Comunicazioni elettroniche: tutela del consumatore/utente (Cons. Stato n. 12/2012)

Redazione 11/05/12
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FATTO

1. Con ricorso n. 3130/2009 Telecom Italia s.p.a. impugnava davanti al TAR del Lazio, sede di Roma, la deliberazione n. 19446 assunta dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nell’adunanza del 22 gennaio 2009 e notificata alla società ricorrente l’11 febbraio 2009, con la quale è stata dichiarata pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21 comma 1 lett.a), b), d), g) e 22 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), la comunicazione a mezzo SMS agli utenti/abbonati della variazione dei piani tariffari di abbonamento di telefonia mobile, denominata manovra repricing, accompagnata da un avviso sui tre maggiori quotidiani a diffusione nazionale, nonché dalla possibilità di consultazione sul sito internet.

2. All’accertata violazione delle norme poste a tutela del consumatore seguiva il divieto di ulteriore diffusione e l’irrogazione della sanzione, nella misura di euro 500.000.

3. In parallelo al procedimento attivato da AGCM, l’Autorità per le garanzie delle comunicazioni, con riguardo alla manovra repricing, dava inizio ad un procedimento volto alla verifica della corretta osservanza da parte di Telecom degli obblighi di informazione circa la facoltà di recesso senza penali, posti a carico del gestore di telefonia mobile dall’art. 70 comma 4 d.lgs. n. 259 del 2003, in caso di notifica di proposte di modifica alle condizioni contrattuali. Quest’ultimo procedimento si concludeva con la delibera n. 39/09 del 28 gennaio 2009 che, con riferimento alle misure divulgative della manovra repricing, ne riconosceva la sufficienza a garantire il rispetto degli obblighi informativi dell’utente.

4. Avverso il provvedimento sanzionatorio di AGCM Telecom Italia proponeva tre distinti motivi di censura:

4.1. incompetenza di AGCM ad intervenire in ordine alla pratica commerciale de qua, essendo ogni valutazione sulla stessa riservata ad AGCom;

4.2. erroneità della qualificazione da parte di AGCM come pratica commerciale scorretta delle modalità di comunicazione e divulgazione della manovra repricing;

4.3. erroneità della determinazione del quantum della sanzione amministrativa irrogata.

5. Con sentenza n. 19892 del 2010 il TAR del Lazio respingeva il ricorso.

6. Avverso la sentenza ha proposto appello Telecom Italia, contestando le conclusioni del Tribunale regionale e rinnovando i motivi già formulati in I grado, chiedendo la riforma della sentenza e l’accoglimento del ricorso di I grado, con annullamento della delibera impugnata.

In particolare, deduce l’appellante, quale primo motivo di impugnazione, error in iudicando del primo giudice: infatti, con il primo motivo di ricorso in primo grado era stata dedotta l’incompetenza di Antitrust a contestare, ai sensi della disciplina di cui agli artt. 18 e ss. del Codice del consumo, l’inadeguatezza dell’informativa resa ai propri abbonati in merito alla manovra repricing.

Afferma l’appellante che tale pratica sarebbe oggetto di un’autonoma e completa disciplina settoriale, posta a protezione dell’utente-consumatore di tali servizi, dettata dall’art. 70 co.4 del d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), la cui applicazione sarebbe demandata alla competenza dell’AGCom, titolare anche di potestà sanzionatoria in materia.

In sostanza, la presenza di un’articolata normativa di ordine speciale, con relativi poteri sanzionatori in capo ad AGCom, escluderebbe, in ossequio al principio di specialità, la contemporanea applicazione, da parte di Antitrust, della disciplina generale relativa alle pratiche commerciali scorrette.

Il che appare, secondo Telecom, del tutto fisiologico in quanto l’AGCom, nella sua veste di autorità che esercita una vigilanza continuativa sul comparto delle comunicazioni elettroniche, ha una competenza specialistica del settore, sia sotto il profilo normativo, sia per la conoscenza di tutte le offerte di telefonia in essere e del contenuto dei contratti con gli utenti, sia per la maggiore familiarità circa la percezione dei consumatori in materia. Il che la rende l’istituzione meglio attrezzata per cogliere e valutare se il contenuto della suddetta comunicazione sia o meno idoneo a soddisfare gli obblighi di corretta e trasparente informativa imposti dall’art. 70, co.4, CCE.

Dal quadro normativo esposto, è indubbio, secondo Telecom, che l’art. 70, co.4, del CCE abbia la natura di disciplina speciale che regolamenta un’aspetto specifico di una peculiare e circoscritta pratica commerciale, a tutela della libertà di scelta e determinazione degli abbonati- consumatori.

Dal che discende l’applicabilità dell’art. 19, co. 3, del d.lgs. n. 206 del 2005, che risolve secondo il principio di specialità il conflitto apparente di norme coesistenti e risolve ex ante e in radice, a favore della Autorità di settore (nella specie, l’AGCom)il potenziale conflitto di competenza.

Né muta i termini del discorso il richiamo alla norma di cui al co.6 dell’art. 70 CCE, a mente del quale “Rimane ferma l’applicazione delle norme e delle disposizioni in materia di tutela del consumatore”, da intendere nel senso che dette norme valgano a colmare eventuali vuoti di tutela lasciati aperti dalla legislazione di settore e/o perseguano fini diversi da quelli avuti di mira da quest’ultima.

Rileva, ancora, Telecom che la sentenza è viziata anche nella parte in cui, affermando essere non decisivo il richiamo al parere espresso dalla I Sezione del Consiglio di Stato n. 3999 del 2008, ha ritenuto che il rapporto tra le due Autorità debba essere ricostruito in termini di complementarietà, nel senso che la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette si aggiunge agli ordinari strumenti di tutela contrattuale (attivabili dai singoli) e agli altri connessi a specifiche discipline in settori oggetto di precipua regolazione.

Infine, si registrerebbe una perfetta coincidenza tra l’interesse tutelato dalla normativa in materia di pratiche commerciali scorrette e l’interesse affidato alla cura di AGCom. Per cui, anche nel caso in esame, avrebbe dovuto farsi applicazione del principio di specialità, senza possibilità di intervento simultaneo da parte di AGCom e di Antitrust, non sussistendo, invero, alcuna lacuna o vuoto di tutela da colmare da parte dell’AGCM, che possa giustificarne l’intervento.

La interpretazione fornita dal Tar dell’art. 19 co. 3 del Codice del consumo si porrebbe, poi, in contrasto con il principio di specialità quale individuato dal legislatore comunitario nel considerando 10 della Direttiva 2005/29/CE.

Tutto ciò troverebbe dimostrazione nella fattispecie in esame, in cui per la medesima condotta, valutata sotto il medesimo profilo, in vista della protezione del medesimo interesse, Telecom è stata contemporaneamente condannata al massimo della pena dall’Autorità garante del mercato e della concorrenza il 22 gennaio 2008 ed assolta dall’AGCom il 28 gennaio 2008: il doppio intervento si manifesterebbe, quindi, inammissibile, in quanto causa di incoerenze, quando non di turbative, rispetto alla naturale autodeterminazione dei soggetti del mercato.

La sentenza di primo grado, inoltre, sarebbe viziata per error in iudicando (artt. 20, 21 co.1, lett.a), b), d), g) e 22 d.lgs. n. 206 del 2005; art. 3 l. n. 241 del 1990), nonché per eccesso di potere, nella parte in cui ha confermato la valutazione di scorrettezza dell’Autorità, affermando che le informazioni fornite dall’SMS sarebbero state insufficienti e confuse e non avrebbero consentito al consumatore di comprendere l’esatta portata della comunicazione, in quanto non ha considerato che il messaggio in questione era parte di una vasta campagna informativa, nel cui ambito l’SMS ricopriva il ruolo di semplice allert rispetto ai contenuti degli altri mezzi di comunicazione impiegati, molto più approfonditi (annuncio sui tre maggiori quotidiani a tiratura nazionale; avviso sul sito internet www.tim.it; le informative disponibili sul numero di assistenza 119).

A prescindere da ciò, non sarebbe neppure possibile rilevare alcuna strutturale carenza nei contenuti dell’SMS, isolatamente considerato, ove si proceda ad una corretta decodifica del messaggio stesso.

Non sarebbe stato, poi, tenuto in considerazione il ruolo compensativo svolto dall’offerta dell’opzione Tim- 50% ****, né il Tar si sarebbe pronunciato sulla censura con cui Telecom contestava l’obbligatoria indicazione della derivazione legale del diritto di recesso riconosciuto al consumatore (non prevista né dall’art. 70 CCE, né dal Codice del consumo).

Con il terzo motivo di appello TELECOM confuta la reiezione, da parte del Tar, della censura con cui era stata contestata, in relazione a molteplici aspetti, la determinazione della sanzione amministrativa irrogata nel massimo edittale.

Sarebbe mancata una adeguata e rigorosa motivazione sul punto da parte dell’Autorità e non sarebbe ravvisabile in capo a Telecom una responsabilità eccedente la culpa levissima.

Il provvedimento adottato, poi, violerebbe ad ogni evidenza il principio di proporzionalità. Sul punto, la società appellante ripropone, pertanto, le argomentazioni svolte in primo grado, tese a dimostrare la violazione dei criteri di quantificazione dettati dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981.

Da ultimo, il Tar non avrebbe fornito idonea motivazione in ordine alle doglianze con cui Telecom ha lamentato l’omessa valutazione delle misure adottate per attenuare le conseguenze dell’infrazione.

7. Si è costituita l’AGCM che, ripercorso l’iter procedimentale sfociato nel provvedimento impugnato, evidenzia l’infondatezza dei motivi di appello proposti.

Quanto alla eccepita incompetenza, osserva l’Antitrust che il presupposto per l’applicazione del principio di specialità di cui all’art. 19, comma 3, del Codice del consumo risiede nell’esistenza di un contrasto tra discipline concorrenti, ossia quando queste intervengono, a tutela del medesimo interesse, nei confronti degli stessi soggetti e delle stesse condotte con poteri analoghi. Nel caso di specie, invece, la disciplina di settore sarebbe improntata alla tutela della concorrenza del mercato e del pluralismo dell’informazione, mentre la tutela degli interessi dei consumatori opererebbe solo in via mediata ed indiretta. A differenza del Codice delle comunicazioni elettroniche, il Codice del consumo perseguirebbe direttamente e con immediatezza l’interesse del consumatore.

Consegue da ciò, ad avviso di Antitrust, che obiettivo dell’intervento di AGCom sarebbe quello di garantire una maggiore concorrenzialità nei mercati interessati, mentre il proprio intervento mirerebbe alla tutela del consumatore. Pertanto, la disciplina del Codice del consumo non si porrebbe in conflitto con la disciplina di settore, ma correrebbe parallela ad essa, perseguendo un interesse intrinsecamente diverso.

Aggiunge Antitrust che la condotta posta in essere dall’operatore ed oggetto di imputazione nel caso in esame non si sarebbe esaurita nella violazione della normativa di settore, essendosi tradotta nell’adozione di procedure di attivazione dei servizi che non tenevano conto adeguatamente del fatto che l’acquisizione del consenso potesse avvenire inconsapevolmente.

Infine, in ordine alla quantificazione della sanzione, evidenzia Antitrust che, al fine di garantire un’efficacia deterrente della sanzione pecuniaria, è stata valutata, tra l’altro, anche la dimensione economica del professionista, che rappresenta il principale gestore di telefonia fissa a livello nazionale. Ciò che ha assunto rilevanza, poi, era l’inidoneità della procedura seguita dal professionista per acquisire il consenso consapevole dei consumatori, a prescindere dal numero effettivo di contatti effettivamente realizzati (numero difficilmente quantificabile con esattezza).

In sintesi, nessun difetto di proporzionalità, pertanto, sarebbe ricavabile dalla presente fattispecie sanzionatoria.

8. Si è costituita anche AGCom, sostenendo, contro le conclusioni del Tar ed in linea con la censura di incompetenza dedotta da Telecom come primo motivo del ricorso di I grado, l’esclusività della propria competenza quanto al rispetto degli obblighi informativi agli effetti della libera autodeterminazione del consumatore/utente dei servizi di telefonia.

Aggiunge AGCOM che la disciplina di settore assicurerebbe, poi, un livello di tutela più elevato, poiché adatterebbe la disciplina del Codice del consumo alle specifiche caratteristiche ed esigenze proprie del settore delle telecomunicazioni. Pertanto, in applicazione dell’art. 19, comma 3, del Codice del consumo, soltanto la disciplina di settore dovrebbe trovare applicazione nel caso di specie, con conseguente incompetenza di Antitrust.

9. Con memoria difensiva la società appellante ribadisce le proprie argomentazioni, con particolare riferimento al fatto che la medesima pratica commerciale sarebbe stata oggetto, sotto il medesimo profilo e in vista della protezione del medesimo interesse, di due distinti e coevi procedimenti sanzionatori (dinanzi, rispettivamente, ad Antitrust e ad AGCOM), sfociati in decisioni antitetiche (condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria e archiviazione con accettazione degli impegni).

10. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 14 giugno 2011.

11. Con ordinanza n. 5522 del 2011 la VI Sezione, considerato che le questioni sollevate erano suscettibili di soluzioni diverse e potevano dar luogo a contrasti giurisprudenziali, ha deferito il ricorso all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, CPA.

12. Queste le questioni proposte in tema di diritto dei consumatori:

a. Se, contrariamente a quanto statuito dal TAR, la disciplina degli artt. 70 e 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche si atteggi come normativa speciale e quindi prevalente rispetto a quelle del Codice del consumo (art. 19, co. 3, d.lgs. n. 206 del 2005), tenuto conto di quanto disposto dall’art. 13, comma 19, d.lgs. n. 206 del 2005 (recesso della disciplina generale a fronte di disposizioni comunitarie e relative norme nazionali di recepimento che disciplinino aspetti specifici) e dall’art. 70, co. 4 del d.lgs. n. 259 del 2003 (che contiene la disciplina di dettaglio degli obblighi informativi e di trasparenza).

b. Se, una volta escluso il carattere speciale e quindi esclusivo della tutela approntata dal Codice delle comunicazioni, in presenza di competenze concorrenti, risulti violata la regola del ne bis in idem.

c. Se, ove si acceda alla tesi del primo giudice della complementarietà delle tutele, risulti rispondente ai criteri di proporzionalità e adeguatezza un regime sanzionatorio composto dal cumulo delle sanzioni irrogabili dalle due autorità.

13. Si è costituita l’AGCM che, con memoria difensiva, ha escluso, nella fattispecie, la sussistenza di un contrasto fra norme o di antinomia reale. Dall’analisi della normativa pertinente (in particolare gli artt. 3, 4 e 13 del Codice delle comunicazioni elettroniche) si evince, infatti, secondo Antitrust, che il Codice del consumo e il Codice delle comunicazioni elettroniche tutelano interessi diversi, con strumenti diversi. La stessa normativa settoriale e, in particolare, l’art. 70 co.6, fa espressamente salva l’applicazione delle norme e delle disposizioni in materia di tutela dei consumatori, confermando in tal modo l’inesistenza di un conflitto tra le due discipline e sancendone l’applicazione parallela. Ciò in ragione della evidente estraneità della funzione di tutela del consumatore rispetto alle disposizioni del Codice delle comunicazioni elettroniche. Né, secondo l’AGCM, sarebbe condivisibile l’interpretazione secondo cui detta norma conterrebbe un rinvio dinamico alla legislazione anche sopravvenuta in materia di tutela del consumatore, tale per cui nel settore delle comunicazioni spetterebbe ad AGCom la competenza ad applicare le disposizioni del Codice del consumo. Detta opzione interpretativa non terrebbe conto di due elementi fondamentali: 1) che l’art. 70 co. 6 non è una norma sulla competenza, ma sul rapporto fra discipline; 2) che nel nostro ordinamento l’art. 27 del Codice del consumo ha individuato nell’Autorità garante della concorrenza e del mercato l’organo deputato in via esclusiva ad applicare la disciplina generale della tutela del consumatore. Per cui, in assenza di una norma che deroghi espressamente a quanto in essa previsto, sarebbe arduo sostenere in via interpretativa che un organismo diverso dall’Autorità antitrust possa applicare le norme del Codice del consumo (cfr. Ord. VI Sez. n. 6527/11). La soluzione prospettata, inoltre, comporterebbe anche l’introduzione di un diverso grado di tutela, atteso che i poteri di cui gode AGCom non hanno la stessa portata qualitativa e quantitativa rispetto a quelli dell’Autorità garante.

Infine, secondo ****, poichè gli interessi tutelati dalle due discipline sono diversi, sarebbe da escludere in radice qualsiasi possibilità di contrasto tra le stesse e di bis in idem.

AGCM sostiene, poi, nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere che le due discipline perseguono il medesimo interesse, che andrebbe esclusa, per le ragioni già illustrate, la tesi secondo cui la disciplina del Codice delle comunicazioni dovrebbe sempre prevalere su quella del Codice del consumo: l’esame della specifica fattispecie renderebbe evidente come nel caso di specie nessun contrasto sia rilevabile tra disciplina generale e quelle speciale, considerato che quest’ultima nulla dispone di specifico rispetto ai comportamenti sanzionati dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

14. Si è costituita l’AGCom che, con memoria difensiva, ha sostenuto che la questione relativa alla competenza delle due Autorità non rileverebbe se non in via subordinata: il concorso, infatti, non sussisterebbe fra le due competenze, bensì e prima, fra gli apparati normativi e regolamentari affidati al controllo di soggetti diversi. La illogicità della teoria della complementarietà non sarebbe superabile, come pure la sua non conformità ai principi di buona amministrazione. Ad avviso di AGCom, in base all’art. 19 co.3 del d.lgs. n. 206 del 2005 ove sia sussistente una disciplina regolatoria di settore, che si traduca in una regolamentazione comportamentale e non solo strutturale, la disciplina Antitrust deve cedere necessariamente il passo, trovando applicazione solo quando, in un determinato ambito, manchino delle regole di condotta specifiche. Possedendo il Codice delle comunicazioni elettroniche la natura di disciplina speciale tendenzialmente completa, ricorrerebbero nella fattispecie tutte le condizioni richieste ai fini dell’applicazione del criterio di specialità, trattandosi, contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza di rimessione n. 5522, dello stesso fatto illecito e non di due illeciti, in quanto medesimo è il comportamento preso in considerazione dalle due diverse discipline, così come lo stesso è l’operatore economico interessato. Né potrebbe sostenersi che esuli dalla disciplina propria del Codice delle comunicazioni elettroniche, e quindi dalle competenze dell’AGCom, ai sensi dell’art. 98, comma 16, la tutela del consumatore- utente. Tutta la normativa rilevante (legge n. 249 del 1997; legge. n. 481 del 1995; d.lgs. n. 259 del 2003)farebbero ritenere affidata ad AGCom, in materia di comunicazioni, la tutela dei diritti degli utenti finali e a tale attività è dedicata un’apposita Direzione interna alla struttura della medesima Autorità.

Ne consegue, secondo la tesi esposta, che AGCom, nel settore in questione, è l’unico soggetto competente a vigilare sulla corretta applicazione della normativa primaria e regolamentare e, se del caso, ad irrogare sanzioni per la sua violazione. Al contrario è possibile ipotizzare che intervenga AGCM ove la disciplina di settore sia assolutamente insufficiente a tutelare l’utente, ovvero il comportamento dell’operatore sia sanzionato per profili non regolati dalla disciplina speciale.

Quanto alla portata dell’art. 70 u.co. del Codice delle comunicazioni elettroniche ed in particolare dell’inciso secondo cui “resta ferma la normativa a tutela dei consumatori”, ad avviso della difesa di AGCom va vista come conferma della tesi che vede preferibile la disciplina di settore, in quanto l’affermazione sopra riportata presupporrebbe la incompletezza della disciplina di settore ovvero il perseguimento da parte della legislazione consumeristica di fini diversi da quelli avuti di mira dalla prima.

Si soggiunge che l’art. 19 co.3 che prevede la regola del principio di specialità è norma successiva all’art. 70 co.6 del Codice delle comunicazioni elettroniche, sicchè, anche in virtù del principio “lex posterior derogat priori”, dovrebbe ritenersi la prevalenza dell’art. 19 co.3 sull’art. 70 co.6.

15. Telecom Italia ha depositato ampia memoria riassuntiva dei punti principali della questione all’esame di questa Adunanza plenaria e ha ribadito ulteriormente le proprie argomentazioni.

 

DIRITTO

1. Viene all’esame dell’Adunanza Plenaria l’actio finium regundorum tra AGCom e Antitrust in materia di attività di cosiddetto repricing, ossia la comunicazione a mezzo SMS agli utenti/abbonati delle variazioni dei piani tariffari di abbonamento di telefonia mobile, accompagnata da un avviso sui tre maggiori quotidiani a diffusione nazionale, nonché dalla possibilità di consultazione sul sito internet.

2. Infatti, nel caso in esame TELECOM ha denunciato l’incompetenza di Antitrust ad irrogare sanzioni a fronte del comportamento tenuto per comunicare ai propri abbonati la rimodulazione di piani tariffari (la cd. manovra repricing) con conseguente dedotta illegittimità della delibera impugnata, con la quale è stata vietata l’ulteriore diffusione della pratica ritenuta scorretta ed è stata irrogata la sanzione pecuniaria di 500.000,00 euro.

La questione è indubbiamente di principio poiché, come risulta evidente dall’intensa dialettica processuale, entrambe le autorità ritengono di avere competenza nella materia ed operano in concreto in tal senso; e ciò non può non sollevare il problema della coerenza di un sistema del genere con il principio di buon andamento dell’articolo 97 della Costituzione, atteso che i procedimenti in questione sono estremamente onerosi sia per l’amministrazione che per i privati.

3. In via preliminare rileva il Collegio come la citata delimitazione di competenza debba iscriversi in una più ampia analisi, che ha ad oggetto il rapporto tra la normativa generale in materia di tutela del consumatore e la disciplina di settore delle comunicazioni elettroniche. Una volta acclarato tale assetto normativo, finalizzato ad individuare la disciplina da applicare in concreto, potrà essere agevolmente individuata l’Autorità chiamata ad intervenire nella fattispecie in esame, quale Autorità preposta alla tutela del corpo normativo di cui si è individuata l’applicazione.

Innanzitutto, occorre evidenziare come il Codice delle comunicazioni elettroniche faccia espresso riferimento in numerosi articoli alla tutela del consumatore: ciò avviene, ad esempio, all’art. 4, comma 3, lett. f), ove è previsto che la disciplina delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica è volta, tra l’altro, ad assicurare vantaggi per i consumatori; all’art. 13, comma 4, lett. a), ove si dispone che Ministero ed AGCom assicurino agli utenti, compresi i disabili, il massimo beneficio sul piano della scelta, del prezzo e della qualità; all’art. 70, che disciplina ex professo l’attività di stipulazione dei contratti con i fornitori di servizi telefonici; all’art. 71, che assicura ai consumatori la fruizione di informazioni trasparenti e aggiornate.

Ad integrare tale corpus normativo è poi intervenuta la delibera n. 664/06/CONS di AGCom, avente portata regolatoria, che in attuazione delle disposizioni indicate (nelle premesse sono citati espressamente, tra gli altri, gli artt. 13, 70, 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche, sopra richiamati), ha declinato compiutamente gli obblighi di comportamento gravanti sugli operatori di settore nella contrattazione a distanza.

A ciò si aggiunga che nelle premesse della delibera in questione viene richiamato espressamente il Titolo III del d.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del consumo), come modificato dal d.lgs. n. 146 del 2007, e viene fornita una compiuta descrizione dei profili oggetto di valutazione (violazione degli artt. 20, 21 co.1 lett. a), b), d) e g), 22, 24 e 25 del d.lgs. n. 206 cit.), in quanto contrari alla diligenza professionale ed idonei a limitare considerevolmente, o addirittura escludere, la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al servizio offerto.

Viene in particolare evidenziato che la pratica commerciale posta in essere da ******* potrebbe considerarsi ingannevole ed omissiva in quanto ai consumatori non sarebbero state fornite informazioni esatte e complete circa la natura, le caratteristiche e le condizioni delle variazioni del piano tariffario (quali costi della variazione e loro ammontare, costi del recesso, modalità di rimborso del credito residuo in caso di passaggio ad altro operatore e del bonus maturato ai fini di eventuali autoricariche), in modo da indurli in errore e ad assumere una decisione commerciale che non avrebbero altrimenti preso. Viene, inoltre, rilevato che tale pratica potrebbe considerarsi, altresì, aggressiva in quanto idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento dei consumatori nella misura in cui le modalità adottate per procedere alla comunicazione della modifica del piano tariffario, anche per le circostanze temporali, si possono fondare su un indebito condizionamento.

Viene, poi, data espressa giustificazione del provvedimento adottato, nel senso di non ritenere che la previsione di una disciplina speciale dettata dal co.4 dell’art. 70 d.lgs. n. 259 del 2003 possa escludere la contemporanea applicazione della normativa generale, in materia di pratiche commerciali scorrette, dettata dal d. lgs. n. 206 del 2005, essendo la valutazione dei comportamenti posti in essere dal professionista ai sensi degli artt. 18 e ss. del Codice del consumo di carattere più ampio rispetto a quanto prescritto dall’art. 70 del d.lgs. n. 259, relativo al diritto di recesso riconosciuto all’utente nell’ipotesi di modifiche contrattuali nella fornitura di servizi di comunicazione elettronica. Oggetto di valutazione è la conformità alla diligenza professionale, nonché a quanto disposto dagli artt. 20, 21 e 22 del Codice del consumo, del contenuto della comunicazione utilizzata dal professionista, ossia dell’SMS utilizzato da Telecom Italia s.p.a. per informare gli utenti della propria volontà di procedere alla variazione del piano tariffario. In tale ottica viene ritenuto che la previsione speciale, lungi dal porsi in un rapporto di contrasto con la disciplina generale ai sensi dell’art. 19, co. 3, del d.lgs. n. 206 del 2005, rappresenti nel caso in esame esclusivamente un riferimento normativo per procedere alla valutazione della condotta commerciale del professionista, con particolare riferimento alla conformità al principio di diligenza professionale richiamato nell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 206 del 2005.

Nel caso di specie la contrarietà alla diligenza professionale e l’idoneità a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori della pratica oggetto di valutazione è stata ritenuta derivante dalla riscontrata natura ingannevole ed omissiva della stessa. Invero, quanto alla contrarietà alla diligenza professionale, non è stato riscontrato da parte del professionista il normale grado di competenza ed attenzione che ci si potrebbe attendere, avuto riguardo alla qualità del professionista ed alle caratteristiche dell’attività svolta, con riferimento alla prospettazione della natura della “rimodulazione” e alla completezza delle informazioni fornite nella comunicazione. Per quanto attiene, poi, alla idoneità della pratica a falsare in misura apprezzabile le scelte economiche dei consumatori, è stato ritenuto che le informazioni ingannevoli ed omissive riguardassero caratteristiche e diritti rilevanti ai fini dell’adozione di una decisione commerciale consapevole.

Nella quantificazione della sanzione si è tenuto conto dei criteri individuati nell’art. 11 della legge n. 689 del 1981, in virtù del richiamo previsto all’art. 27, comma 13, del Codice del consumo (in particolare, della gravità della violazione; dell’opera svolta dall’impresa per eliminare o attenuare l’infrazione, della personalità dell’agente, nonché delle condizioni economiche dell’impresa stessa, rilevandosi a tale proposito che Telecom rappresenta il principale gestore di telefonia nazionale).

4. Dall’analisi dell’assetto normativo, cui occorre aggiungere per esigenze di completezza i coerenti principi ricavabili dalle leggi n. 481 del 1995 e 249 del 1997, emerge ictu oculi che l’intenzione del legislatore (sia nazionale che comunitario, trattandosi in gran parte di norme di diretta derivazione comunitaria) è quella di ricomprendere a pieno titolo nella disciplina in esame anche la tutela del consumatore/utente, nell’ambito di una regolamentazione che dai principi scende fino al dettaglio dello specifico comportamento. D’altronde, se così non fosse, non dovrebbe neppure ammettersi la competenza di AGCom ad intervenire con atti regolatori o linee di indirizzo a tutela dei consumatori (oltre che ad autorganizzarsi con la istituzione di un’apposita Direzione denominata “Tutela dei consumatori”) e dovrebbe negarsi la legittimità della stessa delibera n. 664/06/CONS, aspetto questo che non risulta in alcun modo contestato da Antitrust né dagli operatori di settore.

La stessa comunicazione effettuata dal Governo italiano alla Commissione Europea in ordine all’autorità nazionale preposta, nel settore delle comunicazioni elettroniche, alla tutela del consumatore, ancorché meramente ricognitiva, denota l’esistenza di una communis opinio a livello istituzionale in ordine alla competenza di AGCom ad occuparsi di tutela del consumatore.

5. Non può, quindi, convenirsi con la tesi sostenuta da Antitrust, che cioè la disciplina di settore delle comunicazioni elettroniche avrebbe finalità di sola tutela della concorrenza e di garanzia del pluralismo informativo, poiché queste ultime finalità non possono non affiancarsi alla tutela del consumatore, come sopra evidenziato.

Anzitutto, appare ben difficile sezionare chirurgicamente la disciplina in esame, al fine di enucleare singoli interessi oggetto di tutela, poiché tale modus operandi contrasta con l’inevitabile unitarietà degli interessi operanti nelle singole fattispecie concrete. Ma soprattutto tale distinzione – ove in ipotesi possibile – non trova riscontro nel dato normativo, come si è fin qui constatato.

6. Ciò premesso, occorre verificare che tipo di rapporto debba instaurarsi con la disciplina generale posta a tutela del consumatore, condensata nel nostro ordinamento nel Codice del consumo ed attribuita alla competenza di Antitrust (ai sensi dell’art. 27). Infatti quest’ultima normativa detta una disciplina articolata proprio al fine di tutelare le esigenze e le aspettative del consumatore/utente in tutti i campi del commercio, senza prendere in considerazione le specificità di singoli settori quale, relativamente alla fattispecie in esame, quello delle comunicazioni elettroniche.

A tal fine sovviene l’art. 19, comma 3, del Codice del consumo, ai sensi del quale, in caso di contrasto, prevalgono le norme che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette. In sostanza, la norma in esame si iscrive nell’ambito del principio di specialità (principio immanente e di portata generale sul piano sanzionatorio nel nostro ordinamento, come si evince dall’art. 15 del cod.pen. e dall’art. 9 della legge n. 689 del 1981), ai sensi del quale non si può fare contemporanea applicazione di due differenti disposizioni normative che disciplinano la stessa fattispecie, ove una delle due disposizioni presenti tutti gli elementi dell’altra e aggiunga un ulteriore elemento di specificità (o per aggiunta o per qualificazione). In altre parole, le due norme astrattamente applicabili potrebbero essere raffigurate come cerchi concentrici, di cui quello più grande è quello caratterizzato dalla specificità.

Nè all’applicazione del principio di specialità può opporsi che debba esistere una situazione di contrasto tra i due plessi normativi: difatti, ad una lettura più meditata, occorre ritenere che tale presupposto consista in una difformità di disciplina tale da rendere illogica la sovrapposizione delle due regole.

Ed invero, al riguardo può concretamente soccorrere quanto previsto dal considerando 10 della direttiva 2005/29/CE (testo normativo recepito nel nostro ordinamento nel d.lgs. n. 206 del 2005), secondo cui la disciplina di carattere generale si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali; in pratica, essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una legislazione di settore. Alla luce di questa impostazione occorre leggere, pertanto, quanto previsto all’art. 3, comma 4, della medesima direttiva, trasfuso nell’art. 19, comma 3, del Codice del consumo, secondo cui prevale la disciplina specifica in caso di contrasto con quella generale: il presupposto dell’applicabilità della norma di settore non può essere individuato solo in una situazione di vera e propria antinomia normativa tra disciplina generale e speciale, poiché tale interpretazione in pratica vanificherebbe la portata del principio affermato nel considerando 10, confinandolo a situazioni eccezionali di incompatibilità tra discipline concorrenti.

Occorre, invece, leggere il termine conflict (o conflit), usato nella direttiva nelle versioni in inglese (e francese) e tradotto nel testo italiano come contrasto, come diversità di disciplina, poiché la voluntas legis appare essere quella di evitare una sovrapposizione di discipline di diversa fonte e portata, a favore della disciplina che più presenti elementi di specificità rispetto alla fattispecie concreta. In altre parole, la disciplina generale va considerata quale livello minimo essenziale di tutela, cui la disciplina speciale offre elementi aggiuntivi e di specificazione.

7. Orbene, alla luce del principio testé affermato occorre impostare il rapporto tra la disciplina contenuta nel Codice del consumo e quella dettata dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dai provvedimenti attuativi/integrativi adottati da AGCom. A tale riguardo, non v’è chi non veda come, anzitutto, la disciplina recata da quest’ultimo corpus normativo, presenti proprio quei requisiti di specificità rispetto alla disciplina generale, che ne impone l’applicabilità alla fattispecie in esame (in coerenza con quanto affermato da Cons. Stato, sezione I, n. 3999/2008; sezione VI, n. 720/2011).

Ma ciò evidentemente non basta: per escludere la possibilità di un residuo campo di intervento di Antitrust occorre anche verificare la esaustività e la completezza della normativa di settore. A quest’ultimo fine è opportuno prendere le mosse della vicenda in esame.

Ed invero, il comportamento contestato all’operatore economico con il provvedimento Antitrust impugnato in questa sede appare interamente disciplinato dalle norme di settore, che impongono determinati obblighi comportamentali agli operatori delle comunicazioni elettroniche.

E’ sufficiente, in proposito, il richiamo (ad esempio) dell’art. 2 della delibera 664/06/CONS, che disegna una fitta rete di adempimenti e cautele in capo all’operatore che intende procedente alla stipulazione di contatti a distanza per la fornitura di beni/servizi di comunicazione elettronica, in questo modo dando corpo, sul piano concreto, alla disciplina di principio, o comunque a trama non fitta, contenuta negli artt. 70 e 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche.

Né può trovare accoglimento l’argomentazione sostenuta da Antitrust, ossia che nel caso in cui si dovesse ritenere che le due discipline (Codice del consumo e Codice delle comunicazioni elettroniche) perseguono il medesimo interesse, andrebbe esclusa la tesi secondo cui la disciplina del Codice delle comunicazioni elettroniche dovrebbe prevalere sempre su quella del Codice del consumo, perché più conforme alle disposizioni nazionali e comunitarie.

Quest’ultima argomentazione ha evidentemente come presupposto che la disciplina di AGCom non copra tutte le possibili fattispecie di pratica commerciale scorretta.

In realtà, innanzitutto, il rischio di lacune o deficit di tutela è scongiurato dalle clausole generali contemplate dalla disciplina di settore, clausole che già di per sé consentono comunque di ritenere che non esistano aree non coperte dalla disciplina regolatoria (si veda, ad esempio, quanto dispone l’art. 2, comma 4, della delibera n. 664/06 di AGCOM, secondo cui l’operatore deve rispettare “i principi di buona fede e di lealtà in materia di transazioni commerciali, valutati alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori particolarmente vulnerabili”).

Inoltre e principalmente occorre in proposito fare riferimento al comma 6 dell’articolo 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche, secondo cui rimane comunque ferma l’applicazione delle norme e delle disposizioni in materia di tutela del consumatore. Si tratta, ad avviso dell’Adunanza, di un rinvio dinamico ad ogni altra disposizione di tutela del consumatore, rinvio che garantisce la chiusura del sistema ed esclude a priori il rischio più volte paventato da Antitrust di possibili lacune della tutela stessa.

Non può, quindi, condividersi l’argomentazione difensiva di Antitrust secondo cui la competenza ad individuare la disciplina ex ante non esaurisce la disciplina di settore, lasciando spazi per interventi ex post ad opera di Antitrust, sulla base del modello del “caso per caso”.

Difatti, premesso che una formulazione più attenta induce piuttosto a ritenere che la possibilità – indubbiamente da ammettersi – di interventi non puntualmente disciplinati trovi il suo fondamento sempre nella normativa, sia primaria che secondaria, come fin qui ricostruita, la necessità di garantire la coerenza logico-sistematica dell’azione repressiva esige che ad essa provveda un’unica autorità, senza distinzioni fondate su una contrapposizione, inaccettabile sul piano pratico prima ancora che su quello teorico, fra una disciplina “ex ante”, affidata alla competenza di una autorità, e una presunta disciplina “ex post”, affidata ad una altra autorità, la cui competenza si amplierebbe o si restringerebbe a seconda della maggiore o minore estensione della disciplina dettata dall’autorità di settore.

8. Né tale conclusione comporta l’adozione di un regime sanzionatorio meno severo: infatti, premesso che un eventuale deficit dal punto di vista sanzionatorio non potrebbe comunque riverberare effetto alcuno in ordine alla individuazione dell’autorità competente nel caso in esame (comportando, semmai, l’obbligo di sollevare una eccezione di illegittimità costituzionale sul punto), occorre evidenziare che le sanzioni edittali attribuite alla competenza di Antitrust non sono superiori a quelle irrogabili da AGCom. Inoltre, a quest’ultima Autorità, quale istituzione preposta all’intero settore delle comunicazioni elettroniche, spettano poteri inibitori e conformativi, tra l’altro in fatto già più volte esercitati, che non consentono di ritenere che la tutela apprestata da AGCom possa ritenersi nel complesso qualitativamente inferiore a quella attribuita ad Antitrust.

9. Resta ovviamente inteso che l’assetto interpretativo adottato non riverbera effetto alcuno sul diverso problema affrontato da Cons. Stato, Sezione VI, 10 marzo 2006, n. 1271, ossia sulla possibilità che Antitrust valuti autonomamente il profilo anticoncorrenziale di clausole contrattuali, poste in essere nell’ambito di condotte che possano integrare le fattispecie di abuso di posizione dominante o di intese restrittive della concorrenza.

Come pure rimane fermo che il comportamento delle due autorità deve ispirarsi ad un ovvio principio di collaborazione, che potrà esprimersi sia attraverso segnalazioni di Antitrust all’altra Autorità, sia attraverso richieste di parere alla prima da parte di quest’ultima; e ciò in entrambi i casi a garanzia della uniformità della loro azione.

10. A conclusione delle argomentazioni esposte occorre evidenziare come la soluzione adottata appare più rispettosa del principio costituzionale del “buon andamento” dell’amministrazione. Infatti, in questo modo si evita di sottoporre gli operatori a duplici procedimenti per gli stessi fatti, con possibili conclusioni anche differenti tra le due autorità (come in pratica è avvenuto). Inoltre, si consente che si dettino indirizzi univoci al mercato, che altrimenti verrebbe a trovarsi in una situazione di possibile disorientamento, con potenziali ripercussioni sulla stessa efficienza dei servizi nei riguardi degli utenti/consumatori e sui costi che questi ultimi sono chiamati a pagare. Per non parlare, poi, della evidente violazione del principio di proporzionalità che si verrebbe a configurare nel caso di cumulo materiale delle sanzioni da parte di entrambe le autorità.

11. Discende da quanto sopra esposto che è fondata l’eccezione di incompetenza di Antitrust formulata dalla società appellante nel primo motivo di impugnazione, con conseguente obbligo di riforma della sentenza di primo grado e di annullamento del provvedimento impugnato.

Il tenore della presente pronuncia consente di assorbire gli ulteriori motivi di impugnazione proposti.

Tenuto conto della particolare complessità della materia trattata, ritiene il Collegio che sussistano giustificati motivi per compensare interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate dei due gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione