Bambina aggredita da un cane in albergo: il gestore risarcisce i danni (Cass. n. 12157/12)

Redazione 16/07/12
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Svolgimento del processo

La presente controversia trae origine – per quanto risulta dalla sentenza impugnata – da un episodio verificatosi nell’anno 1997, nel cortile antistante l’hotel L. di Piscinas, comune di Arbus, allorché B. M., all’epoca di anni quattro, che alloggiava con i genitori F.M. e P.R. nello stesso albergo, venne morsa al volto da un cane pastore tedesco di proprietà del gestore dell’albergo S.C. Il C. imputato dei reati di cui agli artt. 590 commi 1 e 2 e 672 c.p., venne riconosciuto penalmente responsabile dal Tribunale di Cagliari con sentenza in data 26.04.2002 e condannato – per quanto qui interessa – nei confronti della parte civile, F.M. e P.R. in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento di una provvisionale di € 8.000,00, oltre le spese; la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma, riconobbe il concorso di colpa dei genitori e del C. con sentenza impugnata per cassazione, in parte qua, dai M. R. in proprio e nella qualità; la Cassazione annullò la sentenza oggetto di ricorso nelle statuizioni civili per difetto di motivazione e rinviò le parti innanzi alla Corte di appello di Cagliari, sezione civile.
Con sentenza in data 16 luglio 2010 la Corte di appello di Cagliari, decidendo in sede di rinvio dalla Cassazione, ha confermato le statuizioni civili contenute nella sentenza del Tribunale di Cagliari in data 26.04.2002 e conseguentemente ha rigettato l’appello proposto dal C. avverso dette statuizioni; ha quindi condannato il C. al pagamento delle spese dell’appello, del giudizio di Cassazione e di rinvio.
Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione S.C. formulando un unico motivo.

F.M. e P. R. hanno resistito con controricorso, preliminannente eccependo l’inammissibilità del ricorso, almeno nei confronti di B. M. divenuta maggiorenne in data 12.10.2010 (e, quindi, in pendenza del termine per il ricorso per cassazione).

 

Motivi della decisione

Il ricorso per cassazione nei confronti di B.M. originariamente in giudizio per il tramite dei genitori, rappresentanti legali, andava indirizzato e notificato alla parte divenuta maggiorenne delle more (come è agevole desumere dalle stesse indicazioni temporali fornite dalla sentenza impugnata in ordine alla data dell’evento e all’età della M. a quell’epoca) e non al genitore, pena la nullità dell’atto e conseguente inammissibilità dell’impugnazione. Non sussistono i presupposti per la rinnovazione né ai sensi dell’art. 164 c.p.c. e neppure ex art. 153 co. 2 c.p.c. (quest’ultima disposizione peraltro inapplicabile anche ratione temporis), dal momento che queste norme postulano un errore incolpevole.
Trattandosi di cause scindibili, non ricorrono neppure i presupposti per l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c. Ad ogni buon conto si rammenta che questa Corte anche in caso di litisconsorzio necessario ha ritenuto prevalenti le esigenze connesse alla durata ragionevole del processo rispetto alle esigenze di integrazione del contraddittorio, laddove il ricorso per cassazione risulti prima facie infondato e l’integrazione vada effettuata nei confronti di parti totalmente vittoriose nel merito (cfr. Cass. n. 2723/2010).
Il ricorso nei confronti di M. va, dunque, dichiarato inammissibile.
2. Con l’unico motivo di ricorso – da esaminarsi con riguardo alla sola posizione dei M. R. in proprio – si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2048 c.c. e 115 c.p.c.; il tutto anche in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5; nullità della sentenza ed errores in procedendo, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. In particolare il ricorrente si duole che il giudice del rinvio abbia escluso che si potesse invocare a fondamento di un preteso concorso di colpa dei genitori la norma di cui all’art. 2048 c.c., ritenendo che le presunzioni ad essa sottesa (così come quella sottesa all’art. 2052 c.c., altrimenti invocabile per il C. fossero estranee all’azione civile svolta in sede penale; lamenta inoltre il travisamento dei fatti, per avere la Corte di appello escluso un concorso causale dei M. R. per mancato controllo e avere, invece, affermato l’esclusiva responsabilità per colpa di esso ricorrente, ravvisando un’omessa cautela (obbligo di museruola) che invece non era dovuta.
2.1. Il motivo – anche a prescindere dalla dubbia osservanza del requisito di cui al n. 3 dell’art. 366 c.p.c., per essersi il ricorrente limitato a incolpare integralmente la parte espositiva della sentenza impugnata – appare al limite dell’inammissibilità e, comunque, manifestamente infondato.
In particolare l’argomento con cui si deduce la violazione dell’art. 2048 c.c. ignora un duplice passaggio morivazionale della decisione impugnata – quello con cui si dichiara l’inammissibilità della domanda volta a far accertare la responsabilità esclusiva dei genitori nella causazione dell’incidente e quello con cui si esclude qualsiasi incidenza causale nello stesso fatto della condotta dei genitori e, soprattutto, si rivela non pertinente sol che si consideri che la norma regola la responsabilità dei genitori per il fatto illecito dei figli minori (id est per il danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito del minore).
Generica e inconcludente, oltre che smentita dalla sentenza impugnata, è l’allegazione, volta a contrastare l’obbligo della museruola per il cane, secondo cui l’incidente sarebbe avvenuto in una zona della struttura alberghiera che non sarebbe adibita né a “locale pubblico”, né a “pubblica via” e nemmeno a “luogo aperto al pubblico”.
Per il resto, al di là del surrettizio richiamo a presunti errores in procedendo e in iudicando, nonché al vizio motivazionale, le censure attengono alla ricostruzione del fatto storico, la quale costituisce compito riservato al giudice del merito il cui apprezzamento, se informato – come nella specie – ad esatti principi giuridici ed esente da vizi logici e motivazionali, si sottrae al sindacato di legittimità. In particolare, se è vero che l’allegazione dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione, di talché la censura, a differenza di quella di violazione di legge, è mediata dal contestato scrutinio del materiale istruttorio, giammai può essere considerato vizio logico della motivazione la maggiore o minore rispondenza della ricostruzione operata dal giudice di merito alle circostanze emerse nel corso del processo o una esposizione dei dati che non instauri tra gli stessi il collegamento ritenuto più opportuno e più appagante, in quanto tutto ciò rimane all’interno della possibilità di apprezzamento del contesto fattuale di riferimento e, non contestato con la logica e con le leggi della razionalità, appartiene al convincimento del decidente, senza renderlo viziato ai sensi dell’art. 360 c.p.c. (Cass. civ., 26 febbraio 2003, n. 2869).
In definitiva il ricorso va rigettato nei confronti dei due resistenti, con condanna di parte ricorrente al pagamento in loro favore delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di B.M. e lo rigetta nei confronti di F.M. e P.R. e condanna parte ricorrente al rimborso, in favore di questi ultimi, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 3.700,00 (di cui € 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Redazione