per le mansioni svolte, la qualifica di pubblico ufficiale.

Motivi della decisione

5.- Sul piano del diritto sostanziale, va premesso che è stato chiarito in giurisprudenza che, in tema di concussione, il termine “utilità” indica tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un facere e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune; ne deriva che i favori sessuali rientrano nella suddetta categoria in quanto rappresentano un vantaggio per il funzionario che ne ottenga la promessa o la effettiva prestazione Cass. SS.UU sent. 11.05.1993 n. 7, Romano; Cass. sent. 03.03.1998 n. 4317, Clarucci).

6.- Circa il ritenuto concorso formale fra il delitto ex art. 317 c.p., e quello ex art. 609 bis c.p., deve rilevarsi che non è ravvisabile fra le relative fattispecie astratte un rapporto di genere a specie. In ogni caso, la specialità sarebbe reciproca o bilaterale, presentando l’art. 317 c.p., l’elemento specializzante della qualità del soggetto attivo e l’art. 609 bis c.p., quello dello oggetto materiale della condotta. Quest’ultima, inoltre, lede all’evidenza, nella sua unitarietà, due diversi beni giuridici, posti a salvaguardia di distinti valori costituzionali, e cioè il buon andamento della Pubblica Amministrazione e la libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale (cfr. in termini Cass. sent. 20.11.2007 n. 1815, *****).

7.- Quanto agli estremi della concussione, secondo la definizione datane nel testo dell’art. 317 cp. antecedente alla L. n. 190 del 2012, la giurisprudenza aveva stabilito i seguenti principi di diritto;

a. – elemento essenziale della fattispecie criminosa è l’abuso di potere, per effetto del quale la volontà del soggetto passivo si determina sotto l’influenza del c.d. metus publicae potestatis (Cass. 10.10.1979, ********), il quale deve consistere non nella generica posizione di supremazia, sempre connaturata alla qualifica di pubblico ufficiale, ma bensì nel concreto abuso della veste pubblica, idoneo a far sì che la indebita promessa o dazione da parte del privato sia collegata alla pressione ad esso abuso connessa (Cass. 20.11.2003 n. 6073, *******) e alla correlata posizione non paritaria con il pubblico ufficiale e, quindi, di soggezione nei suoi confronti in cui il privato si sia venuto a trovare (Cass. 18.04.1994, *****);

b. – le modalità del comportamento concussorio sfuggono alla possibilità di una rigorosa delimitazione in chiave descrittiva attraverso predeterminate regole comunicative (Cass. 17.01.1994, *******), potendo lo stesso estrinsecarsi attraverso qualsiasi atteggiamento, anche implicito (Cass. 22.10.1997, *********), che sia comunque in grado, tenuto conto anche delle particolari condizioni in cui si svolge, di turbare o diminuire la libertà psichica del soggetto passivo che ne sia destinatario (Cass. 13.11.1986, ********), indipendentemente dalla verifica della sua idoneità potenziale a produrre i medesimi effetti nei confronti di qualsiasi altro soggetto (Cass. 09.02.1996, ******);

c – la differenza fra le due forme di realizzazione del fenomeno concussorio è data dal mezzo usato per il conseguimento del risultato, nel senso che, nella “concussione costrittiva”, è l’esercizio di una minaccia o intimidazione, concretizzantesi in genere nella prospettazione di un male ingiusto, che va a incidere in misura grave sulla volontà del soggetto passivo, mettendolo di fronte a una drammatica alternativa e determinandolo, in tal modo, a effettuare la dazione o la promessa indebita, mentre, nella “induzione”, la risoluzione della vittima è l’effetto di forme più blande di pressione, caratterizzate in particolare da profili di persuasione, suggestione e fraudolenza, attraverso cui, e utilizzando sempre la propria posizione di preminenza, il pubblico agente riesce a “convincere” il destinatario e a ottenere così la soddisfazione delle proprie pretese, magari neppure apertamente esplicitate (Sez. 6^, 5 ottobre 1998, dep. 26 ottobre 1998, n. 11258; Sez. 6^, 8 novembre 2002, dep. 8 gennaio 2003 n. 52; Sez. Sez. 6^, 14 novembre 2002, dep. 27 marzo 2003, n. 14353; Sez. 6^, 19 giugno 2008, dep. 25 agosto 2008, n.33843; Sez. 6^, 11 gennaio 2011, dep. 28 giugno 2011, n. 25694; Sez. 6^ 7 marzo 2012, dep. 24 settembre 2012, n. 36);

d. – l’elemento discriminante della concussione rispetto alla corruzione è costituito dalla presenza, nella prima, di una volontà prevaricatrice del pubblico ufficiale, condizionate la volontà del privato (Cass. 03.11.2003 n. 4898, PG e. Di *******), per effetto della quale quest’ultimo versa in stato di soggezione di fronte alla condotta del pubblico ufficiale, mentre nella corruzione i due soggetti vengono a trovarsi in posizione di sostanziale parità (Cass. 01.02.1993, ********), accordandosi, con manifestazioni di volontà convergenti, sul pactum sceleris (Cass. 13.01.2000, PG c. *********);

e. – analogamente, il delitto punito dagli artt. 56 e 317 c.p., si distingue da quello previsto dall’art. 322 c.p., comma 4, per il fatto che nel primo la condotta del pubblico ufficiale è astrattamente idonea a determinare uno stato di soggezione, anche se poi – per particolare resistenza o forza del soggetto passivo – tale risultato non si produce, mentre il secondo reato concerne le condotte del pubblico ufficiale dalle quali esula ogni significato di costrizione o di induzione nei confronti del privato (Cass. 25.02.1994, ********);

f. – la circostanza che l’atto, oggetto del mercimonio, del pubblico ufficiale sia illegittimo e contrario ai doveri di ufficio non comporta per sè la degradazione del titolo del reato da concussione in corruzione, neppure quando il soggetto passivo versi già in illecito e sia consapevole dell’illegittimità dell’atto, posto che ciò che occorre e basta ai fini della sussistenza della concussione è che rimanga inalterata la posizione di preminenza prevaricatrice del pubblico ufficiale sull’intimorita volizione del privato (Cass. 01.02.1993, ********), indotta dall’abuso delle qualità o delle funzioni del primo (Cass. 09.03.1984, ******), tale da escludere che la volontà del secondo si sia liberamente determinata (Cass. 04.05.1983, *******).

8. – L’entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, ha scomposto il delitto di concussione in due autonome figure di reati, la “concussione per costrizione”, da un lato, rimasta sotto l’art. 317 c.p., e la “induzione indebita a dare o promettere”, dall’altro, trasfusa nel nuovo art. 319 quater c.p..

I precetti che definiscono tali figure sono formulati con le identiche “parole” usate nella fattispecie originaria, mentre sono state introdotte vistose differenze, oltre che nelle pene, nella individuazione del soggetto attivo della “concussione” costrittiva, che può essere ora solo il pubblico ufficiale, e nella scelta del legislatore di punire, in relazione alla induzione, anche colui che, subendola, vi presta acquiescenza, così collaborando alla verificazione dell’evento del reato.

La restrizione soggettiva della nuova concussione per costrizione appare indifferente per la portata oggettiva della fattispecie (determinando solo la possibile riconduzione dell’analoga attività posta in essere dall’incaricato di pubblico servizio nella fattispecie dell’estorsione aggravata). In riferimento, invece, alla innovativa scelta di punire anche il soggetto passivo nella “induzione indebita a dare o promettere”, ci si può chiedere se l’ambito applicativo di tale reato ne sia stato in qualche modo influenzato.

Al riguardo sembra potersi senz’altro affermare che la configurazione della fattispecie, per quanto concerne la condotta del pubblico agente, non ha mutato la sua essenziale struttura naturalisticamente plurisoggettiva, nel senso che, sia prima che dopo la riforma, il reato richiede comunque la “collaborazione” del soggetto indotto.

Anche nella concussione, quale (già) unificata nelle due forme alternative della costrizione e della induzione, del resto, la volontà dei due soggetti protagonisti dell’actio criminis è solo ab origine divergente, mentre diventa, all’esito della dialettica interna che caratterizza le opposte condotte, inevitabilmente convergente, pur nello squilibrio della diversa forza e delle diverse ragioni dell’incontro delle volontà.

La trasformazione, nella attualmente separata forma della induzione, del soggetto passivo, da vittima in soggetto passibile di sanzione per la cooperazione alla condotta del pubblico agente, non ha direttamente inciso sul versante di tale ultima condotta, ma ha solo inteso responsabilizzare, con una scelta di politica legislativa ispirata all’intento di favorire un freno e un controllo diffuso e dal basso dei soprusi dei rappresentanti della p.a., la posizione del privato “cooperante”.

Va da sè che la separazione e il diverso trattamento delle due condotte, prima unitariamente disciplinate, della costrizione e della induzione, richiede ora una maggiore attenzione nell’individuare in concreto la ricorrenza dell’una o dell’altra, laddove in passato la distinzione era praticamente superflua, tant’è che le contestazioni e le descrizioni scivolavano facilmente dall’una all’altra locuzione.

Per questa ragione, è evidente che, agli effetti dell’inquadramento delle fattispecie “pendenti”, non possono ritenersi in alcun modo vincolanti le definizioni e le descrizioni anteatte in termini di costrizione o induzione, valendo solo la qualificazione che risulti pertinente e corretta in relazione alla concreta realtà dei fatti, quale emergente dalla ricostruzione effettuata in sede di merito.

9.- Venendo al caso di specie, rilevasi che i giudici di merito hanno ravvisato, nella relazione fra la V., aspirante a ottenere un posto di lavoro in qualità di asserita appartenente a categoria protetta, e il S., impiegato dell’Ufficio del lavoro, addetto alla formazione delle graduatorie per il collocamento obbligatorio, una situazione di squilibrio prevaricatorio, tale da determinare nella donna uno stato di soggezione idoneo a condizionarne la volontà. Dalla ricostruzione dei fatti compiuta sulla base delle risultanze processuali è in particolare emerso che l’imputato, nelle more dell’attesa, da parte della donna, dell’esito finale della sua domanda, in pendenza del periodo di assunzione al lavoro in prova, le prospettò problemi inerenti alla sua documentazione che ne mettevano a rischio la assunzione finale e che egli avrebbe potuto risolvere, riuscendo così a ottenere da lei, fino a che non intervenne l’assunzione definitiva, prestazioni sessuali (in numero di tre). A distanza poi di tempo, l’imputato contattò nuovamente la donna, prospettandole nuovamente problemi per la conservazione del posto di lavoro derivanti dai controlli attivati dagli uffici competenti, accampando di potere, tramite opportuni e onerosi contatti, risolvere i detti problemi, in cambio del versamento delle somme necessarie, comunque ratizzabili e sostituibili eventualmente con corrispondenti prestazioni sessuali. A questo punto la donna prese coraggio e, sospettando di essere raggirata, si decise a denunciare il S., che riuscì a far arrestare con i soldi versatigli in occasione di un incontro concertato con la squadra mobile.

Tale ricostruzione è stata censurata dal ricorrente, che, denunciando l’inattendibilità della donna, ha tentato di accreditare la tesi della sostanziale innocuità del proprio comportamento e della libera scelta della donna di condividere con lui alcune esperienze amorose e sessuali. Questa tesi, basata su una improponibile diversa lettura delle risultanze processuali, trova adeguata e logica confutazione nella sentenza impugnata, che ha valorizzato in modo particolare, e particolarmente persuasivo, le circostanze che i rapporti sessuali cessarono, nella prima vicenda (a cavallo fra il 2006 e il 2007), non appena la V. ottenne l’assunzione definitiva al lavoro, e che la seconda vicenda (del 2009) si caratterizzò per una particolare spregiudicatezza del S., che sollecitò espressamente soldi e beni di valore, offrendo alla donna la possibilità di sostituire le erogazioni di denaro con prestazioni sessuali corrispondenti alle singole rate.

10.- Non c’è dubbio che i fatti, così come accertati, caratterizzati dalla prospettazione alla donna, formulata in termini subdolamente vaghi, da un lato, dei gravi rischi cui la sua situazione di speranza e, poi, di conservazione di un lavoro stabile era soggetta, e, dall’altro, e contestualmente, della possibilità per l’imputato, il cui derivava dalla circostanza che i problemi rappresentati attenevano comunque alla sua sfera di competenza, di risolvere ogni cosa (anche grazia all’intervento-relativamente ai fatti del 2009 – di non meglio precisati soggetti terzi), previa la “gratificazione” di cui si è detto, lungi dall’essere riconducibili alle addotte ipotesi della truffa (che avrebbe implicato la erronea convinzione, nella donna, della doverosità delle “prestazioni” richiestele) e della millanteria (che appare incompatibile col ruolo “centrale” comunque vantato e assunto dal prevenuto non solo nella prima vicenda ma anche nella seconda, a quella intimamente collegata), appaiono chiaramente inquadrabili nella figura della concussione, quale unitariamente disciplinata nel previgente art. 317 c.p..

Nell’attuale sdoppiamento di tale figura, non può poi che optarsi per la riconduzione dei fatti alla concussione di tipo “costrittivo”, e tanto in ragione del fatto che, col suo comportamento, subdolamente vago nella indicazione della natura dei problemi insorti o insorgendi, ma nel contempo assai determinato nel pretendere il “compenso” necessario per un suo intervento risolutore, reso possibile e credibile per la posizione rivestita in seno alla p.a., il S. suscitò nella V. l’angosciante e concreto timore che le venisse disconosciuto un diritto, concernente un interesse per lei assolutamente vitale, se non si fosse piegata a corrispondere a quanto (con non poca spregiudicatezza) le veniva richiesto. Si trattava dunque di una minaccia, formulata in modi larvati e oscuri, che, per l’oggetto e il contesto, recava una elevata carica di gravità, tale da condizionare pesantemente la libertà di determinazione del soggetto passivo, integrando così gli estremi della “costrizione”, rilevante agli effetti (del vecchio e) del nuovo art. 317 c.p..

11.- In relazione al fatto che, in tale nuova versione dell’art. 317 c.p., il reato può essere commesso solo dal pubblico ufficiale, va premesso che anche qui affermazioni pregresse sulla qualità dell’agente, in quanto indifferenti nella precedente configurazione della fattispecie e concernenti comunque una valutazione giuridica, non hanno alcun carattere vincolante, dovendosi e potendosi dunque procedere alla definizione della qualificazione del soggetto alla stregua dei dati di fatto accertati in causa. Ciò chiarito, deve senz’altro ritenersi che il S., in quanto deputato alla formazione, alla stregua della documentazione prodotta, delle graduatorie degli aspiranti al collocamento obbligatorio, che doveva servire di base per il concreto avviamento al lavoro, svolgeva un’attività certificatoria, con cui concorreva alla formazione della volontà della pubblica amministrazione, ed era, quindi, certamente, secondo i criteri di cui all’art. 357 c.p., un pubblico ufficiale.

12.- Sulla configurabilità del concorso formale fra la concussione e il delitto (in questo caso triplice) di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p., si è già sopra detto (vedi nn. 5 e 6). Si può qui solo aggiungere che tale ultima norma include significativamente, fra i ‘mezzì con cui si può attuare la costrizione ad atti sessuali, oltre alla violenza o minaccia, anche l’abuso di autorità.

13.- Quanto alle doglianze sul trattamento sanzionatorio, è senz’altro fondata la censura relativa all’entità dell’aumento applicato ex cpv. art. 81 c.p., per l’episodio concussivo di cui al capo C) della rubrica, siccome determinato nella misura di un anno, superiore a quella, di nove mesi, fissata dal primo giudice.

Infondate sono invece le altre censure, sia sulla entità della pena per il reato base, confermata e motivata in ragione della sua gravità, sia sulla entità degli aumenti per continuazione relativi ai tre episodi di violenza sessuale, per i quali, avendo la Corte di merito, proprio evidentemente in accoglimento degli argomenti addotti nei motivi di appello, apportato una congrua diminuzione della misura (di un anno) già applicata dal primo giudice, dimezzandola, ogni pretesa di ulteriore riduzione si palesa come inammissibile censura di merito alla valutazione operata (in termini certamente non illogici) dalla Corte territoriale.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio limitatamente alla pena, che, depurata del sovrappiù (di mesi due, tale risultando la misura finale, per la riduzione di 1/3 per il rito) relativo all’aumento ex cpv. per il reato di cui al capo C), va rideterminata in anni quattro e mesi due di reclusione.

P.Q.M.

annulla senza rinvio a sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena, ridetermina in anni quattro e mesi due di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2013.

Redazione