Annullamento dell’autorizzazione paesaggistica già rilasciata (Cons. Stato n. 2359/2013)

Redazione 30/04/13
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FATTO

Con delibere nn. 8 del 30 gennaio 1993 e 27 del 30 giugno 1993, il Comune di Castiadas approvava in via definitiva il piano particolareggiato, con valenza di piano di risanamento, della sub zona n. 10 della fascia costiera, già adottato con delibera n. 27 del 28 febbraio 1992 (si tratta di un piano di risanamento urbanistico – PRU – adottato ai sensi dell’articolo 32 della legge regionale n. 23 del 1985).

Tale piano veniva approvato, ai sensi e per gli effetti di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, dall’Amministrazione regionale con l’atto n. 4906 del 17 giugno 1994.

Seguiva la presa d’atto della Soprintendenza per i beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici con nota n. 22 agosto 1994 n. 9949, con la quali si precisava (inter alia) che “i progetti relativi alle opere di urbanizzazione primaria, nonché ai singoli interventi, dovranno essere autorizzati (…) e inviati a questa Soprintendenza”.

Dopo un complesso iter procedimentale, il Comune di Castiadas, con delibera della G.M. 9 giugno 1999 n. 148, approvava il progetto definitivo ed esecutivo delle opere di urbanizzazione.

Tale progetto veniva trasmesso all’amministrazione regionale per l’esercizio del potere di rilascio della autorizzazione paesaggistica, ma la Regione, anziché rilasciare l’atto richiesto, dopo aver chiesto integrazioni documentali, con nota n. 1764/4T/CA del 26 gennaio 2009, malgrado il PRU avesse già ottenuto l’autorizzazione paesaggistica, invitava il Comune di Castiadas a trasmettere una nuova istanza di PRU per valutarlo nuovamente ai fini paesaggistici.

Su ricorso proposto dalla Comunione Nuraghe Rey, il T.A.R. Sardegna, con sentenza n. 594 del 5 maggio 2009, annullava l’anzidetto provvedimento regionale.

Con nota n. 21807 del 15 luglio 2009, la Regione riconosceva la competenza del Comune di Castiadas al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, secondo il disposto dell’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 28 del 1998.

Con provvedimento 23 settembre 2009, n. 8045/VI/3, il Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Castiadas rilasciava la richiesta autorizzazione paesaggistica relativa alla realizzazione delle opere di urbanizzazione del piano di risanamento in questione.

Tal autorizzazione veniva quindi trasmessa alla competente Soprintendenza, per l’esercizio del potere di riesame, previsto dall’art. 159 del Codice per i beni culturali e per il paesaggio.

Quest’ultima, dopo aver chiesto al Comune di Castiadas documentazione integrativa (nota n. 2840 del 1° novembre 2009), con l’impugnato decreto del 4 febbraio 2010 annullava l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione comunale.

Con tre distinti ricorsi di primo grado, gli odierni appellanti, proprietari di terreni compresi all’interno del piano di risanamento per cui è causa, hanno impugnato l’atto di annullamento della Soprintendenza dinanzi al T.A.R. della Sardegna, il quale, con le sentenze in epigrafe, ha respinto i ricorsi in questione, ritenendoli infondati.

Le sentenze in questione sono state impugnate in appello:

– dalla Comunione Nuraghe Rey (ricorso n. 10367/2011);

– dai signori *********** e ********** (ricorso n. 10404/2011);

– dai signori ********, **********, ***********, ********** e ************ (ricorso n. 10406/2011).

Essi hanno chiesto la riforma delle sentenze in questione articolando i seguenti motivi:

1) Con riferimento al primo motivo: tardività dell’atto impugnato.

Il T.A.R. avrebbe erroneamente ritenuto la tempestività del provvedimento statale di annullamento della autorizzazione rilasciata dal Comune in relazione alla tempistica procedimentale di cui al comma 3 dell’articolo 159 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

In particolare, anche a voler prestare adesione all’orientamento giurisprudenziale richiamato dai primi Giudici (secondo cui per effetto dell’interruzione prodotta con la richiesta di integrazione istruttoria, l’originario termine di sessanta giorni assegnato alla Soprintendenza per adottare il provvedimento di annullamento di un’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune si prolunga di ulteriori trenta giorni), nondimeno ad avviso il provvedimento statale di annullamento risulterebbe tardivamente adottato.

Tale provvedimento, infatti, non sarebbe stato adottato (contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R.) all’ottantottesimo giorno utile nell’ambito della complessiva serie procedimentale, bensì soltanto al novantunesimo giorno.

La differenza di tre giorni appena richiamata deriverebbe dal fatto che erroneamente il T.A.R. avrebbe ritenuto che l’autorizzazione inizialmente emanata fosse pervenuta alla competente Soprintendenza il 28 settembre 2009. Al contrario, risulterebbe documentalmente che tale atto sia pervenuto alla Soprintendenza il giorno 25 settembre 2009 (mentre sarebbe irrilevante ai fini della decisione il fatto che l’atto comunale fosse stato acquisito al protocollo del Comune solo il successivo 28 settembre).

Quindi, il T.A.R. avrebbe basato la propria decisione in ordine alla tempestività dell’esercizio del potere di annullamento,, erroneamente assumendo una data errata quale termine a quo per il decorso del periodo di sessanta giorni di cui al comma 3 dell’articolo 159 del decreto legislativo 42 del 2004.

2) Con riferimento all’illegittimità delle valutazioni compiute in merito al Piano nel suo complesso.

Venendo al merito della questione, il T.A.R. non avrebbe considerato che il provvedimento statale di annullamento non si sarebbe limitato ad esaminare la compatibilità sotto il profilo paesaggistico delle sole opere di urbanizzazione sulle quali verteva il progetto comunale approvato il 9 giugno del 1999, ma si sarebbe spinto sino a svolgere una vera e propria nuova valutazione di merito sulla compatibilità paesaggistica del progetto di risanamento nel suo complesso.

Quindi, il T.A.R. non avrebbe considerato che il provvedimento della Soprintendenza sarebbe illegittimo sotto almeno due profili:

– in primo luogo perché tale provvedimento andava ad incidere con valenza preclusiva sugli effetti del PRU comunale sul quale, pure, in passato erano stati già acquisiti tutti i necessari atti di assenso (non limitandosi invece – e come pure avrebbe dovuto – al solo esame delle questioni relative alle opere di urbanizzazione);

– in secondo luogo, perché il medesimo provvedimento travalicava i limiti del sindacato di mera legittimità, fino ad operare una inammissibile valutazione sul merito stesso sulle scelte operate dal Comune.

Non a caso – osserva l’appellante – lo stesso T.A.R. della Sardegna, con la sentenza n. 594/2009, aveva disposto l’annullamento degli atti con cui la Regione Sardegna aveva chiesto l’invio di una nuova versione del PRU comunale al fine di sottoporlo a una nuova valutazione ai fini paesaggistici. Nell’occasione, il Tribunale aveva affermato che la Regione, in sede di esame di un atto conseguente (quello relativo alla realizzazione delle opere di urbanizzazione), non potesse tornare ad esaminare nel merito un atto (quale il PRU) già esaminato ed approvato alcuni anni addietro.

Secondo l’appellante, il T.A.R., se avesse coerentemente ribadito i condivisibili princìpi di diritto da esso stesso enunciati nel 2009, avrebbe necessariamente dovuto annullare il provvedimento della Soprintendenza, in quanto caratterizzato dagli stessi profili di illegittimità a suo tempo rilevati in relazione ai richiamati atti regionali, nonché da evidenti profili di sviamento di potere.

Inoltre, se la Soprintendenza e, in seguito, il T.A.R. avessero limitato – come dovuto – il proprio esame ai soli profili paesaggistici connessi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, avrebbero dovuto necessariamente concludere nel senso del limitato o nullo impatto delle opere in questione, in larga parte incidenti su ‘dorsali’ già realizzate nei decenni precedenti e, comunque, in larga parte interrate.

Ad ogni modo, le sentenze in epigrafe si porrebbero ingiustificatamente in contrasto con taluni orientamenti giurisprudenziali di primo e secondo grado.

3) Sul difetto di istruttoria e sull’erroneità dei presupposti in cui è incorso l’amministrazione prima e il T.A.R. Sardegna poi.

In terzo luogo, la Soprintendenza e, successivamente, il T.A.R. avrebbero basato le proprie determinazioni sull’erroneo presupposto secondo cui il PRU comunale fosse da qualificare come un piano ad iniziativa privata con intenti speculativi e non – come pure avrebbero dovuto – quale piano di risanamento concepito per finalità di interesse pubblico.

Ad ogni modo, la Soprintendenza prima e il T.A.R. poi non avrebbero valutato talune circostanze certamente centrali ai fini della decisione:

– in primo luogo, il fatto che il PRU rappresentasse sotto ogni aspetto un piano pubblico, approvato su impulso e richiesta di soggetti pubblici e al fine di perseguire interessi parimenti pubblici;

– in secondo luogo, il fatto che nel caso di specie non fosse ravvisabile alcuna violazione dell’indice di compromissione delle aree interessate ai sensi dell’articolo 32 della legge regionale n. 23 del 1985.

4) Con riferimento alla riproposizione dei motivi già proposti nel corso del procedimento di primo grado.

Con il quarto motivo, gli appellanti chiedono che vengano puntualmente esaminati i motivi di doglianza già articolati in primo grado e ritenuti assorbiti dal T.A.R.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Nell’ambito del ricorso n. 10406/2011 si sono costituiti ad adiuvandum i signori ***************, ******************, *****ò Bonasoro e *******************.

Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2013 gli appelli sono stati trattenuti in decisione.

 

DIRITTO

1. Giungono alla decisione del Collegio tre ricorsi in appello proposti dai proprietari di alcuni terreni inclusi nell’ambito del piano di risanamento della fascia costiera del Comune di Castiadas avverso altrettante sentenze del T.A.R. della Sardegna con cui sono stati respinti i ricorsi avverso il provvedimento con cui la competente Soprintendenza ha annullato il nulla-osta paesistico rilasciato dal Comune per le opere di urbanizzazione necessarie all’attuazione del piano particolareggiato/piano di risanamento relativo all’area costiera in parola.

1.1. I ricorsi in questione devono essere riuniti per evidenti ragioni di carattere oggettivo e in parte soggettivo (articolo 70, c.p.a.).

2. Il primo motivo di appello (con cui i ricorrenti hanno chiesto la riforma delle sentenze in epigrafe per non aver rilevato il superamento da parte della Soprintendenza del termine perentorio fissato per l’annullamento dell’autorizzazione rilasciata ai fini paesistici) è infondato.

2.1. In primo luogo il Collegio ritiene di confermare la tesi espressa nell’ambito delle sentenze in epigrafe secondo cui, nell’ambito del particolare sub-sistema delineato dall’articolo 159 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (nella formulazione che qui rileva), la richiesta da parte dell’organo statale di elementi istruttori, formulata nei confronti del Comune, sortisse una valenza interruttiva e non (come invece preteso dagli appellanti) meramente sospensiva.

2.1.1. Alla conclusione appena rassegnata può giungersi in primo luogo all’esito dell’esame della pertinente disciplina.

Ed infatti, il comma 3 dell’articolo 159 del decreto legislativo n. 42, cit. (nella formulazione ratione temporis rilevante), stabili(va) che “la Soprintendenza, se ritiene l’autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio, dettate ai sensi del presente titolo, può annullarla, con provvedimento motivato, entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa, completa documentazione. Si applicano le diposizioni di cui all’articolo 6, comma 6-bis, del regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali 13 giugno 1994, n. 495”.

A sua volta, il comma 6-bis dell’articolo 6, cit., stabilisce che “qualora, in sede di istruttoria, emerga la necessità di ottenere chiarimenti o di acquisire elementi integrativi di giudizio, ovvero di procedere ad accertamenti di natura tecnica, il responsabile del procedimento ne dà immediata comunicazione ai soggetti indicati nell’articolo 4, comma 1, nonché, ove opportuno, all’amministrazione che ha trasmesso la documentazione da integrare. In tal caso, il termine per la conclusione del procedimento è interrotto, per una sola volta e per un termine non inferiore a trenta giorni, dalla data di comunicazione e riprende a decorrere dal ricevimento della documentazione o dell’acquisizione delle risultanze degli accertamenti tecnici”.

Pertanto, già l’esame testuale delle pertinenti disposizioni rende palese che la richiesta di elementi integrativi da parte dell’organo statale produca effetti interruttivi e non meramente sospensivi (come invece ritenuto dagli odierni appellanti).

2.1.2. A conclusioni in tutto analoghe è pervenuta la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato relativa al decorso del termine di cui al comma 3 dell’articolo 159 del decreto legislativo 42 del 2004.

Al riguardo è stato chiarito che:

a) il termine di sessanta giorni di cui alla richiamata disposizione ha carattere perentorio e decorre dalla ricezione, da parte della Soprintendenza, dell’autorizzazione rilasciata e della documentazione tecnicoamministrativa, sulla cui base l’autorizzazione è stata adottata;

b) nel caso in cui la detta documentazione sia incompleta, “il termine non decorre e la Soprintendenza legittimamente richiede gli atti mancanti. Quindi il termine decorre dal momento in cui la Soprintendenza riceva la documentazione completa” (Cons. Stato, Sez. II, n. 2449 del 2004);

c) la Soprintendenza, oltre all’integrazione della documentazione appena richiamata, può chiedere integrazioni istruttorie, purché non si tratti di ingiustificati aggravamenti del procedimento dati da richieste pretestuose, dilatorie o tardive;

d) in questo caso, ai fini del decorso del termine di legge si applica quanto disposto dal sopra citato art. 6-bis del decreto ministeriale n. 495 del 1994, richiamato dal più volte richiamato comma 3 dell’articolo 159 del d.lgs. n. 42 del 2004 (Cons. Stato, Sez. VI: 19 settembre 2008, n. 4311; id., Sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4313; id., Sez. VI, 26 novembre 2007, n. 6032).

In particolare, il Collegio ritiene che meriti puntuale conferma quanto affermato da Cons. Stato, VI, 10 gennaio 2011, n. 43, secondo cui, a seguito di una richiesta di integrazione documentale e per effetto della interruzione prodotta da tale richiesta, l’originario termine di sessanta giorni si prolunga di ulteriori trenta giorni, con la conseguenza che – fermo restando il termine minimo di trenta giorni, decorrente dal ricevimento della documentazione integrativa – il tempo decorrente dall’originario ricevimento degli atti fino alla richiesta istruttoria sommato a quello successivo che va dal ricevimento della documentazione integrativa richiesta fino all’adozione del provvedimento di annullamento non deve complessivamente essere superiore a novanta giorni, non tenendosi ovviamente conto del periodo che va dalla comunicazione della richiesta di integrazione al ricevimento degli atti.

Ai fini che qui rilevano si osserva che la richiesta di documentazione integrativa effettuata dalla Soprintendenza per le province di Cagliarti e Oristano con atto dell’11 novembre 2009 non risultava affatto pretestuosa e aveva ad oggetto atti e documenti certamente pertinenti rispetto all’oggetto della decisione.

Ed infatti la richiesta in questione aveva ad oggetto –inter alia – l’acquisizione di planimetrie (certamente rilevanti ai fini del corretto e compiuto inquadramento fattuale della vicenda), nonché di elementi di chiarimento effettivamente idonei a fare luce in ordine alle discrasie rilevate nell’ambito della documentazione a corredo della richiesta di autorizzazione ai fini paesaggistici (ci si riferisce, in particolare, alla richiesta finalizzata a stabilire se i singoli manufatti abusivi fossero stati realizzati in data anteriore o successiva rispetto a quella di apposizione del vincolo).

2.2. Ebbene, tanto chiarito in ordine ai corretti criteri e modalità con cui procedere al computo dei termini rilevanti ai fini dei provvedimenti di annullamento di cui al comma 3 dell’articolo 159, cit., si può passare all’esame delle peculiarità della singola vicenda.

2.2.1. Come si è anticipato in narrativa, assume valenza dirimente ai fini del decidere la questione relativa al se il terminus a quo per l’eventuale esercizio del potere di annullamento decorra dal momento in cui l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’Ente competente giunge comunque nella disponibilità della Soprintendenza (si tratta della tesi sostenuta dagli odierni appellanti), ovvero se tale termine decorra dal momento in cui l’atto autorizzativo viene formalmente acquisito al registro di protocollo dell’organo statale (si tratta della tesi sostenuta dal Ministro appellato).

E’ evidente al riguardo che:

– laddove si propenda per la prima tesi (con fissazione del termine a quo alla data del 25 settembre 2009), ne deriverà il superamento del termine perentorio previsto per l’eventuale adozione del provvedimento statale di annullamento (che dovrà pertanto essere a sua volta annullato, in quanto adottato al novantunesimo giorno, computato al netto del richiamato effetto interruttivo);

– laddove invece si propenda per la seconda tesi (con fissazione del termine iniziale al 28 settembre 2009), l’esercizio del potere di annullamento risulterebbe tempestivo, in quanto il relativo provvedimento – al netto del richiamato effetto interruttivo – risulterebbe adottato all’ottantottesimo giorno utile.

2.2.2. Ebbene, al fine della risoluzione della questione, il Collegio ritiene di prestare puntuale adesione a quanto già affermato con la sentenza di questo Consiglio, Sezione VI, 6 giugno 2011, n. 3341.

Nell’occasione questo Consiglio (chiamato a pronunciarsi, appunto, su un’ipotesi di esercizio del potere statale di annullamento di cui all’articolo 159, cit.) ha chiarito che “in via generale l’assunzione di una pratica al protocollo dell’amministrazione ha la funzione di certificare la certezza legale dell’avvenuta ricezione, ai fini sia di costituire un termine iniziale incontestabile per l’esplicazione dei poteri che a tale ricezione si connettono, sia di garantire la conoscenza effettiva da parte dell’organo procedente.

Di conseguenza, solo la data attestata dal protocollo va assunta a prova dell’avvenuta conoscenza e considerata quale termine iniziale per la decorrenza del termine, irrilevanti essendo i diversi, eventuali elementi dai quali possa desumersi la ricezione da parte dell’amministrazione, la cui considerazione renderebbe invece incerta ed eventuale l’individuazione di un momento che, viceversa, per la rilevanza che l’ordinamento gli connette, deve emergere come formalmente incontestabile. Nel caso di specie, pertanto, la decorrenza del termine previsto dall’art. 159 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 deve computarsi [dal momento dell’acquisizione al protocollo della Soprintendenza dell’atto comunale di autorizzazione ai fini paesaggistici]”.

In altri termini, quando si debba attribuire rilievo al decorso del tempo (per la verifica della formazione di un silenzio della pubblica amministrazione o del mancato esercizio di un potere di riesame), tranne i casi espressamente tipizzati dalla legge, non rileva di per sé la rilevazione su un foglio dei dati di ‘ricezione di un fax’ o l’apposizione di un generico timbro: ha rilievo la data attestata dal protocollo, facente fede fino a querela di falso, soltanto dopo la quale comincia a decorrere il termine entro il quale il potere può essere esercitato.

2.2.3. Del resto, il fatto che solo l’acquisizione in via ufficiale al registro di protocollo dell’Ente possa garantire la necessaria certezza sull’an e sul quando dell’acquisizione di un determinato documento risulta viepiù confermato nel caso di specie, per i profili di incertezza che emergono dall’esame del documento versato in atti dagli appellanti e riprodotto alla pagina 6 dell’atto di appello.

Rileva la Sezione che, mentre il documento in questione reca nella parte alta sulla sinistra una timbratura dalla quale emergerebbe che esso sarebbe stato acquisito dalla Soprintendenza in data 25 settembre 2009, tuttavia – e in modo del tutto singolare – sull’apice del medesimo foglio è presente una diversa stampigliatura prodotta in modo automatico dall’apparecchio fax utilizzato, dalla quale emergerebbe addirittura che il documento sia stato inviato in data 26 settembre 2009 (ossia, in data inspiegabilmente successiva rispetto a quella in cui l’anonimo operatore avrebbe apposto il timbro a data al quale, pure, la difesa degli appellanti annette notevole importanza).

La circostanza appena riferita costituisce la conferma empirica della intrinseca indefettibilità del principio sopra enunciato dal Collegio, secondo cui solo l’ufficiale acquisizione al registro di protocollo consenta un adeguato grado di certezza, in ordine alla data dalla quale può intendersi esercitabile il potere pubblico e, dunque, al periodo da tenere in considerazione per il decorso del termine massimo, fissato dalla legge..

2.3. Concludendo sul punto, il primo motivo dei ricorsi in appello deve essere respinto, dovendosi – contrariamente a quanto ritenuto dagli appellanti – confermare la statuizione del TAR, sulla tempestività nell’adozione del provvedimento di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, disposto dalla Soprintendenza in data 4 febbraio 2010.

3. Devono, quindi, essere esaminate le censure sulla illegittimità sostanziale dell’atto statale di annullamento.

In primis occorre esaminare il secondo motivo con il quale – come anticipato in narrativa – gli appellanti hanno lamentato (reiterando un’analoga censura già articolata e disattesa dal T.A.R.) che il provvedimento statale di annullamento non si sarebbe limitato ad esaminare la compatibilità sotto il profilo paesaggistico delle sole opere di urbanizzazione (sulle quali verteva il progetto comunale approvato nel mese di giugno del 1999), ma avrebbe comportato, a ben vedere, una rinnovata valutazione nel merito in ordine alla compatibilità paesaggistica del complessivo progetto di risanamento.

3.1. Il motivo è infondato, dovendosi al contrario ritenere che attraverso l’adozione dell’impugnato provvedimento di annullamento la Soprintendenza abbia correttamente e in modo legittimo esercitato i propri poteri e compiti finalizzati alla più adeguata tutela dei valori paesaggistici tutelati.

3.1.1. Al riguardo si osserva che le sentenze in epigrafe sono meritevoli di conferma, laddove hanno richiamato il generale principio secondo cui il vaglio ai fini paesaggistici per ciò che attiene il rilascio dell’autorizzazione dei singoli interventi rientranti in un più generale piano già approvato (nel caso di specie: il PRU) non dovrebbe in via di principio comportare una complessiva ri-valutazione dei generali valori paesaggistici esaminati in sede di (già avvenuta) approvazione del piano..

3.1.2. Tuttavia, le sentenze in questione sono altresì meritevole di conferma laddove hanno affermato che il giudizio di compatibilità paesaggistica in ordine agli interventi esecutivi (come, nel caso di specie, quelli relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione) possa essere svolto in modo più incisivo e con strumenti di vaglio più penetranti laddove l’autorizzazione relativa al piano ‘a monte’ si caratterizzi per i caratteri di assoluta genericità dei relativi progetti (come nel caso di specie). Si tratta, del resto, di un corollario del principio secondo cui il vaglio ai fini paesaggistici rimesso all’organo statale – ivi compreso quello concretantesi nell’eventuale annullamento dell’autorizzazione a tal fine già rilasciata – assume una funzione di spiccata ‘tutela estrema’ del vincolo e, in via mediata, dei valori tutelati, aventi rango costituzionale (in tal senso: Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; id., 18 ottobre 1996, n. 341; id., 25 ottobre 2000, n. 437).

3.1.3. Ebbene, il principio appena richiamato risulta certamente applicabile nel caso di specie, atteso che l’atto regionale con cui era stato approvato ai fini paesaggistici il piano particolareggiato (PRU) era corredato da una motivazione del tutto generica, caratterizzata da formule stereotipe e non commisurate al rilevante valore paesistico dell’area, interessata da una dichiarazione di notevole interesse paesaggistico (d.m. 11 febbraio 1976).

Ed infatti, il provvedimento regionale di approvazione ai sensi dell’articolo 12 della l. 1497 del 1939 – in coerenza con le sue previsioni ‘di massima’ – dedica appena dieci righe, di contenuto piuttosto generico – alla questione della compatibilità paesistica del piano approvato (tralasciando alcune ulteriori notazioni relative al ridimensionamento dei campi da tennis e all’indicazione dell’ubicazione della vegetazione).

Pertanto, il vaglio rimesso all’organo statale in sede di esame dell’autorizzazione paesaggistica inerente le opere di urbanizzazione poteva (rectius: doveva) svolgersi in modo rigoroso e dettagliato, al fine di fornire concretezza alla richiamata funzione di estrema tutela del vincolo rimessa al controllo da parte delle Soprintendenze.

Correttamente, quindi, il medesimo organo statale ha esaminato in modo approfondito – anche – i presupposti stessi per la realizzazione delle opere ipotizzate nell’ambito di un Piano di Risanamento Urbanistico ai sensi dell’articolo 32 della legge regionale n. 23 del 1985.

Ebbene, impostati in tal modo i termini concettuali della questione, si deve concludere nel senso che il decreto del Soprintendente di annullamento dell’autorizzazione ai fini paesaggistici (provvedimento del 4 febbraio 2010) non abbia comportato una – illegittima – rivalutazione del PRU in quanto tale, ma si sia limitato a svolgere un esame relativo al solo impatto che la realizzazione delle previste opere di urbanizzazione avrebbe sortito sui valori paesaggistici dell’area (un esame tanto più rigoroso, quanto poco rigoroso era stato l’esame in ordine allo strumento urbanistico attuativo ‘a monte’).

Del tutto correttamente la Soprintendenza (e in seguito il T.A.R.) ha ritenuto che l’esame in ordine alle opere di urbanizzazione non potesse avere quale unico parametro di riferimento il PRU comunque adottato (e adottato nella dubbia sussistenza dei relativi requisiti), ma dovesse svolgersi in primis alla luce della normativa statale in tema di tutela dei valori paesaggistici e regionale in tema di presupposti e condizioni per l’adozione dei PRU (si tratta, a ben vedere, di null’altro, se non della coerente applicazione del principio di legalità che necessariamente deve caratterizzare l’esercizio dell’attività amministrativa).

Ebbene, in tal modo impostando la questione, la Soprintendenza (e successivamente il T.A.R.) hanno correttamente rilevato che:

– il complessivo disegno da ultimo tradottosi nell’autorizzazione ai fini paesaggistici delle opere di urbanizzazione si ponesse in insanabile contrasto con gli atti impositivi del vincolo paesistico sull’area e, più in generale, con la generale normativa statale e regionale a tutela dei valori paesistici sottesi;

– difettassero nel caso di specie le condizioni stesse per fare ricorso allo strumento del Piano di Risanamento Urbanistico di cui all’articolo 32 della legge regionale 23 del 1985 (‘Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, di risanamento urbanistico e di sanatoria di insediamenti ed opere abusive, di snellimento ed accelerazione delle procedure espropriative’), secondo il quale “qualora un insediamento edilizio sia stato realizzato in tutto o in parte abusivamente, il rilascio della concessione in sanatoria per le opere in esso comprese è subordinato all’approvazione di un piano di risanamento urbanistico, che può essere adottato anche in variante allo strumento urbanistico generale”.

Ed infatti, come correttamente evidenziato dal Ministero appellato (e come confermato dai primi Giudici), non sembravano sussistere nel caso di specie quelle condizioni di già avvenuta e diffusa compromissione dell’area a cagione degli insediamenti abusivi, tale da giustificare il ricorso al richiamato strumento attuativo (del resto, l’indice territoriale accertato nell’area in questione è pari soltanto a 0,012 mc/mq: un valore ben lontano dalla soglia di 0,40 mc/mq fissata dalla richiamata legge regionale ai fini del ricorso al PRU).

Risultano, quindi, giustificate le perplessità espresse dall’organo statale, così coome risulta suffragata dalla documentazione acquisita la sua valutazione secondo cui l’adozione del piano in questione (e dei successivi atti realizzativi), lungi dal consentire il risanamento urbanistico di un’area già degradata, si prestasse piuttosto a valutazioni opportunistiche le quali avrebbero di gran lunga incrementato le volumetrie preesistenti e determinato ex post la definitiva compromissione dei rilevanti valori paesaggistici ivi esistenti

Del resto, il provvedimento impugnato in primo grado ha chiarito sul punto che, a seguito dell’attuazione del PRU in questione – e degli atti conseguenti, ivi compresa la realizzazione delle opere di urbanizzazione che qui vengono in rilievo – si passerebbe da una complessiva volumetria di 8.500 mc, quale quella che risulta attualmente esistente, a una di 72.486 mc., quale quella che verrebbe realizzata in attuazione del piano in parola.

4. I rilievi dinanzi svolti sub 3 palesano la correttezza delle sentenze in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno ritenuto la legittimità del provvedimento con cui la Soprintendenza ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione ai fini paesaggistici relativa alle opere di urbanizzazione conseguenti all’approvazione del PRU, stante la carenza dei presupposti e della condizioni per la legittima realizzazione del piano stesso e delle opere conseguenti, quali quelle che qui vengono in rilievo.

Tale profilo risulta assorbente anche rispetto a quanto fatto oggetto del terzo motivo di appello, con il quale si è lamentata la mancata valutazione del carattere pubblico del piano di cui all’articolo 32 della legge regionale n. 23 del 1985.

Ed infatti, anche ad ammettere – in via di principio – che il PRU sia approvato su impulso e richiesta di soggetti pubblici e al fine di perseguire interessi parimenti pubblici, ciò non vale ex se ad eliderne i profili di illegittimità laddove esso – come nel caso in esame – sia stato adottato in assenza dei relativi presupposti legittimanti.

5. Le osservazioni svolte retro, sub 2, 3 e 4 comportano la conferma delle sentenze in epigrafe, ivi compresa la statuizione con cui sono stati ritenuti irrilevanti i profili di doglianza che nella presente sede sono stati riproposti con il quarto motivo di appello.

Pertanto, anche tale motivo deve essere respinto.

6. In base a quanto sin qui esposto, i ricorsi in appello (che devono essere decisi previa riunione) devono essere respinti.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del secondo grado di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione li respinge.

Spese del secondo grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013

Redazione