Concessionario altera contachilometri delle auto: reato di truffa (Cass. pen. n. 38085/2013)

Redazione 17/09/13
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Svolgimento del processo

1.1) – Il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 10.02.2012 assolveva l’odierno ricorrente: R.P.; dal reato di truffa, ex art. 640 c.p., in danno di L. ed V.A. che, mediante l’artificio ed il raggiro di nascondere il reale chilometraggio dell’autovettura “Pajero”, ben superare a quello apparente di Km. 100.200, li induceva in errore circa la percorrenza del veicolo e li convinceva a ritenere congruo il prezzo richiesto di Euro 11.00,00, procurandosi così un indebito profitto con pari danno per le persone offese;

1.2) – Il PM presso il Tribunale di Cosenza proponeva impugnazione avverso tale decisione e la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 13.12.2012 accoglieva i motivi proposti e, in riforma della decisione di 1° grado, riteneva la penale responsabilità dell’imputato in relazione al delitto di truffa contestato e condannava l’imputato alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 200,00, di multa, oltre al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile;

2.0) – Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) e e).

2.1) – Il ricorrente censura la decisione impugnata per omessa ovvero illogica valutazione delle prove, ivi compresa la prova ritenuta decisiva dal medesimo ricorrente che egli aveva proposto all’acquirente V. di andare insieme a Reggio Emilia per ritirare l’autovettura;

– il R. osserva che da tale circostanza emergeva la sua buona fede perchè, ove avesse avuto in animo di alterare il contachilometri della vettura, non avrebbe proposto all’acquirente di andare a ritirare insieme il veicolo esponendosi così al rischio che il V. potesse controllare la portata originale del chilometraggio;

– il ricorrente deduce che da tale circostanza la Corte di appello avrebbe dovuto ricavare la prova che egli non aveva alterato il chilometraggio e che era all’oscuro della percorrenza effettiva del veicolo;

2.2) – Tali ultime valutazioni erano quelle ritenute corrette dal giudice di primo grado, che aveva mandato assolto l’imputato sotto il profilo della mancanza di una prova certa in ordine alla consapevolezza dell’effettivo chilometraggio della vettura e, al riguardo, il R. osserva che la sentenza di secondo grado andava censurata per omessa motivazione sul punto;

2.3) – Invero, in caso di riforma della sentenza di primo grado, incombeva al giudice di appello l’obbligo di una motivazione rafforzata, comprensiva della confutazione degli argomenti più rilevanti della prima sentenza, superati nella specie con affermazioni apodittiche;

2.4) – La sentenza impugnata era erronea per avere ravvisato il delitto di truffa mentre nella specie si poteva al più ritenere una responsabilità di tipo civilistico da parte del venditore R..

Motivi della decisione

3.1) – Il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

3.2) – Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte territoriale ha congruamente motivato in ordine alla prova sulla responsabilità del prevenuto, osservando:

– che , dopo l’acquisto, il chilometraggio era risultato il doppio di quello riportato sul contachilometri, sicchè il V. riteneva che il prezzo di acquisto avrebbe dovuto essere molto inferiore;

– che però l’acquirente era stato indotto ad acquistare l’auto al maggior prezzo richiesto dal R. perchè raggirato sull’entità dell’effettivo chilometraggio percorso, ritenendo corretto il dato riportato nel contachilometri, per la fiducia che nutriva nel venditore R. a causa del pregresso rapporto di amicizia e, per le dichiarazioni di quest’ultimo che gli aveva assicurato che l’auto era stata di frequente controllata e revisionata;

3.3) – Si tratta di una motivazione congrua perchè aderente alle risultanze processuali ed esente da illogicità evidenti perchè conforme alle massime di comune esperienza; – per contro, i ricorrenti propongono delle valutazioni delle medesime prove, del tutto alternative a quelle compiute dalla Corte territoriale che non tengono conto della motivazione impugnata , laddove precisa come il V. aveva dichiarato che il R. gli aveva sempre taciuto il nome del precedente proprietario, così impedendogli di controllare le condizioni della vettura, e che, successivamente, gli aveva poi confessato di avere sempre saputo quale fosse il reale chilometraggio della macchina;

– la Corte di appello ricava da tali elementi la prova dell’elemento soggettivo del delitto ascritto all’imputato, prova che ritiene confermata dalla circostanza che il R. aveva pagato per il veicolo una cifra di gran lunga inferiore a quella richiesta al V. dichiarando però al medesimo di avere acquistato il mezzo ad un prezzo più alto e più vicino a quello chiesto;

– a fronte di tale motivazione analitica e congrua , le contrarie deduzioni difensive sono inammissibili in questa sede ove, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

La Corte di cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. (Cassazione penale, sez. 4^, 29 gennaio 2007. n. 12255).

3.4) – Le motivazioni sin qui esposte evidenziano l’infondatezza del motivo relativo alla negata sussistenza di un mero inadempimento civile, posto che la Corte di appello ha evidenziato la prova in ordine alla consapevolezza dell’imputato: – sul reale chilometraggio dell’autovettura, -sul suo reale ed inferiore valore, nonchè: – sugli artifici e raggiri posti in essere per trarre in errore la persona offesa, sicchè sono state correttamente e sia pure implicitamente escluse le ipotesi di inesistenza del reato , per come prospettate dal ricorrente.

3.5) – Risulta perciò chiara l’infondatezza dei motivi proposti, non essendo stata ignorata alcuna prova decisiva ed avendo proceduto la Corte di appello a rivisitare tutto il materiale probatorio, argomentando anche riguardo alla precedente decisione ed indicando gli elementi giustificativi della difforme valutazione, confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima sentenza e supportando in tal modo un apprezzamento di merito proprio del grado. Cassazione penale, sez. 6^, 19/12/2012. n. 1514.

3.6) – I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo valutazioni giuridiche totalmente contrarie alla Giurisprudenza di legittimità, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

3.7) – L’inammissibilità dei motivi proposti in diritto ed in fatto riverbera i suoi effetti anche riguardo al motivo relativo alla eventuale prescrizione del reato, atteso che l’inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione nelle more del giudizio di legittimità. (Cassazione penale Sez. 2^, 21 aprile 2006, n. 19578) 3.8) – Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00 , così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti; nonchè alla rifusione delle spese sostenute in questo dalle parti civili, V.L. e V. A., liquidate in Euro 5.000,00 oltre accessori come per legge, quali : spese forfetarie, IVA e CPA.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00, alla Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili, V.L. e V.A., liquidate in Euro 5.000,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2013.

Redazione