Azione di ottemperanza (Cons. Stato, n. 5380/2013)

Redazione 12/11/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7543 del 2012, proposto da: Cooperativa Edilizia Alcione a resp. lim., rappresentata e difesa dagli avv. *************** e ************, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, viale Parioli 180;
contro
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. **************, ************, ************************************, *******************, **************, **************, ******************, ********************, *************, ***************, *********** e *******************, con domicilio eletto presso lo Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II 18;
sul ricorso numero di registro generale 7544 del 2012, proposto da: Cooperativa Edilizia San Pasquale a resp. lim., rappresentata e difesa dagli avv. *************** e ************, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, viale Parioli 180;
contro
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. **************, ************, *******************, ************************************, ********************, **************, **************, ******************, *************, ***********, *************** e *******************, con domicilio eletto presso *************** in Roma, corso Vittorio Emanuele II 18;
per la riforma
quanto al ricorso n. 7543 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Campania – Napoli, Sezione IV, n. 02722/2012, resa tra le parti, concernente revoca dell’assegnazione del diritto di superficie su aree pubbliche per la realizzazione di parcheggi pertinenziali;
quanto al ricorso n. 7544 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Campania – Napoli, Sezione IV, n. 02723/2012, resa tra le parti, concernente revoca dell’assegnazione del diritto di superficie su aree pubbliche per la realizzazione di parcheggi pertinenziali
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2013 il Cons. ***************** e uditi per le parti gli avvocati ***************, ************ e ****************, per delega dell’Avvocato **************;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il presente giudizio verte sulla procedura di gara indetta dal Comune di Napoli, con delibera giuntale del 20 gennaio 2000, n. 148, per “l’assegnazione del diritto di superficie su aree pubbliche o nel loro sottosuolo per la realizzazione di parcheggi pertinenziali – cd. stanziali e stanziali integrati – di cui alla legge n. 122/89”.
Tra le aggiudicatarie figuravano le cooperative edilizie a responsabilità limitata ******* e ************, rispettivamente per l’area di via Lomonaco, contrassegnata dalla lettera C8, la prima e di via Cuoco, lett. E, la seconda.
Accadeva tuttavia che l’amministrazione richiedesse dapprima alcune modifiche ai progetti preliminari presentati in sede di gara dalle due predette cooperative; che, quindi, constatata l’interferenza dei parcheggi sotterranei previsti nei progetti definitivi con la falda idrica sottostante, ne ordinasse la riprogettazione; che, infine, comunicasse la chiusura dell’istruttoria “in relazione alla segnalata interferenza”, a causa del superamento del numero dei livelli di parcheggio rappresentati nel progetto definitivo rispetto alle indicazioni progettuali fissate nel bando di gara e dalle vigenti norme tecniche di attuazione al P.R.G.
2. Il successivo contenzioso promosso dalle due società si concludeva con l’accoglimento dell’impugnativa, con decisioni di questa Sezione in data 12 giugno 2009, nn. 3755 e 3756.
3. Riavviato quindi il procedimento per l’approvazione dei progetti, il Comune di Napoli addiveniva alla revoca delle assegnazioni delle suddette aree (deliberazioni di giunta municipale in data 17 giugno 2010 nn. 1057 e 1058). Tali determinazioni venivano motivate sulla base della difformità dei progetti definitivi elaborati dalle cooperative rispetto a quelli preliminari rispettivamente presentati in sede di gara.
4. Da qui la nuova impugnativa promossa nuovamente dalle due ridette società cooperative.
Il TAR Campania – sede di Napoli respingeva i ricorsi, ritenendo accertata la violazione del parametro fissato in sede di gara dall’amministrazione per i livelli di parcheggio interrato, a causa del fatto che le due ricorrenti avevano proposto cinque livelli contro i tre massimi consentiti. Secondo il giudice di primo grado tale caratteristica progettuale, emersa compiutamente in sede di progetto definitivo, legittimerebbe la revoca a causa dell’interferenza dell’opera progettata con la falda idrica.
5. Insorgono le Cooperative Alcione e San Pasquale, controdeducendo nei rispettivi appelli che:
– il presupposto fattuale addotto dall’amministrazione come unico motivo a sostegno della revoca è contrastante con i giudicati di cui alle sentenze di questa Sezione, sopra citate, nn. 3755 e 3756 del 2009, in cui si è accertata la conformità del progetto preliminare presentato in sede di gara ai parametri progettuali prefissati dalla medesima amministrazione, mentre il vincolo conformativo da essi discendente consentiva l’esercizio del potere di autotutela unicamente in caso di non fattibilità dal punto di vista idrogeologico dell’opera, così come progettata dalla ridetta amministrazione;
– non vi è per contro alcuna prova della difformità tra tale progetto e quello definitivo, avendo il giudice di primo grado ravvisato sul punto un’assenza di contestazione di esse ricorrenti, laddove invece queste avevano insistito per lo svolgimento di apposita “istruttoria tecnica”, diretta a dimostrare come in realtà il parametro progettuale sia stato rispettato;
– per contro, l’interferenza idrogeologica ravvisata dal TAR costituisce una indebita integrazione del provvedimento impugnato, che non motiva in questo senso;
– peraltro, quand’anche vi fosse stato effettivamente un aumento dei piani di parcheggio rispetto a quelli inizialmente progettati, l’amministrazione non avrebbe dovuto procedere alla revoca delle assegnazioni, ma casomai richiedere alle aggiudicatarie delle modifiche in grado di riportare i progetti definitivi alle caratteristiche di quelli preliminari presentati in sede di gara;
– le revoche impugnate sono frutto di uno sviato atteggiamento del Comune di Napoli e si pongono in contraddizione con la progettazione preliminare dallo stesso effettuato, visto che anche con tre piani il parcheggio scenderebbe ad una quota interrata inferiore a quella della falda idrica;
– a questo riguardo, quindi, in violazione del giudicato di annullamento, le appellanti lamentano che in sede di riedizione del procedimento l’amministrazione abbia riproposto le ragioni originariamente addotte a sostegno del rifiuto di approvazione del progetto definitivo, sottraendosi così all’alternativa, imposta dal suddetto giudicato, tra l’annullamento dell’intera procedura da un lato, in ragione dell’astratta non fattibilità del progetto a causa della presenza della falda acquifera sotterranea, e, dall’altro lato, l’individuazione in contraddittorio delle modifiche progettuali esecutive necessarie ad assicurarne la conformità dal punto di vista urbanistico e geologico, e dunque la realizzabilità in concreto dei parcheggi.
6. Il Comune di Napoli, costituitosi in entrambi gli appelli, controdeduce evidenziando che i progetti definitivi delle due cooperative appellanti si pongono innanzitutto in contrasto con la profondità sotterranea massima consentita per il parcheggio in sede di gara e, quanto ai livelli previsti, con le norme tecniche di attuazione del vigente P.R.G. (art. 17, prescrivente quattro livelli contro i cinque progettati), donde la legittimità dell’intervento in autotutela sull’assegnazione delle aree necessarie, ancorché tale difformità sia emersa unicamente in sede di progettazione definitiva. Soggiunge quindi che la conformità del progetto rispetto al bando di gara non è stata oggetto nel giudizio di cognizione e su di essa non si è pertanto formato alcun giudicato. Asserisce infine che l’esercizio del potere di autotutela in sede di riavvio del procedimento non comporta alcuna violazione dei giudicati di annullamento, come già accertato da questa Sezione con le sentenze nn. 7523 e 7575 del 15 e 20 ottobre 2010, rese su altrettante azioni di ottemperanza promosse dalla due odierne appellanti.

DIRITTO

1. Preliminarmente si ritiene di disporre la riunione degli appelli ai sensi dell’art. 70 cod. proc. amm. Sono infatti ravvisabili nei giudizi nei quali essi sono stati proposti profili di connessione oggettiva, tanto propria, in ragione del fatto che gli atti impugnati si riferiscono ad un unico procedimento amministrativo, quanto impropria, per l’identità delle questioni in fatto ed diritto trattate, oltre che, evidentemente, soggettiva, essendo le impugnative proposte nei confronti del Comune di Napoli.
2. Venendo al merito delle censure dedotte negli appelli, si conviene innanzitutto con il Comune di Napoli circa il fatto che le questioni concernenti il rispetto dei giudicati di annullamento di cui alle più volte citate sentenze di questa Sezione nn. 3755 e 3756 del 2009 non possono essere più riproposte in questa sede, essendo le stesse coperte dal giudicato formatosi per effetto delle pronunce, sempre di questa Sezione nn. 7523 e 7575 del 15 e 20 ottobre 2010.
Come sopra accennato, infatti, queste ultime decisioni sono state rese su altrettante azioni di ottemperanza promosse dalle cooperative odierne appellanti avverso i medesimi atti impugnati nella presente sede di cognizione.
Tanto si evince dalla narrativa in fatto contenuta nella motivazione delle due sentenze, che di seguito si riporta: “In particolare, sostiene (ciascuna cooperativa, n.d.e.) che l’Amministrazione comunale, in luogo di indicare le modalità per l’esecuzione dell’opera, ha revocato la precedente delibera di assegnazione dell’area alla medesima cooperativa”.
Pertanto, occorre al riguardo sottolineare che, come affermato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza 15 gennaio 2013, n. 2), l’azione di ottemperanza per “l’attuazione” delle sentenze del giudice amministrativo non si riduce alla mera esecuzione delle stesse, potendo essa implicare anche la risoluzione di questioni di interpretazione della portata del giudicato in relazione al riesercizio dell’attività amministrativa, e quindi assumendo le caratteristiche di un’azione di “chiara natura cognitoria”.
Il corollario che l’organo di nomofilachia della giurisdizione amministrativa ha tratto da questa ricostruzione è che le questioni relative all’esatta attuazione del giudicato devono essere necessariamente proposte mediante l’azione ex art. 112 e ss. cod. proc. amm. davanti al loro “giudice naturale”, che è appunto quello dell’ottemperanza.
L’ulteriore conseguenza che questo Collegio reputa di ricavare è che l’azione di ottemperanza è suscettibile di condurre alla formazione del giudicato sostanziale, ogniqualvolta il giudice con essa adito abbia risolto questioni concernenti il significato e la portata del titolo formatosi nel giudizio di cognizione, concorrendo con quest’ultimo alla formazione della regola di diritto applicabile al rapporto amministrativo controverso. Ed infatti, presso la giurisprudenza amministrativa costituisce ormai ius receptum l’istituto del “giudicato a formazione progressiva”, caratterizzato appunto dal fatto che il giudice dell’ottemperanza, riempiendo gli spazi vuoti lasciati dal giudicato formatosi in sede di cognizione “può adottare una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo eventuali problemi interpretativi che comunque sarebbero devoluti alla sua giurisdizione.” (C.d.S., sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4131; in termini Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 2680 e 26 giugno 2013, n. 3517).
2.1 Conseguentemente, le questioni concernenti la conformità delle delibere di revoca qui impugnate al giudicato di annullamento non può più essere rimessa in discussione, essendo già state definite nella loro sede naturale dell’ottemperanza.
3. Possono quindi essere esaminate le censure nelle quali si fanno valere vizi autonomi di illegittimità dei medesimi atti.
A questo specifico riguardo, le due cooperative odierne appellanti lamentano che gli atti di revoca adottati in proprio rispettivo danno sono affetti da falsità del relativo presupposto, consistente nella difformità tra progetto definitivo e specifiche progettuali poste a base di gara, dall’amministrazione comunale ritenuto a causa dell’aumento del numero dei piani interrati dai tre consentiti a cinque.
Gli atti impugnati sono in effetti fondati su questo unico presupposto.
Nel preambolo di quello adottato nei confronti della Cooperativa Alcione si riferisce essere incontestabilmente emerso che il progetto definitivo presenta “cinque piani distinti di parcamento, di cui due tradizionali e tre meccanizzati”. Analogamente, per quello della Cooperativa San Pasquale, l’amministrazione civica afferma che “il livello di parcamento meccanizzato, lungi dall’essere unico si articolava su tre livelli”. In entrambi gli atti si specifica poi che la commissione di gara è incorsa in un travisamento nell’esaminare i due progetti preliminari, poiché in quella sede l’ultimo piano in contestazione non risultava articolato in “tre distinti livelli”, come poi invece emerso nella progettazione definitiva. Il percorso motivazionale degli atti di revoca si conclude quindi con l’affermazione che le proposte progettuali non sono conformi al bando di gara a causa della suddetta caratteristica strutturale e quindi perché “non sussistono i presupposti di fattibilità sia sotto il profilo geologico, urbanistico e tecnico”.
3.1 Il giudice di primo grado ha confermato l’avviso dell’amministrazione, ritenendo effettivamente sussistente la difformità da questa riscontrato. Ha quindi condiviso la decisione di revocare l’assegnazione delle aree per effetto dell’accertato superamento del numero massimo di piani interrati consentiti, e della conseguente “necessità di raggiungere un livello di scavo più profondo in presenza di stalli meccanizzati equivalenti a cinque livelli interrati”.
Nell’indicare le fonti del proprio convincimento, il TAR ha richiamato la consulenza tecnica di parte dell’ing. *******, contenente l’indicazione altimetrica dei livelli interrati: per la Cooperativa Alcione “i primi due livelli interrati di h 2,40 ciascuno ed il livello inferiore ( articolato in tre stalli) in ulteriori mt. – 5,75 al di sotto della seconda rampa di discesa.”; per la Cooperativa San Pasquale: “il terzo livello interrato a mt meno 4,35 , mentre il quinto livello interrato è a quota meno 9 ed il livello delle fondazioni scende ancora a meno 10,20”.
Quindi, in entrambe le decisioni qui appellate il giudice di primo grado è giunto alla conclusione che la quota massima di cinque metri, posta a presidio della falda idrica, è stata sostanzialmente raddoppiata nel progetto presentato delle due odierne appellanti.
3.2 Le cooperative odierne appellanti obiettano dal canto loro che i rispettivi progetti preliminari e definitivi sono tra loro “perfettamente sovrapponibili”, essendo in particolare rimasta invariata la quota di profondità massima del manufatto. Pongono in rilievo la circostanza che anche con soli tre piani non potrebbe essere rispettata la quota di profondità massima di 5 metri, visto che l’altezza di ciascun livello non può essere inferiore a 2,4 metri. Specificano inoltre le medesime appellanti che l’ultimo piano è articolato a sua volta in interpiani, concepiti al fine di raggiungere il numero minimo di posti auto, parimenti richiesto come standard progettuale inderogabile dal bando di gara. Ricordano poi che il progetto definitivo è stato preceduto da indagini geognostiche, al fine di formulare un’offerta in grado di garantire la sicurezza del manufatto e degli edifici vicini, di cui nondimeno l’amministrazione non ha tenuto conto. Si dolgono dell’integrazione della motivazione dei provvedimenti impugnati, a causa del riferimento in sentenza alle interferenze idrogeologiche. Chiedono in ogni caso che venga disposta una CTU.
3.3 Così riassunta la prospettazione delle due appellanti, la stessa non è fondata.
Innanzitutto va sgomberato il campo dalla censura di integrazione della motivazione.
Il TAR non è incorso in questo errore, ma si è limitato a convalidare l’assunto dell’amministrazione, quale del resto emergente dagli atti impugnati, circa il fatto che il superamento dei livelli massimi di piani interrati rende l’opera non fattibile, tra l’altro, “sotto il profilo geologico”.
Di tanto si è accorto il giudice di primo grado nelle sentente qui appellate, laddove ha rilevato che “non è in discussione la fattibilità del progetto preliminare così come richiesto dal bando”, ma solo le asserite variazioni strutturali apportate in sede di progettazione definitiva, cosicché “il Comune non doveva percorrere i successivi snodi in ordine alla valutazione delle modalità esecutive dell’opus sotto il profilo geologico ed urbanistico, essendo tanto escluso in radice dalla accertata non rispondenza del progetto preliminare alle prescrizioni del bando”.
3.4 Né sul punto si può addebitare allo stesso TAR alcun errore di giudizio, avendo il giudice di primo grado debitamente posto in evidenza, in modo del tutto ragionevole, che il numero di piani proposto dalle cooperative costituisce un evidente rischio di compromissione della sicurezza del manufatto e degli edifici circostanti a causa della maggiore profondità della costruzione rispetto a quella massima consentita.
E’ infatti incontestato che il numero di questi ultimi proposti dalle due odierne appellanti è superiore, ammontando a 5 piani. Come evidenziato dal TAR, questa circostanza risulta provata in virtù della consulenza tecnica depositata dall’amministrazione resistente.
La stessa circostanza non è nemmeno contestata negli appelli qui in discussione, ma anzi le cooperative stesse ammettono l’esistenza del superiore numero di piani e le ragioni a base dello stesso, consistenti nell’esigenza di raggiungere il numero minimo di posti auto. Il presupposto alla base dei provvedimenti impugnati è dunque effettivamente sussistente, risultando conseguentemente superflua la CTU richiesta.
3.5 Inoltre, non è ravvisabile alcuna contraddizione tra progettazione preliminare a base di gara ed il provvedimento impugnato.
E’ infatti vero che la quota di profondità massima di 5 metri, a tutela della falda idrica, non poteva essere evidentemente rispettata attraverso l’articolazione del parcheggio, parimenti imposta dagli standard progettuali prefissati dall’amministrazione, in 3 piani interrati, ma è del pari vero che il rischio di interferenza doveva essere eliminato in sede di progettazione definitiva, attraverso un’istruttoria adeguata in contraddittorio tra amministrazione e privato aggiudicatario, come in effetti avvenuto nel caso di specie, fermo rimanendo, comunque il rispetto dello standard ora detto.
Pertanto, non giova in contrario invocare gli accertamenti geognostici eseguiti dalle due cooperative odierne appellanti, poiché con la fissazione di un numero massimo di piani interrati deve ritenersi che la prognosi in ordine alle interferenze con la falda idrica sia stata predeterminata in modo immutabile dall’amministrazione, senza che sul punto le partecipanti alla gara potessero apportare varianti progettuali.
Nessuno sviamento è dunque ravvisabile nel comportamento dell’amministrazione.
3.6 Concludendo sul punto, gli atti impugnati, che alla luce di quanto detto hanno sostanza di annullamento d’ufficio e non già di revoca, si fondano su un presupposto effettivamente esistente.
Può passarsi alla residua doglianza, con la quale le due appellanti lamentano il fatto che, malgrado la suddetta difformità progettuale, l’amministrazione non abbia loro richiesto le modifiche necessarie ad adeguare i progetti definitivi alle caratteristiche di quelli preliminari presentati in sede di gara.
In contrario è tuttavia agevole osservare che né in sede procedimentale, né tanto meno in questo giudizio le due cooperative hanno prospettato la possibilità di formulare alternative progettuali rispettose dei parametri imposti dall’amministrazione, cosicché la censura è infondata avuto riguardo al disposto dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, l. n. 241/1990.
4. In conclusione, entrambi gli appelli devono essere respinti.
Le spese possono essere compensate tra tutte le parti, ravvisandosi giusti motivi ex art. 92 cod. proc. amm. nella complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, li respinge entrambi.
Compensa tra tutte le parti le spese di causa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2013

Redazione