Bancarotta fraudolenta responsabilità penale dell’amministratore di fatto (Cass. pen., n. 45671/2013)

Redazione 14/11/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 Con sentenza pronunciata il 13.4.2012 la corte di appello di Palermo confermava la sentenza con cui il tribunale di Palermo, in data 10.5.2010, aveva condannato **** e L. G. alle pene ritenute di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato, in relazione ad una pluralità di delitti in materia di bancarotta.

In particolare il B. ed il L. venivano ritenuti colpevoli, in qualità, rispettivamente, di socio di maggioranza e di amministratore di fatto, il primo; legale rappresentante il secondo, di un unico reato di bancarotta fraudolenta aggravato *******., ex art. 219, comma 2, n. 1), in relazione alle condotte contestate ai capi A) (bancarotta fraudolenta per distrazione) e B) (bancarotta fraudolenta documentale), in ordine al fallimento della società “Edizioni Locali s.r.l.”, nonchè, il solo B., nella qualità di amministratore di fatto, dei delitti di cui ai capi C) (bancarotta fraudolenta per distrazione), in relazione al fallimento della società “La Voce del Mediterraneo s.c.a.r.l.”; D) (bancarotta fraudolenta per distrazione) in relazione al fallimento della società “L’Ora Piccola s.c.a.r.l.” e di un unico delitto di bancarotta fraudolenta, aggravato *******., ex art. 219, comma 2, n. 1), in relazione alle condotte contestate ai capi E) (bancarotta fraudolenta per distrazione) e F) (bancarotta fraudolenta documentale), in ordine al fallimento della società “S.E.L. s.r.l.”.

2. Avverso tale decisione, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto autonomi ricorsi per Cassazione, a mezzo dei loro difensori di fiducia, entrambi gli imputati, articolando distinti motivi di impugnazione.

3. Con il primo motivo il B. lamenta violazione di legge in relazione alla *******., art. 219, comma 2, n. 1), contestando la ritenuta qualifica di amministratore di fatto ascrittagli dai giudici di secondo grado, che non hanno dimostrato la sua effettiva partecipazione nè all’amministrazione delle società fallite, tutte esercenti l’attività di impresa giornalistica, nè agli atti di sottrazione in cui si è concretizzata la condotta distrattiva dei beni facenti parte del patrimonio sociale.

3.1 Con particolare riferimento ai singoli episodi di bancarotta, inoltre, rileva il ricorrente che: 1) con riferimento alla società “La Voce del Mediterraneo s.c.a.r.l.” non può ritenersi elemento sufficiente a dimostrare la bancarotta fraudolenta il semplice divario tra attivo e passivo e che il B. non ha costituito intenzionalmente la suddetta società allo scopo di farla fallire, tentando, piuttosto, di ottenere i benefici previsti dalla legislazione vigente in materia di editoria (tra cui un contributo statale dell’importo di 1.200.000.000 lire l’anno, non erogato “a causa del mancato decorso dei termini indispensabili richiesti dalle Leggi sull’editoria”), senza trascurare la circostanza che, come riferito dal curatore fallimentare, nel libro dei cespiti ammortizzabili erano indicati beni strumentali non rinvenuti, apparentemente acquistati e poi restituiti alla società alienante;

2) con riferimento alla società “Edizioni Locali s.r.l., l’amministratore unico e legale rappresentante era il L., mentre il B. rivestiva il ruolo di presidente della società, essendo, peraltro, emerso, dall’istruttoria dibattimentale, la corretta tenuta formale dei libri e delle scritture contabili, come riferito dal consulente tecnico d’ufficio, ed avendo lo stesso curatore fallimentare affermato nella sua relazione la insussistenza di elementi idonei ad inquadrare con certezza la condotta del B. in una specifica fattispecie sanzionatoria; 3) con riferimento al quotidiano (OMISSIS) manca la dimostrazione dell’elemento soggettivo del reato, avendo agito il B. in qualità di semplice responsabile della raccolta pubblicitaria per Palermo e provincia, non intervenendo nella gestione della società e senza nemmeno incassare, sull’importo di 400.000,00 Euro da lui prodotto attraverso la raccolta pubblicitaria, la percentuale del 40% che gli spettava per contratto.

4. Con il secondo motivo di ricorso, il B. lamenta violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., per avere la corte territoriale affermato la penale responsabilità del B. attraverso una interpretazione unilaterale del materiale probatorio acquisito, fondata su argomentazioni superficiali ed aprioristicamente orientate in senso sfavorevole al ricorrente, di cui sono state trascurate le argomentazioni a discolpa, reiterando le critiche già mosse in sede di appello sulla qualità degli elementi di prova in grado di giustificare un’affermazione di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.

5. Con il terzo motivo di ricorso, il B. eccepisce l’intervenuto decorso del termine di prescrizione, in quanto il fallimento delle società editoriali è stato pronunciato in data 21.3.2000.

6. Il L. con il suo ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla *******., art. 219, per avere la corte territoriale omesso di considerare come dall’istruttoria dibattimentale sia emerso che il ricorrente aveva una posizione assolutamente marginale nella società “Edizioni Locali s.r.l.”, il cui vero dominus, sia sotto il profilo della gestione che in ordine all’assetto patrimoniale, era il B., non avendo il L. posto in essere alcuna atto di amministrazione, nè tantomeno ricevuto alcun compenso per il ruolo rivestito all’interno della società fallita, per cui egli, al pari del coimputato Pa., assolto in relazione alla bancarotta fraudolenta relativa al fallimento della “S.E.L. s.r.l., doveva essere prosciolto per le medesime ragioni, vale a dire per essere tutte le condotte fraudolente riconducibili al solo B. e per mancanza di prova sulla conoscenza da parte sua dei singoli fatti di reato commessi da quest’ultimo.

7. Entrambi i ricorsi appaiono infondati e, pertanto, non possono essere accolti.

8. Quanto alla posizione del B. va rilevato che, come affermato da tempo nella giurisprudenza di legittimità, in tema di reati fallimentari, il soggetto che, ai sensi della disciplina dettata dall’art. 2639 c.c., assume la qualifica di amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (come i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale), tra i quali vanno ricomprese le condotte dell’amministratore “di diritto”, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali condotte, in applicazione della regola di cui all’art. 40 c.p., comma 2, (cfr. Cass., sez. 5, 20/05/2011, n. 39593, rv 250844; Cass., sez. 5, 2/3/2011, n. 15065, ********** e altro, rv. 250094).

Consolidato appare all’interno della giurisprudenza di legittimità anche l’orientamento secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, anche se “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.

La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’”iter” di organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi – rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva, amministrativa, contrattuale, disciplinare.

Peraltro l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua e logica (cfr. Cass., sez. 5, 14.4.2003, n. 22413, ******, rv. 224948; Cass., sez. 1, 12.5.2006, n. 18464, *********, rv. 234254).

In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui alla *******., artt. 216 e 223, vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (cfr. Cass., sez. 5, 13.4.2006, n. 19145, ***** e altro, rv. 234428).

Si è così ritenuto, in applicazione di tali principi, corretta la attribuzione effettuata dai giudici di merito della qualifica di amministratore di fatto al preposto al settore commerciale di un piccolo organismo operante nel mercato del commercio, in considerazione del peso decisivo rivestito da costui nella conduzione della società ovvero ad un soggetto che aveva fornito determinate garanzie personali alle banche, ponendo in essere, inoltre, un’attività manipolatoria di bilanci e contabilità, a dimostrazione del suo diretto interesse nella conduzione della società e del concreto esercizio di un ruolo gestorio, confermato peraltro da testimonianze di dipendenti e fornitori.

Con particolare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, poi, si è affermato, con decisione condivisa da questo Collegio, che affinchè l’amministratore di fatto di una società possa esserne ritenuto responsabile, occorre che egli abbia posto in essere atti tipici di gestione, offrendo così un contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi è formalmente investito della qualifica di amministratore, nella consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica del soggetto qualificato (cfr. Cass., sez. 1, 11/01/2012, n. 5063, G.M.).

Orbene la corte di appello di Palermo, con motivazione articolata, esauriente ed immune da vizi, si è mossa nel solco interpretativo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità.

La corte territoriale, infatti, ha individuato una pluralità di indici di assoluto valore sintomatico della qualifica di “amministratore di fatto” rivestita dal B., evidenziando, da un lato come alla luce delle numerose testimonianze dei giornalisti e dei dipendenti delle società fallite, sia emerso “che il B. aveva un ruolo di preminenza assoluta nella gestione delle società in parola: egli era autore di ogni scelta gestionale; impartiva disposizioni ai dipendenti delle società e anche allo stesso L.; assumeva e licenziava personale di sua volontà; gestiva direttamente il settore pubblicitario, che forniva i maggiori introiti alle società”.

Dall’altro come il penetrante controllo delle suddette società da parte del ricorrente, si realizzasse anche per il tramite dell’assetto proprietario, risultando dalla documentazione acquisita agli atti, che il B., anche utilizzando i figli F. e N. e la moglie P.A., partecipava all’intero capitale sociale della “Edizioni Mediterranee s.r.l.”, società favorita dalle attività distrattive poste in essere in danno delle società “La Voce del Mediterraneo s.c.a.r.l.” e “S.E.L s.r.l.” e che la compagine societaria della “La Voce del Mediterraneo s.c.a.r.l.”, di cui la P. era legale rappresentante, era formata dai medesimi familiari dell’imputato (cfr. p. 8 dell’impugnata sentenza).

Appare, dunque, evidente che, come ritenuto dalla corte territoriale, il B. non può essere relegato in un ruolo meramente secondario o tecnico, partecipando egli a fianco degli amministratori “di diritto” delle società fallite alle scelte vitali delle società stesse, con ciò svolgendo un palese ruolo (quanto meno) di cogestione delle suddette società.

Quanto all’elemento soggettivo, consistente anche per l’amministratore “di fatto” nella consapevole volontà dei singoli atti di distrazione e della idoneità dei medesimi a cagionare danno ai creditori, in quanto privi di sinallagma rispondente al fine istituzionale dell’impresa, in considerazione, ad esempio della natura fittizia o della entità dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società (cfr. ex plurimis, Cass., sez. 5, 24.3.2010, n. 16579, Fiume, rv. 246879) e, con riferimento agli episodi di bancarotta fraudolenta documentale, nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (cfr. Cass., sez. 5, 06/10/2011, n. 48523, rv. 251709, Cass., sez. 5, 23/05/2012, n. 30337, S.), esso si evince dalla diretta e continuativa partecipazione dell’imputato all’attività di gestione dell’impresa in cui si sono consumati i singoli episodi illeciti a lui contestati.

9. In ordine alle altre doglianze rappresentate dalla difesa nel primo e nel secondo motivo di impugnazione, ne va rilevata l’inammissibilità, perchè con esse vengono dedotte, peraltro genericamente, censure attinenti al merito, non consentite in sede di legittimità.

Va, inoltre, osservato al riguardo come la stessa corte territoriale abbia sottolineato (cfr. la citata p. 8), con affermazione non contestata dal B. nei motivi di ricorso, che i fatti e le condotte integranti le singole ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale non hanno formato oggetto di contestazione da parte dell’imputato in sede di appello (e, quindi, le doglianze rappresentate al riguardo non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità), ad eccezione del caso riguardante la bancarotta documentale relativa al fallimento della società “Edizioni Locali s.r.l.”.

In questo caso la censura del ricorrente, che appare, peraltro, acriticamente ripetitiva della medesima questione già sottoposta al giudice di secondo grado e da quest’ultimo disattesa, non coglie nel segno: come ben evidenziato dalla corte territoriale, infatti, la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili sotto il profilo meramente formale, appare del tutto irrilevante, avendo, lo stesso consulente contabile indicato dalla difesa a sostegno del proprio assunto, “chiaramente affermato che dal punto di vista del contenuto le scritture contabili erano tenute in maniera irregolare, in quanto non consentivano la ricostruzione degli affari dell’impresa e inoltre non rendevano conoscibile la situazione patrimoniale dell’impresa medesima” (cfr. pp. 8 – 9).

Condotta, quest’ultima, che senza dubbio integra la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5, 17/02/2010, n. 17978, P. e altro, rv. 247247; Cass., sez. 5, 23/05/2012, n. 30337, S.).

10. Infondato, infine, è il terzo motivo di ricorso, in quanto, tenuto conto degli atti interruttivi e delle cause di sospensione (per un periodo corrispondente ad anni uno mesi tre e giorni sedici), del decorso del termine prescrizionale (pari, nella sua massima estensione, ad anni dodici e mesi sei), intervenuti nel corso del procedimento, la prescrizione dei primi reati fallimentari consumati in ordine di tempo si sarebbe consumata solo il 6 gennaio del 2014.

11. Infondato appare anche il ricorso del L..

La sua incontestata qualità di amministratore “di diritto” della fallita “Edizioni Locali s.r.l.” lo rende responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, di cui ai capi A) e B) dell’imputazione, non esclusivamente sulla base della posizione formale acquisita all’interno della società, ma in considerazione della condotta (negativa) dallo stesso in concreto posta in essere, consistente nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore “di fatto” B., connaturati alla carica rivestita.

Ed invero, come affermato da tempo dalla giurisprudenza in tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore “di fatto”, dal punto di vista oggettivo ai sensi dell’art. 40 c.p., comma 2, per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico (art. 2392 c.c.) di impedire, gravando pur sempre sull’amministratore “di diritto” un dovere di controllo sull’operato dell’amministratore “di fatto” (cfr. Cass., sez. 5, 09/02/2010, n. 11938, M. e altro, rv. 246897; Cass., sez. 5, 05/05/2009, n. 31142, P. e altro.; Cass., sez. 5, 19/06/2012, n. 40929, F.C.). Nell’ambito dei reati ascrivibili all’amministratore “di diritto”, peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha operato una distinzione tra le ipotesi di bancarotta documentale per sottrazione ovvero per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, in relazione alle quali sussiste la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita, atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore “di diritto” di tenere e conservare le suddette scritture (cfr. Cass., sez. 5, 23/01/2012, n. 11649, S.G.; Cass., sez. 5, 18/12/2012, n. 5767, B.C.; Cass., sez. 5, 19/06/2012, n. 40929, F.C.), dalle altre ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per le quali, sotto il profilo soggettivo, occorre la prova della consapevolezza dell’agente dei disegni criminosi perseguiti dall’amministratore di fatto (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5, 18/12/2012, n. 5767, B.C.).

Al riguardo è stato, altresì, chiarito, secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso dal Collegio, come sia sufficiente la generica consapevolezza da parte dell’amministratore “di diritto” che l’amministratore “di fatto” compia una delle condotte indicate nelle norme incriminatrici, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale, salva anche la prova della volontà del mancato impedimento dell’evento (cfr. Cass., sez. 5, 11/04/2012, n. 25432, D.M.C., e altro; Cass., sez. 5, 24/03/2011, n. 17670, Cass., sez. 5, 09/02/2010, n. 11938, M. e altro, rv. 246897; Cass., sez. 5, 05/05/2009, n. 31142, P.).

Orbene non appare revocabile in dubbio che a tali parametri sia riconducibile la condotta del L..

Quest’ultimo, infatti, da un lato è venuto meno all’obbligo su di lui gravante in qualità di amministratore “di diritto”, di tenere le scritture contabili in modo da rendere possibile, a tutela dei creditori della società, la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; dall’altro, a fronte di una gestione, con fini chiaramente distrattivi, della società e del suo patrimonio, tutta accentrata nelle mani dell’amministratore “di fatto” B., il quale, come ammesso dallo stesso ricorrente, “era autore di ogni scelta gestionale”, impartendo “disposizioni ai dipendenti della società ed allo stesso L.” (cfr. p. 2 del ricorso) ha scientemente omesso ogni controllo sulla condotta del B., accettando in tal modo il rischio del vergarsi delle condotte distratte, che il suo intervento avrebbe potuto evitare.

11. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi proposti nell’interesse del B. e del L. vanno, dunque, rigettati, con condanna di questi ultimi ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2013. 

Redazione