Buoni postali a favore del figlio minorenne incassati dalla madre – Poste Italiane risarcisce (Cass. n. 3393/2012)

Redazione 05/03/12
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Svolgimento del processo

Nel settembre 2001 il sig. M.G. – allora minorenne e rappresentato da un curatore – convenne davanti al Tribunale di Catania, Sez. distaccata di Adrano, le Poste Italiane s.p.a. e sua madre, sig.ra ****, per sentir annullare il rimborso di 20 buoni postali, emessi a suo favore negli anni 1989-1992, effettuato dalle Poste a mani di sua madre nonostante la stessa fosse priva dell’autorizzazione del giudice tutelare, necessaria ai sensi dell’art. 320 c.c.
Resistettero le sole Poste Italiane e il Tribunale, in accoglimento della domanda, condannò entrambe le parti convenute, in solido, a rimborsare all’attore il complessivo importo di € 154.937,07 oltre interessi, al tasso convenzionale.
L’appello delle Poste Italiane è stato parzialmente accolto dalla Corte di Catania, che ha escluso l’illegittimità del rimborso di 16 dei 20 buoni oggetto di causa (i buoni serie AD dal n. 172 al n. 185, emessi l’11 giugno 1990, e i buoni serie AD n. 54145 e n. 54146 emessi il 23 dicembre 1992), nei quali la sig.ra R. era indicata come rappresentante dell’intestatario e che, dunque, erano stati dalla medesima validamente riscossi pur in mancanza di autorizzazione del giudice tutelare, necessaria in generale per la riscossione di capitali da parte del genitore ai sensi dell’art. 320, quarto comma, c.c. – in veste di “mero rappresentante” del minore e in mancanza di apposizione sui titoli del vincolo pupillare, ai sensi dell’art. 159 del. codice postale approvato con d.P.R. n. 156/1973, , applicabile anche ai buoni fruttiferi in virtù del rinvio di cui all’art. 182 del medesimo codice.
Il sig. G. ha quindi proposto ricorso per cassazione per un solo, complesso motivo, cui le Poste Italiane non hanno resistito.

 

 

Motivi della decisione

1. – Il ricorrente, denunciando violazione, dell’art. 320 c.c., contesta anzitutto che la previsione della necessità dell’autorizzazione del giudice tutelare contenuta in tale norma sia derogata dall’art. 159 cod. postale, sottolineando l’irrilevanza, a tal fine, dell’indicazione del nome del rappresentante sul titolo.
1. – La censura, è fondata.
Per comprenderlo, è sufficiente la lettura del testo dell’art. 159 cod. postale, che recita:
“I rimborsi sui libretti nominativi vengono fatti esclusivamente agli intestatari dei libretti od ai loro rappresentanti, procuratori o delegati.
La delega è ammessa soltanto per i rimborsi richiesti agli uffici di emissione.
Sui libretti intestati a minorenni senza dichiarazione di rappresentanza, i rimborsi vengono fatti ai minorenni medesimi, tranne il caso di opposizione da parte dei rappresentanti legali.
Se i minorenni non hanno compiuto i 10 anni, debbono essere accompagnati, per riscuotere, da uno dei genitori, o dal tutore o da altra persona di notoria probità, la quale convalidi con la propria firma la loro firma di quietanza.
Sui libretti intestati ad interdetti, o vincolati a favore di minori, rimborsi sono soggetti alle norme del codice civile”.
Come si vede, l’ipotesi della indicazione del rappresentante del minore sul titolo non è contemplata dalla norma, e dunque non è dato comprendere (né la sentenza impugnata lo chiarisce) come dal testo della medesima norma possa ricavarsi che nella medesima ipo­tesi non sarebbe applicabile l’art. 320 c.c.
Né è significativo il richiamo all’applicazione del codice civile che figura, con riferimento all’intestazione ad interdetti e all’apposizione del vincolo pupillare, nell’ultimo comma. L’affermata applicazione del codice in tali ipotesi non implica, di per sé, la disapplicazione del medesimo in tutte le altre.
2. – Restano in ciò assorbiti i restanti profili di censura svolti dal ricorrente e relativi alla intervenuta abrogazione del richiamato art. 159 cod. postale e alla dedotta incostituzionalità del medesimo nell’interpretazione datane dalla Corte d’appello.
3. – La sentenza impugnata va pertanto cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, primo comma ult. parte, c.p.c. con l’integrale rigetto dell’appello.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta integralmente l’appello e condanna la società intimata alle spese dell’intero giudizio, liquidate in € 1.560,00, di cui € 160,00 per esborsi ed € 1.400,00 per diritti e onorari, quanto al primo grado, in € 1.600,00 per diritti e onorari, quanto al secondo grado, e in € 2.800,00, di cui € 2.600,00 per onorari, quanto alla fase di legittimità, oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione