Compenso professionale e rescissione contratto (Cass. n. 19524/2012)

Redazione 09/11/12
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Svolgimento del processo

Con citazione notificato in data 29.4.96 gli ingegneri *****, P.V. e C.M. convenivano in giudizio la Provincia Regionale di Caltanissetta, esponendo che con delibera consiliare n. 711 del 12.7.89 era stato loro conferito dall’ente convenuto l’incarico di redigere il progetto esecutivo di completamento e del secondo stralcio funzionale della strada (omissis); aggiungevano però che dopo la redazione e consegna degli elaborati, con delibera n. 1776 del 28.12.95 la stessa Giunta Provinciale aveva proceduto alla revoca dell’incarico sulla base di un presunto inadempimento di essi progettisti. Gli attori chiedevano pertanto in via principale la condanna della convenuta al pagamento di un equo compenso per l’opera professionale prestata e, in subordine un’indennità per indebito arricchimento.

Si costituiva la Provincia e spiegava domanda riconvenzionale di condanna dei progettisti al risarcimento del danno conseguente al loro inadempimento.

L’adito Tribunale di Caltanissetta con sentenza 11.12/21.12.98 rigettava sia la domanda degli attori che la riconvenzionale della convenuta, dichiarando risolto il contratto de quo per inadempimento dei progettisti in relazione al ritardato deposito degli elaborati progettuali e per avere redatto l’elaborato relativo al progetto esecutivo per un ammontare superiore di oltre il triplo rispetto all’importo convenuto con al provincia. La sentenza veniva appellata dal T., dal P. e dagli eredi di C.M., nelle more deceduto.

L’adita Corte d’Appello di Caltanissetta, previo espletamento di CTU, con sentenza n. 292/05 depos. il 2.9.2005, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda d’inadempimento avanzata dalla Provincia Regionale di Caltanissetta, e condannava quest’ultima al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 300.000,00 oltre le spese processuali. Riteneva la Corte non sussistere alcuna causa di risoluzione del contratto non essendo ipotizzabile alcun inadempimento dei professionisti nella redazione del progetto nè il ritardo nella sua presentazione era ascrivibile a colpa dei progettisti, ma piuttosto al committente, e pertanto liquidava ad essi, a titolo di equo compenso, per l’opera svolta, in base ai criteri indicati dall’art. 2227 c.c., l’indicata somma di Euro 300.000,00, pari a Euro 100.000,00 per ciascun progettista.

Per la cassazione della sentenza ricorrono il T., il P. nonchè gli eredi C. sulla base di n. 2 mezzi; resiste con controricorso la Provincia Regionale di Caltanissetta.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, artt. 10 e 18, e degli artt. 2225, 2227, 2233 e 2337 c.c., nonchè l’insufficiente motivazione.

Gli esponenti censurano la sentenza impugnata per il richiamo all’art. 2227 c.c. in essa contenuto, sostenendo invece che nel caso in esame, sarebbe applicabile l’art. 2237 c.c., che disciplina il recesso del cliente del contratto di prestazione intellettuale (norma speciale, applicabile al caso di specie) di talchè secondo i criteri ivi prevista, la Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare le spese sostenute dai professionisti, ed il compenso ad essi spettante per l’opera svolta.

L’indicato compenso pertanto doveva essere stabilito sulla base della tariffa professionale, almeno con riferimento all’importo originario del progetto. Invece il compenso liquidato è assai modesto nè prevede alcun rimborso delle notevoli spese sostenute.

2 – Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, artt. 10 e 18, e artt. 2225, 2227, 2233 e 2337 c.c., nonchè l’insufficiente motivazione della pronuncia del giudice distrettuale. In modo particolare si ritiene priva di motivazione la qualifica di “indennizzo di tipo equitativo” attribuita alla somma liquidata, nonchè il quantum liquidato, da considerarsi arbitrario mancando ogni spiegazione in ordine ai criteri seguiti, che non copre neppure le spese sostenute dai professionisti. Entrambi i motivi – congiuntamente esaminati – non hanno pregio. Osserva invero il Collegio che sono stati gli stessi professionisti che hanno chiesto, con l’originaria domanda, la corresponsione “di un equo compenso” per l’opera svolta (e in subordine l’indennità per indebito arricchimento) facendo dunque chiaro riferimento all’art. 2227 c.c., e non all’art. 2237 c.c., che non prevede alcuna indennità, ma solo il “compenso per l’opera prestata”.

Occorre invero dare atto che, come questa S.C. ha precisato, “l’art. 2237 c.c. – nel consentire al cliente di recedere dal contratto di prestazione di opera intellettuale – ammette, in senso solo parzialmente analogo a quanto stabilito dall’art. 2227 c.c., per il contratto d’opera, la facoltà di recesso indipendentemente da quello che è stato il comportamento del prestatore d’opera intellettuale, ossia prescindendo dalla presenza o meno di giusti motivi a carico di quest’ultimo. Tale amplissima facoltà – che trova la sua ragion d’essere nel preponderante rilievo attribuito al carattere fiduciario del rapporto nei confronti del cliente – ha come contropartita l’imposizione a carico di quest’ultimo dell’obbligo di rimborsare il prestatore delle spese sostenute e di corrispondergli il compenso per l’opera da lui svolta, mentre nessuna indennità è prevista (a differenza di quanto prescritto dal cit. art. 2227 c.c.) per il mancato guadagno” (Cass. n. 14702 del 25/06/2007). Ciò posto, occorre subito sottolineare che il giudice non poteva fare riferimento all’art. 2237 c.c. nella liquidazione del “compenso” (che prevede un’ipotesi diversa e distinta di quella contemplata dall’art. 2227 c.c.), se non violando il precetto di cui all’art. 112 c.p.c., mancando la corrispondente domanda delle parti, a cui peraltro non era certamente consentito sollecitare l’applicazione di siffatta norma solo in sede di giudizio di legittimità.

Peraltro neppure sussistono i vizi di motivazione denunciati, atteso che l’iter logico seguito dal giudice nel suo ragionamento, è tracciato in modo corretto e chiaro, ancorchè succinto; non è inutile ricordare che in ogni caso nel giudizio diretto a stabilire l’equa indennizzo il giudice ha solo l’obbligo di rendere comprensibile il procedimento logico-intuitivo seguito per determinare la regola equitativa e di verificare che essa non si ponga in contrasto con i principi sottesi alla disciplina legislativa. (v. Cass. n. 14611 del 23/06/2009). Ciò è appunto quanto ha fatto il giudice distrettuale che richiamando l’art. 2227 c.c., ha tenuto conto degli accertamenti del CTU (a cui ha fatto rinvio) ed ha fatto puntuale riferimento “all’onorario che sarebbe spettato ai progettisti dalla realizzazione dei lavori previsti e non eseguiti…e dell’importo originario dell’incarico progettuale…..” Peraltro occorre pure rilevare, infine, che le contestazioni dei ricorrenti in buona sostanza rimangono nell’ambito della mera genericità sia per quanto riguarda il compenso professionale preteso (ove fosse applicabile l’art. 2237 c.c.), sia per le spese sostenute.

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 8.100,00, di cui e 8.000,00 per onorario, oltre accessori come per legge. 

Redazione